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Femminicidi a ripetizione, che non diventino normalità !

Femminicidi a ripetizione, che non diventino normalità !

Gli ultimi femminicidi pongono il problema del frequente mal funzionamento del braccialetto elettronico che dovrebbe tenere lontani gli uomini violenti

Martedi, 22/10/2024 - Il femminile di giornata / trenta. Femminicidi a ripetizione, che non diventino normalità !
In neanche un mese 3 donne - a Torino, San Severo (FG) e Civitavecchia - sono state uccise e massacrate. Tale è la progressiva frequenza che hanno raggiunto i femminicidi da correre il rischio di “abituarsi” ad una normalità, quasi fosse un fenomeno endemico e irrisolvibile.
E’ forse allora tempo di ritornare a riflettere su molti degli aspetti che maturano e “accompagnano” i femminicidi, iniziando magari da un tema che proprio in questo mese nella tragedia di San Severo ha assunto un notevole risalto: “il braccialetto elettronico”, non a caso uno dei provvedimenti pensati negli ultimi anni partendo dalla gravità del fenomeno e a possibili strumenti di prevenzione e difesa per le donne.
Il braccialetto elettronico, solo per chi non lo avesse chiaro, è un congegno appunto (cavigliera di circa 200 grammi) che mette in collegamento l’uomo (che non deve avvicinarsi alla donna che lo ha denunciato) con la forza pubblica; questa, monitorando gli spostamenti dell’uomo, ha modo di allertare la donna che sta correndo pericolo.
Il braccialetto elettronico, vale la pena di ribadire, è stato proprio un tentativo concreto di supportare le donne che hanno sporto denuncia di violenze e minacce, le più varie, per permettere di mettersi al riparo dall’essere raggiunte e di rischiare la vita.
Purtroppo, senza sottovalutare le situazioni in cui si è dimostrato utile, sono troppe le volte che il meccanismo non ha funzionato e l’allerta non è arrivata alla vittima predestinata. E questa è stata l’ulteriore tragedia di Celeste Palmieri, uccisa la scorsa settimana a San Severo in provincia di Foggia. Il braccialetto del marito si è attivato ma non altrettanto il suo cellulare riposto nella borsa, nonostante il sollecito intervento della polizia. E così lei che viveva nel terrore, in quanto il marito Mario Furio aveva già tentato di accoltellarla mesi prima, è stata uccisa con un colpo di pistola al parcheggio del supermercato, luogo dove, subito dopo, lui si è suicidato.
Celeste - che lascia 5 figli, divenuti orfani di entrambi i genitori in un attimo - pare avesse rinunciato proprio per loro, in particolare per alcuni non ancora maggiorenni, di ripararsi in una casa rifugio di un centro antiviolenza a cui si era rivolta dopo il tentativo di accoltellamento di gennaio.
Fra parentesi viene da notare perché debba essere chi è perseguitato a doversi nascondere e non il persecutore a finire “al chiuso”. All’uccisione di Celeste, avvenuta a pochi giorni da quella a Torino della tunisina Nabu Roua, davanti ai suoi figli, e a causa anche di un braccialetto fuori uso, se ne affianca pochi giorni dopo un’ennesima: la morte di Camelia uccisa a Civitavecchia. Lei, clochard senza fissa dimora, il cellulare lo ha dimenticato e l’Alert non lo sente e così viene strangolata dal suo ex compagno che al colmo dell’orrore della menzogna da l’allarme dicendo di averla trovata morta. Fortunatamente l’uomo è in prigione perché nessuno gli ha creduto, date le prove schiaccianti.
Ma tornando a Celeste, nella sua tremenda storia di violenza e morte, seppur dedotta dall’informazione giornalistica, oltre il non funzionamento del “braccialetto”, vi sono alcuni punti, dirimenti, su cui vale la pena soffermarsi e interrogarsi.
Il primo in assoluto è come sia possibile che dopo un primo tentativo del marito di colpirla, la richiesta di arresto immediato da parte del Publico Ministero fosse stata invece disposta dal Giudice per le indagini preliminari la misura del braccialetto. In sostanza quale mai deve essere la gravità per cui la donna, nonostante denuncia e prove, deve ancora vivere di paura costante?
Colpisce tra l’altro una riflessione dolorosa della figlia di Celeste riportata dai giornali che, nel perdonare ad alta voce il padre assassino aggiunge, sferzando la società, che aveva bisogno d’aiuto pure lui. Una frase dolorosa e terribile ma che dovrebbe costringere a decidere come i femminicidi siano arrivati ad un tale livello numerico da aver bisogno di una nuova “ricerca”, schematizzando l’impegno da due punti di vista: come proteggere meglio e adeguatamente le donne e come rianalizzare le cause profonde che portano troppi uomini a provare istinti omicidi nei confronti delle loro compagne, uomini che in tanti casi si tolgono essi stessi la vita?
Il che lascia aperta una domanda alla cui risposta varrebbe la pena di dedicarsi: quanti avevano già deciso di uccidersi e quanti lo hanno fatto per avere in un attimo compreso l’orrore delle conseguenze della propria violenza?
Forse ciò che sappiamo e valutiamo da tempo non è sufficiente a capire, e conseguentemente ad aprire anche un nuovo confronto proprio con gli uomini, alla ricerca di risposte e proposte sul problema.
Femminicidi: drammi che sempre di più coinvolgono figli di cui pur non sapendo le loro storie possiamo immaginare e sospettare crescite dolorose e difficilissime.
I femminicidi che hanno oramai la dimensione di una vera mattanza e dovrebbero riproporre una rinnovata dimensione d’indagine che incroci la ricerca di strumenti di difesa e dei perché accadono non pensando di avere oggi chiare le risposte e di semplificare il perché. penso sia utile ricercare e attivare le basi di un confronto, di un rinnovato studio indagando sul come affrontare quelle pericolose relazioni conflittuali tra uomo e donna che portano troppo spesso alla violenza e alla morte.
Paola Ortensi 22/10/24

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