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Facendo l’amore con la parola

Facendo l’amore con la parola

Fabiana Frascà - Una poesia alla ricerca di quel luogo misterioso dove anima e corpo sono una cosa sola

Benassi Luca Giovedi, 29/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2010

“Novantanove quartine di corpi e una prosa di anima” recita la didascalia a “L’oscuro centro” della poetessa napoletana Fabiana Frascà, all’esordio con questo libro pubblicato dalla Giulio Perrone Editore di Roma nel 2009, dopo un lungo tirocinio nel laboratorio di scrittura curato da Letizia Leone, comparizioni antologiche e il primo premio sezione poesia inedita al premio Luzi 2008/2009.

Anima e corpo, spirito e materia della carne viva e palpitante sono gli elementi che si intrecciano, si fecondano, fanno all’amore in una poesia dall’alto tasso erotico, attraverso quella che Letizia Leone nella prefazione al volume chiama il “respiro a endecasillabi”. Infatti, se di poesia erotica si tratta, lo è in prima battuta nel linguaggio, nella sensualità musicale dei fonemi costretta nella forma chiusa. Una forma che si torce, si piega, si spande lieve sulla pagina prendendo quel respiro binario di quattro endecasillabi a rima alternata che ricorda il battito del cuore, la cadenza di inspirazione ed espirazione, il ritmo stesso dell’amplesso. Scrive in proposito Letizia Leone: “questa poesia ci coglie nel pieno dell’azione, dentro le vampe del linguaggio dell’eros, sulla scena di corpi in movimento che ci riportano alla memoria le parole di Barthes, ‘il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro’.” La quartina erotica richiama alla mente la poesia di Patrizia Valduga e quel suo insistere sul tema dell’eros al limite della pornografia letteraria, se non che nella Frascà il bollore è stemperato nell’ironia, nella battuta fulminate, nell’arguzia che maschera l’affondo nella riflessione profonda ed esistenziale. Vi è dunque il tentativo di portare avanti un percorso di conoscenza attraverso il corpo e i suoi cinque sensi, una ricerca inesausta del piacere nella quale si svelano le verità del sé e del rapporto con l’altro, della libertà e della dipendenza, del gioco e della sfida. Ne emerge un Io corporeo che si spande, deborda fino a impregnare il linguaggio di odori, sapori, sospiri, di una femminilità a tratti selvatica, selvaggiamente sapienziale, crudelmente costretta nel meccanismo coerente dell’endecasillabo come un piede in un tacco a spillo. Si tratta di una poesia che sprofonda nelle voragini di senso, nei brividi, in schegge di luce, nell’amore vissuto sulla pelle, alla ricerca dell’oscuro centro di ogni persona e di ogni coppia, quel luogo misterioso dove anima e corpo sono per un attimo o per una parola una cosa sola.

 







1.

Tienimi stretta ancora nell’altrove

che i sensi ci trasporta ascesi al luogo

dal quale provenimmo. Il nostro dove.

Plaga deserta di corpi dentro un rogo.







7.

Non me ne vado, non so più svanire

ti porto dentro le ossa nei miei giorni

ogni senso è già acceso al divenire

che disegna sul corpo i tuoi ritorni.







23.

Ora mi spacca e scinde questo strazio

s’incunea serpeggiante nell’inserto

di una lama di luce tra lo spazio

di quello che è negato e quel che è offerto.







57.

Come raggio d’incanto ha la parola

m’eccita tutto quanto quel che dice.

La sua lingua ora deve far la spola

tra la mia desinenza e la radice.







72.

Nella terra d’ulivi non pregare.

Alita l’ombra scura del domani

nel fiato della bocca da scambiare.

Baciami nell’orto di Getsemani.



(9 agosto 2010)

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