- La sentenza della Corte Costituzionale apre la strada alla fecondazione eterologa. La Regione Toscana si organizza, ma le resistenze di una certa politica permangono
Stefania Friggeri Lunedi, 22/09/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2014
È vero che dietro la fecondazione eterologa può esserci un concetto di genitorialità troppo centrato sul legame di sangue, ma è anche vero che molte coppie che chiedono di ricorrervi hanno inutilmente investito i loro sforzi nell’adozione. Inoltre non va dimenticato che l’adozione, soprattutto quando il figlio adottivo non è un neonato, richiede una non comune disponibilità ad affrontare situazioni anche molto impegnative e problematiche. E la Corte Costituzionale, con la sentenza emanata il 9 aprile scorso, ha legittimato anche in Italia la fecondazione eterologa, contribuendo a smontare la legge 40 votata, dopo un calvario di 7 anni, da un ceto politico timorato e pieno di zelo nel soddisfare le richieste provenienti da Oltretevere, dove viene vista come una tecnica utilizzata per rispondere ai capricci delle coppie che aspirano, attraverso l’eugenetica, ad un figlio “à la carte”, quando invece è una pratica diffusa nei paesi occidentali a causa dell’aumentata infertilità maschile e della mancanza o scarsità di ovociti nelle donne che rimandano troppo a lungo la maternità. È vero anche che, rispetto all’omologa, la fecondazione eterologa presenta dei punti delicati da risolvere (anonimato o identificazione del donatore, numero delle donazioni ed altro), ma il commento del cardinal Ruini alla sentenza della Consulta è stato draconiano: “Non può esistere un diritto al figlio”. Ovvero: il figlio frutto dell’inseminazione eterologa nasce all’interno di una famiglia che non rispecchia il modello di famiglia promosso dalla Chiesa, composto da un uomo e una donna uniti in matrimonio i quali, qualora non arrivi un figlio “naturalmente”, possono appellarsi all’adozione (anche se finora la lobby cattolica non si è distinta né per l’impegno al fine di facilitare il percorso dell’adozione né per la premura nel promuovere una normativa che permetta alle donne di diventare madri in età più precoce su servizi sociali, part-time, permessi di lavoro ecc….). Al monito del cardinal Ruini ha risposto prontamente la ministra della Salute Beatrice Lorenzin segnalando un vuoto normativo inesistente. Poi, di fronte ad autorevoli smentite e alla decisione della Regione Toscana di procedere autonomamente, la Ministra ha invitato le Regioni a soprassedere e a restare in attesa di una legge che verrà votata dal Parlamento.
Una posizione in linea con quella usuale dei vari governi, vedi il caso abnorme ed imbarazzante dell’esecutivo Monti che nel 2012 con motivazioni astruse ha presentato un ricorso contro la bocciatura della legge 40 presso la Corte Europea dei Diritti Umani. Infatti, scorrendo gli articoli della legge prima che venisse demolita dalle varie sentenze (è stata portata in vari Tribunali per ben 29 volte) emerge con chiarezza che il disegno degli estensori era quello di scoraggiare chi volesse eventualmente ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (P.M.A.). Infatti la legge prevedeva una serie di obblighi (ad esempio: irrevocabile dopo la fecondazione il consenso all’impianto dell’embrione ), di divieti (come la crioconservazione degli embrioni non impiantati) e di sanzioni sia pecuniarie che di sospensione da uno a tre anni per il personale sanitario (“sanzioni di inusitata severità”, a giudizio del Forum Donne Giuriste).
Quando invece in materie come queste (il concepimento, la genitorialità, la famiglia) dove le posizioni sono variamente diversificate in ragione degli orientamenti culturali, religiosi e delle valutazioni scientifiche, solo il dialogo ed il confronto permettono di raggiungere un punto condiviso e di salvare il principio di laicità. Ma la legge, votata in fretta e furia senza valutare gli oltre trecento emendamenti presentati, è stata impostata su di un concetto basilare, quello ideologico e teologico dell’embrione-persona, da cui sono derivate le conseguenze gravissime che hanno portato poi alla delegittimazione della legge nei Tribunali. Quando invece l’embrione, che deve ancora impiantarsi e svilupparsi nell’utero, circostanza probabile ma non certa, è solo un progetto di vita, una promessa, un’aspettativa. Vedere nell’embrione non una vita in potenza ma una vita in atto è l’interfaccia del mancato riconoscimento alla donna della sovranità sul proprio corpo: progressivamente liberato dai metodi contraccettivi, poi dalla 194, il corpo della donna, nell’indifferenza inescusabile per la sua salute fisica e psichica, con la legge 40 è stato di nuovo ridotto a contenitore.
E lo Stato si è fatto braccio secolare di una Chiesa che, come in un passato che si vorrebbe dimenticare, ha ottenuto coi divieti quello che non riusciva ad ottenete con gli ammonimenti e la persuasione. Portando nell’arena pubblica il dogmatismo di una tradizione secolare prepotente ed arrogante, gli obblighi e i divieti punitivi previsti dalla legge 40 hanno ostacolato l’affermazione di quel “diritto mite” che, di fronte a questioni straordinarie e fino a ieri inconcepibili come la P.M.A, dovrebbe limitarsi a “vietare pratiche pericolose per la salute, speculazioni economiche ed informazioni non corrette” (Zagrebelsky). E invece Eugenia Roccella, alla notizia che anche in Italia si poteva procedere alla fecondazione eterologa, ha impugnato l’arma del terrorismo vaticinando la commercializzazione di gameti e lo sfruttamento delle donne povere del Terzo Mondo costrette a “vendere il loro corpo sotto forma di ovuli ed utero”. Bastano queste prime reazioni politiche per comprendere che in questo paese non possiamo, non dobbiamo lasciare ai Tribunali il compito di salvare la democrazia (dallo Stato etico) e i diritti (dai tentativi di riportare la donna in una condizione di soggezione), e che dobbiamo armarci di argomenti e di passione civile per una battaglia culturale sul primato femminile nella procreazione, sulle potenzialità e i limiti della ricerca scientifica, sulle trasformazioni della tipologia familiare.
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