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Fausta Genziana Le Piane e la terra promessa

Fausta Genziana Le Piane e la terra promessa

Narrare è – all’origine – , (scrive Pietro Citati) , – un dono femminile, una parola che una donna rivolge a un’altra donna, o a un bambino, o ad un uomo potente che l’ascolta e pesa la sua anima, la sua vita.

Mercoledi, 30/06/2021 - FAUSTA GENZIANA LE PIANE E LA TERRA PROMESSA

1.Le mille e una notte
Narrare è – all’origine – , (scrive Pietro Citati) , – un dono femminile, una parola che una donna rivolge a un’altra donna, o a un bambino, o ad un uomo potente che l’ascolta e pesa la sua anima, la sua vita. E’ una parola magica, parole smarrite, perdute, sepolte, ma che “torneranno… // E saranno come biglie colorate/spinte/dalle agili dita/ di bambini…// Rotoleranno impazzite/ frettolose alla meta/ nel solco sinuoso della sabbia/ che porta all’entrata di un/ castello sognato./ Entreranno trionfanti/ fino alla stanza del re/ e regaleranno una collana/ scintillante alla regina. (pag. 128)
Così conclude la sua silloge “ Ostaggio della vallata”, edizioni Tracce, 2014, Fausta Genziana Le Piane, che è un po’ come la Sharazade delle “Mille e una notte”. Comincia le sue storie in versi quando l’oscurità annuncia, da lontano, il giorno. Legato all’eros e all’onirico, ai demoni, ai fantasmi e alla lingue segrete, il racconto nasce dalla notte, vive della notte, ( Sei naufragato al buio/ cercando inutilmente / di aggrapparti alla frangia / di una coperta damascata, / tappeto volante/ in una notte fra mille –pag. 24), ma riesce a vincere le tenebre facendo rinascere ogni volta il giorno per tutti noi che leggiamo le sue storie senza fine. La salvezza, per lei e tutte le fanciulle vergini della terra, in ogni tempo in attesa di essere decapitate dalla violenza tirannica del potere dell’uomo, sta soltanto nel fatto stesso di “raccontare”. E lei lo fa con un’eleganza leggera e geometrica, con precisione e lucidissima scansione della mente, dimostrandoci ogni volta che gli uomini non possono sfuggire al loro destino. “Il male vissuto /non scivola via///… Sedimenta in ansa lontana/ ristagna //… Marcisce. /Corrode la vita/come ruggine..”- pag. 80). La silloge è suddivisa in sei sezioni in cui cambia il tema, il tono e la metrica, tutto si capovolge, gli enigmi sono risolti, finché la complicazione della trama si scioglie nella semplicità del lieto fine, come nelle “Mille e una notte”. Tutte quelle vergini decapitate all’aurora che si offrivano al tirannico Sultano ogni notte verranno salvate dalla donna che narra e che metterà fine a questo sterminio, grazie alla strategia più incantata e incantevole della storia dell’umanità. La bellissima “donna-ostaggio” salverà tutti con la sua affabulazione e ci insegnerà che per continuare a vivere è necessario … raccontare.
2. Ostaggio della Vallata
Fausta Genziana Le Piane è tante cose insieme, una professoressa di francese, una critica d’arte e di letteratura, un’ artista del collages, una giornalista , direttrice di una rivista di cultura , “Kenavò”,“un ponte tra Roma e la Sabina”. Ma è soprattutto una donna che ama raccontare, come Sherazade, in prosa, o in versi, ed è , come lei, un “Ostaggio”. Non del Sultano, ma della vallata, la sua vallata , in realtà ostaggio della sua anima inquieta, che non mai riposa : “L’anima mia non riposa/ finché non porta con sé/ un’altra anima. Così t’aspetto/nell’inoltrarsi del tempo, //…col fiato sospeso///…nell’attimo che separa / il giorno dalla notte. (pag.36)
Le arcane emanazioni della luce fanciulla si trasformano in un vascello materno, che porta il giorno e la sera nei tersi domini e nelle fertilità erbose della sua vallata calabra di Nicastro, dove un tempo passava Federico II con i suoi falconieri e il suo seguito regale , ed ora , invece , tutto sembra remoto e perduto. In lei c’è però ancora l’attesa e la speranza di una rinnovata purezza librata sulla vita di quel mondo edenico della sua fanciullezza , e si sente come “ sasso levigato/ dal silenzio salvifico,…/ nelle acque tempestose del fiume , che genera “cerchi concentrici / d’amore infinito”(pag. 17). Nella lunga attesa del ritorno a una sorgente pura d’un trasparente e sacro amore per la sua terra natia, si placano le sue ansie e le sue pene , le passioni, con una carezza del vento, una voce di silenzio che diviene segreta rinascita in stile ungarettiano: “M’illudo di essere qui/mentre mi sgrano nello spazio”. Vive di un’addizione ineluttabile di ogni tipo di esperienza, portatrice di una memoria a fil di pelle. Gelano le odorose epifanie per quelle “Pareti lisce:/ porte chiuse/ al buio del tempo/ nella Valle del sole/ menhir /dilagati nella pianura ( pag.16). Sradicato, il fiore della poesia è costretto a dare frutto, a farsi sostanza e carne , o rosa di sangue nella parola, perché , terminata l’attesa , le risposte le potranno dare soltanto la consapevolezza dei suoi limiti , o un ricordo impassibile: “Scavo a mani nude, /nella sabbia, /con rabbia: /deserto, rendimi, /restituiscimi/ le radici nascoste della mia anima / assetata della tua luce/ e dei tuoi miraggi. (pag.20)
