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Fanciulla, madre, strega

Fanciulla, madre, strega

Libri - Sesso, sogni, spietatezza, potenza. Questo e molto altro nell’opera di Gina Picart, scrittrice cubana estranea a qualsiasi canone letterario

Fastiggi Luce Mercoledi, 28/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2014

Gina Picart, scrittrice cubana, è quanto da Cuba non ti aspetti. Non si dedica all’attualità dell’isola, non racconta i suoi scorci decadenti e bellissimi, il suo mare azzurro, le sue donne solari ed energiche. Visita invece un mondo onirico, in cui sogni tormentati si avvolgono su se stessi fino a trasformarsi in incubi, in cui il sesso, esplicito e spudorato, ha sempre dei tratti spietati ed inquietanti, in cui i personaggi come affreschi disegnati su un muro parlano da un tempo lontano. Nova Delphi ha appena pubblicato Olio su tela, vincitore del Premio Alejo Carpentier nel 2008; la sua prima opera tradotta in italiano. 



Quanto c’è di te nei tuoi personaggi?

Quando mio madre si arrabbiava mi diceva convintamente che ero fatta di una ‘lega cattiva’. Un amico mi ha definito un ‘angelo con gli artigli’ e mia figlia mi vede come un angelo con la spada. Suppongo che ciascuno di noi non è nella posizione migliore rispetto al resto del mondo per guardarsi dentro con chiarezza. Se dovessi dare una definizione della mia vera sostanza ontologica direi che ho un aspetto angelico, però androgino, con un lato tenebroso; il tutto mascerato da vecchia bambola. Pensi che un personaggio letterario possa rimanere incontaminato rispetto ad una condizione umana come questa?



Cuba difficilmente è scenario dei tuoi racconti ma quanto c’è dell’isola nella carnalità e nell’inquietudine dei tuoi testi?

In Olio su tela Cuba appare solo nel racconto Areté para Vlad de Rais, la storia di uno scrittore frustrato con la testa persa tra sogni di grandezza oscuri e tenebrosi; anche se dei tratti ‘cubani’ sono anche nel racconto Il principe dei gigli per il suo grado altissimo di temperatura erotica e per la presenza dei sigari, del tabacco. Io ho una formazione europea e non ho mai considerato la mia realtà quotidiana come riferimento per la mia opera letteraria. Io vivo l’ansia dell’universalità, e il mio spazio-tempo non è legato ad un luogo tangibile, identificabile, ma a un territorio dello spirito.Per quanto riguarda l’immagine che gli europei hanno di Cuba come un paradiso di spiaggie, mulatte e sole, mi dispiace deluderli ma questa è solo una rappresentazione dedicata al turismo. L’isola potrebbe essere, e di fatto è, un circolo infernale de La Divina Comedia. Lo è da quando ci ha scoperto Colombo e noi giustamente, nascondiamo la nostra vera natura dietro i nostri balli, la nostra sessualità sfrenata, i nostri rum e il nostro fumo.



Le donne dei tuoi racconti hanno dei tratti tormentati, irrequieti, dominanti; celano un’anima oscura. Come vedi le donne?

Io creo delle donne con le quali mi piacerebbe passare il tempo, donne che posso ammirare e che possono trasmettermi la loro forza e la loro condizione di illuminate. Mi interessa la donna nella sua sfera epica e magica, mai schiava. Creo nei miei libri donne oscure e potenti, senza scupoli. E quando mi allontano da questo canone, mi ritrovo a raffigurare caratteri tragici e fatali. Perchè cosa ci può essere di di più drammatico che appartenere ad una razza lunare di esseri profondamenti connessi alla Natura e all’Arte? Le mie donne, anche se vinte, sono delle autentiche giganti della resistenza dell’anima. Sono e saranno sempre l’incarnazione della Grande Dea nei suoi simulacri di fanciulla - la sensualità, madre - la creazione e strega - la potenza.



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