A Kassel, in Germania, è in corso fino al 25 settembre la mostra di arte contemporanea curata dal collettivo indonesiano Ruangrupa
"Make friends not art!". Questa la raccomandazione che il collettivo di artisti indonesiano Ruangrupa, incaricato di curare la quindicesima edizione di Documenta, rivolge ai visitatori di una delle rassegne di arte contemporanea più prestigiose al mondo. Organizzata ogni cinque anni nella città di Kassel, situata al centro della Germania, la quindicesima edizione ha aperto al pubblico il 18 giugno e chiuderà dopo 100 giorni, il 25 settembre 2022.
Quest’anno, per capire lo spirito che anima Documenta, occorre prima di tutto familiarizzarsi col termine indonesiano lumbung. Parola chiave di questa edizione, lumbung indica il magazzino dove le comunità agricole conservano il riso a disposizione della collettività. Ognuno mette quel che può e prende secondo le proprie necessità. Lumbung, dunque, è sia un luogo sia una pratica di condivisione. E così è stata immaginata Documenta 15, affermano i Ruangrupa, perché la mostra è un luogo di incontro, discussione e ricerca, dove, attraverso lo sviluppo di nuovi modelli di sostenibilità e la creazione di relazioni durature, si pratica il lumbung.
La rassegna comprende quest’anno ben trentadue sedi disseminate tra il centro e la periferia di Kassel, trentadue luoghi di vario genere, dal museo al sottopassaggio pedonale, dal cinema al centro sociale, dalla chiesa alla fabbrica dismessa. Il visitatore scrupoloso deve quindi lanciarsi in una sorta di caccia al tesoro, seguendo le indicazioni (spesso sommarie) presenti nella mappa disegnata dagli organizzatori.
L’atmosfera di questa edizione, comunque, si coglie già a Friedrichsplatz, la piazza che storicamente è il cuore di Documenta. Qui sorge il Museum Fridericianum, un edificio neoclassico le cui bianche colonne, ridipinte di nero per l’occasione, appaiono ricoperte di “graffiti”, opera del rumeno Dan Perjovschi, uno dei non molti artisti presenti ad aver esposto nei principali musei internazionali. La brochure della mostra spiega che durante Documenta il Fridericianum da museo è divenuto una casa.
In effetti, entrati, si resta subito colpiti nel trovare nelle sale una gran varietà di mobili, spesso realizzati con materiali di riciclo, anche prendendo spunto dal design di strada, ossia dagli ingegnosi assemblaggi realizzati per necessità dalla gente comune. Nelle intenzioni dei Ruangrupa, panche, panchetti, divani, poltrone, tavoli, sedie, cuscini, tappeti, perfino piante d’appartamento, hanno lo scopo di creare ambienti confortevoli, informali ed ecosostenibili, adatti a favorire lo stare insieme.
Alcune sale ospitano laboratori d’arte rivolti alle giovani generazioni, mentre Graziela Kunsch, artista brasiliana che si ispira alle teorie della pediatra ungherese Emmi Pikler (1902-1984), ha allestito un vasto ambiente dove bambini da zero a 3 anni possono muoversi liberamente. Ai piani superiori si incontrano, tra l’altro, gli splendidi patchworks dell’artista polacca di origini Rom Małgorzata Mirga-Tas, che quest’anno alla Biennale di Venezia rappresenta la Polonia. Il collettivo ungherese OFF-Biennale Budapest ha riunito in una sala altre opere di artisti Rom per testare la possibilità di creare un museo transnazionale di arte contemporanea Rom. Un altro tema di riflessione riguarda l’importanza e la valorizzazione degli archivi collegati alle lotte e alle rivendicazioni di una specifica comunità. Tra questi sono in mostra gli archivi olandesi The Black Archives, sulla storia dell’emancipazione dei neri, e sulle donne algerine gli Archives des luttes des femmes en Algérie. Uscendo dall’edificio si notano i dipinti di Richard Bell, artista e attivista aborigeno australiano, inneggianti alla lotta per la terra. Bell ha anche eretto sulla piazza antistante il Fridericianum un’umile tenda da campo su cui si legge la scritta «Aboriginal Embassy», uno spazio dove poter discutere dei diritti degli aborigeni.
Poco oltre, sempre all’aperto, una selva di sagome di cartone e un grande murale intitolato People’s justice, composto di vari pannelli, sono opera del collettivo Taring Padi, nato in Indonesia nel 1998 e molto attivo nel denunciare i crimini commessi sotto la dittatura di Suharto. Nei giorni dell’inaugurazione il collettivo è stato al centro di un’accesa polemica, perché alcune immagini sono apparse reiterare vecchi stereotipi antisemiti. Il dibattito è ancora in corso, ma l’episodio costringe a riflettere sulle difficoltà insite nel far convivere comunità culturalmente distanti tra loro.
Sempre sulla piazza l’edificio chiamato Documenta Halle appare rivestito di lamiere ondulate e arrugginite a simulare una baraccopoli. Ospita, tra gli altri, il collettivo Instituto de Artivismo Hannah Arendt, nato a Cuba nel 2015 sulla scorta di un’azione dell’artista e attivista Tania Bruguera, e i lavori incentrati sul tema del cibo del multiforme collettivo del Bangladesh Britto Arts Trust. Nella hall si trova anche una rampa per gli skateboard, costruita dal gruppo thailandese Baan Noorg, e la tipografia dove si stampa in tempo reale il materiale comunicativo della mostra.
Naturalmente si potrebbe continuare ancora a lungo descrivendo le altre sedi della rassegna, ma già da questi esempi appare evidente l’assoluta prevalenza dei gruppi sulle singole individualità. Tanto che è perfino difficile sapere con esattezza quanti siano gli artisti coinvolti (circa 1500 secondo gli organizzatori). Resta comunque il fatto che la mostra propone un radicale cambio di prospettiva su cosa voglia dire fare arte. Dal canto loro, i Ruangrupa hanno le idee chiare e Documenta 15, che piaccia o meno, porta avanti con coerenza l’assunto iniziale, basato su una sorta di educazione alla solidarietà (anche il budget della mostra è stato diviso tra i partecipanti). L’esperienza della pandemia di Covid-19 ha poi ulteriormente convinto i Ruangrupa della necessità di ripensare l’attività e gli eventi artistici.
Occorrerà aspettare la fine della mostra per fare un bilancio e capire se la sfida lanciata dai Ruangrupa all’attuale sistema dell’arte, attraverso la messa in discussione dell’autorialità e della proprietà dell’opera d’arte, avrà un seguito o se si rivelerà un semplice esperimento.
Documenta 15, Kassel, sedi varie, fino al 25 settembre.
https://documenta-fifteen.de/en/
Didascalie
1. L’intervento di Dan Perjovschi sul colonnato del Museum Fridericianum, Kassel, Documenta 15, 2022 (foto F. Matitti)
2. Veduta dell’allestimento di una sala del Fridericianum, Kassel, Documenta 15, 2022 (foto F. Matitti)
3. Un laboratorio d’arte all’interno del Fridericianum, Kassel, Documenta 15, 2022 (foto F. Matitti)
4. The Black Archives, lo spazio dedicato agli Archivi dei Neri, Fridericianum, Kassel, Documenta 15, 2022 (foto F. Matitti)
5. La sala dedicata agli Archivi delle lotte delle donne in Algeria, Fridericianum, Kassel, Documenta 15, 2022 (foto F. Matitti)
6. L’installazione architettonica del collettivo kenyota Wajukuu Art Project, Documenta Halle, Kassel, Documenta 15, 2022 (foto F. Matitti)
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