Ormai svaniti lo stupore e il dolore delle passioni scalpitanti, dell’amore, restano soltanto le ossa, quasi preziosi feticci, souvenir della giovinezza. Seccano i petali sul muro , si muta in roccia nuda la dimora celeste dei suoi richiami lontani. Qualcosa dell’identità della “sua” vallata , sorta di terra promessa , è ormai intimamente perduta e irricuperabile : “Prima ostaggio della vallata/ il vento si libera/ poi,/ e,/ trasportando con sé/ frantumi di sere d’estate/ accarezza il verde seno delle colline ( pag. 78). E’ il vento della sua fanciullezza, della sua memoria colorata, che si libera, il vento sempre giovane del suo cuore puro, immutato e immutabile, che mostra le sue ferite : “Ho un buco nel cuore/Non spiare:/ gli occhi della solitudine/ mi fissano.(pag.103)
3. L’infinito in una scacchiera
“L’infinito fa le sue razzie”/ teso / tra i cinque punti cardinali/ delle dita”, scrive Le Piane, nella prima poesia della silloge. L’infinito non è solo quello leopardiano, ma è tante altre cose: la casa degli uccelli, le nubi piume di fuoco del tramonto , frecce di sangue, tagli nella carne, che danno brividi di una liricità cristallina e metafisica, il cielo degli iperonti del Paradiso di Dante, l’Etica di Spinoza, o i Dialoghi di Platone, ma ecco le frecce del mare che ingrossano la Fiumara Canne e il Barisco, il bosco della mascella e la vozza di donna Rosina, l’assemblea delle spade, l’incontro delle sorgenti, la canzone delle lance, la festa delle aquile e dei falconieri, la mela nel petto del suo cuore, le rupi delle parole che non hanno più denti, il cammino della luna e la rugiada della pena. E anche le dita della sua mano divengono i cinque punti cardinali che puntano verso l’infinito. Che è il luogo di tutti i luoghi esistenti, il limite tra la luce e l’ombra. Che cosa le resta di quella terra favolosa, terra promessa? Un’ombra di memoria, una conca di speranza abbandonata a radici essiccate in un deserto di nessuno. Ma l’importante non è vivere , – diceva Pasternak – perché nessun uomo può sperare di vivere indefinitamente e, comunque, vivrà sempre troppo poco. L’importante è non perdere l’appuntamento con il proprio destino, che è, per Fausta, la letteratura, la poesia. “L’esercizio della letteratura può insegnarci a evitare equivoci , non a fare scoperte . Ci rivela le nostre impossibilità, i nostri severi limiti. Ma la poesia è magica, misteriosa, cangiante, non legata a nessuna legge, nessun vincolo. Non dipende solo dal significato astratto delle parole, ma anche dalla loro connotazione. Ogni parola ha un diverso timbro emotivo, è molto importante la cadenza, il ritmo, la tensione, la scansione, il mistero, l’enigma: “Il nodo delle mani non si allenta . / Sciogli i miei capelli , /ma non l’enigma che è in me”. (pag. 49)
L’atto poetico essenziale per me – scrisse un Borges ormai ottantenne – è convertire l’oltraggio degli anni/ in una musica , un rumore, un simbolo, in un ritmo, in una scansione, in una magia. Replica, autoironicamente, Fausta, con lo stile del vecchio Montale: “E’ una poltrona/ di velluto blu/ la vecchiaia./Vi sprofondo/con il peso// del corpo stanco/di ricordi/ di sillabe spezzate/ Morbida mi accoglie// e non chiede nulla/ -mi sostiene, mi avvolge/ Accetta il mio sonno. (pag.71)
E conclude Borges: “La poesia opera in modo esitante e temerario, come se camminasse nell’oscurità. E’ un misterioso gioco di scacchi, la cui scacchiera e i cui pezzi cambiano all’infinito , come in un sogno”. L’infinito in una scacchiera dove tu , “Nobile pedone ( scrive Fausta) giochi la tua solitaria partita/offrendoti/ agli attacchi di guerre e tempeste/// guardiano infaticabile/custodisci le verità insondabili/ dell’oceano dell’animo umano.//… fiero contro tutti i nemici,/ speri di difendere la parola / – tua Regina/- e d’impedire lo scacco ( pag. 26)
E per un attimo Fausta torna con la memoria alla sua vallata, nel periodo freddo invernale, dove l’aria è più gelida di quella delle colline d’intorno e produce dei veli di vapori che celebrano la grazia virginea e impube di questi vapori, veri e propri Laghi del Silenzio illuminati dalla luna, che salgono verso l’alto a formare altre nubi.
E lei pensa: ad ognuno la propria nuvola e la propria vallata.

Augusto Benemeglio

Roma, 25 giugno 202

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