Parliamo di bioetica - Una delle conseguenze della legge 40 è di ridurre drasticamente, se non di vanificare, lo spazio delle azioni permissibili
Battaglia Luisella Lunedi, 09/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012
La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha esaminato il divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40, è stata definita da più parti “un modo di prendere tempo”. Certo, se non ha chiuso definitivamente la porta a tale pratica, è innegabile che la strada per chi volesse presentare un ricorso sia ormai decisamente in salita. Si sono invitati infatti i giudici che avevano sollevato la questione relativa alla legittimità costituzionale di tale divieto a considerare la sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo che, su ricorso dell’Austria, ribaltando un precedente giudizio, lo ha ritenuto invece legittimo.
A questo punto, non è forse inutile un po’ di storia. I ricorsi pervenuti alla Consulta riguardano tre sentenze di particolare importanza perché per la prima volta dei giudici ordinari hanno sollevato fondati dubbi di costituzionalità sul divieto di tecniche di tipo eterologo. La sentenza emanata dal tribunale di Firenze nel settembre 2010 riguardava una coppia in cui l’uomo era affetto da azoospermia totale a causa di terapie fatte durante l’adolescenza; quella del tribunale di Catania (ottobre 2010) si riferiva ad una coppia in cui la donna era infertile per menopausa precoce e quella del tribunale di Milano (febbraio 2011) era relativa ad una coppia in cui l’uomo soffriva di infertilità irreversibile.
I tribunali chiedevano alla Consulta di accertare se la legge 40 violasse taluni principi fondamentali della Costituzione italiana e, in particolare, il principio di eguaglianza, e il diritto alla salute. In base alle sentenze, l’eguaglianza risultava violata per il fatto che venivano discriminate le coppie che non avevano altra possibilità, al di fuori di tale tecnica, per rimediare alla loro infertilità e rendere concrete le loro scelte procreative. Inoltre, poiché l’articolo 32 della Costituzione qualifica la salute come diritto fondamentale e la legge 40 intende porsi come strumento per la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità e dall’infertilità, si era plausibilmente sostenuto che il divieto di accesso alla fecondazione eterologa violava questo diritto.
Quali le conseguenze del rinvio? Non è difficile prevedere un aumento del turismo procreativo, con alti costi finanziari e umani: quindi ulteriori, ingiustificate discriminazioni. Da un lato, solo chi ha adeguate risorse potrà recarsi all’estero, col rischio di finire in centri poco qualificati, privi di sufficienti garanzie di serietà scientifica. Dall’altro, continuerà la sofferenza e il disagio di tante coppie che, per realizzare il loro progetto procreativo, dovranno andare all’estero sentendosi come malfattori o clandestini. Le sentenze che abbiamo riportato ci parlano di vicende dolorose, di drammi umani che esigono rispetto e comprensione e sono ben lungi dalle futili ragioni che motiverebbero la cosiddetta ‘medicina dei desideri’. “È assurdo - ci si lamenta a ragione in numerose interviste - che lo stato ci lasci soli e ci tratti come cittadini de serie B, che non si possa fare nel proprio paese una pratica prevista in tutti gli altri, con dottori che parlano la tua lingua, con i familiari vicino”.
Una delle conseguenze della legge 40, infatti, è di ridurre drasticamente, se non di vanificare, lo spazio delle azioni permissibili, la cosiddetta ‘sfera di liceità’, collocabile tra i due estremi di ciò che è obbligatorio e di ciò che è vietato - quella sfera, propria dello stato di diritto, che dovrebbe consentire ad ogni cittadino, in piena libertà di coscienza, di assumere decisioni relative ai suoi progetti, anche procreativi, che corrispondano alla sua idea di ‘vita buona’. Per questo, si è segnalato da più parti il rischio una regressione culturale e istituzionale con la messa in crisi del principio stesso della laicità dello Stato, quale si era venuto affermando fin dagli anni settanta con l’approvazione delle leggi sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, secondo una linea evolutiva che valorizzava l’autodeterminazione degli individui e rispettava la pluralità delle concezioni etiche. La legge 40, col suo sancire il primato del vincolo di sangue, sembra inoltre contraddire quel ridimensionamento del dato biologico come fondamento delle relazioni familiari che era stato uno dei cardini della riforma del diritto di famiglia.
Si parla comunemente, a proposito della fecondazione eterologa, di famiglia 'artificiale' ma esiste un altro esempio di artificialità: l’adozione. Le differenze sono evidenti: la prima, e più ovvia, è che l’adozione è un istituto pensato per dare una famiglia a un bambino che già c’è, laddove la fecondazione eterologa è una pratica che intende aiutare una coppia ad avere un bambino ‘suo’; nel primo caso al centro dell’attenzione è il bambino, nel secondo la coppia. È tuttavia un progetto di genitorialità che si realizza: in entrambi i casi, c’è una forte volontà di costituire una famiglia fondata su legami sociali anziché su vincoli di sangue; è la decisione di un uomo e di una donna che sottraggono la paternità e la maternità alla natura e al destino. Perché ostacolarla?
Sappiamo che esistono rilevanti ostacoli di origine culturale nei confronti della procreazione assistita, tra cui la diffidenza per l’artificiale identificato col negativo e col male e contrapposto al naturale associato, simmetricamente, al positivo e al buono. Si può rilevare però che è artificiale anche quella famiglia adottiva che muove da un’idea di genitorialità che va al di là del piano meramente biologico ma che - si è tutti pronti ad ammetterlo - riflette un ethos profondo. Perché, dunque, dovremmo preferire la casualità assoluta della procreazione naturale all’intenzionalità deliberata di un progetto tenacemente perseguito? Perché dovremmo pensare che la coppia che si affida alle nuove tecnologie riproduttive non sia mossa dagli stessi sentimenti che animano le altre? Lo potremmo, sì, ma a condizione di sostenere che solo ciò che è naturale e biologico è. per ciò stesso buono: il che, forse, può valere per gli alimenti, molto meno per le famiglie.
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