Martedi, 16/04/2024 - Dopo averlo presentato in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma, la regista Fabiana Sargentini, sta portando in tour nelle sale italiane il suo ultimo film, uno splendido ‘docu-fiction’ bio/autobiografico girato sulla figura della madre, l’artista Anna Paparatti.
Domani sera sarà la volta del cinema Arlecchino di Milano, lei presente, naturalmente.
“La Pitturessa” è un po’ l’ultimo atto, in ordine di tempo, della sua saga familiare che, probabilmente, non ‘finirà mai’ – una splendida ‘full immersion’ negli affetti più intimi che affondano le loro radici nella Cultura più a tutto tondo possibile e, dunque, mai perdibile o trascurabile.
Ed è anche un'immersione nel mondo dell'Artista Anna Paparatti, come detto madre della regista, che alla sua matura età ha ancora tanta voglia, non solo di raccontare, ma soprattutto di inventare, disegnare, costruire mandala, labirinti e giochi dell’oca, comprare matite e pennarelli per creare e ri-creare.
Anna Paparatti è una delle straordinarie figure che animarono la Roma delle mitiche avanguardie artistiche degli anni ’60 e ’70, artista lei stessa, ‘in primis’, e poi, inventrice, musa e compagna storica di Fabio Sargentini (padre di Fabiana, a cui lei, esattamente venti anni fa, ha dedicato un altro ‘docu-fiction’ della saga, “Tutto su mio padre”, non a caso), dalla cui galleria, L’Attico, passarono artisti e intellettuali di altissimo livello con le loro opere e le loro ‘performances’, da Pascali a Kounellis, da De Dominicis a Trisha Brown a Philip Glass.
Anna Paparatti è ancora attiva e la sua creatività molto fertile, nonostante l’età. Ed ancora molto vasto il suo eclettico mondo fatto di forme e colori che va dalla pittura alla moda. Nel 2022 è stata chiamata addirittura da Maria Grazia Chiuri a curare le scenografie delle sfilate della Maison Dior.
Oggetti, caftani, gioielli disegnati dall'artista vengono raccontati in questo documentario che è anche, e forse soprattutto, un dialogo intimo, sincero ed emozionante tra madre e figlia, un percorso nella vita, nei ricordi, nelle foto di entrambe.
Ma la saga di Fabiana figlia d’arte, inizia tanti anni fa: l’ho conosciuta nei primi anni del 2000, quando stava iniziando il suo lavoro di cineasta e presentava le sue opere in quelli che, da sempre, son considerati i cinefestival più alla portata dei giovani, il loro predellino di lancio.
Il primo fu Anteprima Cinema di Bellaria, più tardi quello del Nuovo Cinema di Pesaro.
A Bellaria approdavano – dopo aver letteralmente venduto i gioielli della nonna per autofinanziarsi – i primi giovanissimi che poi, nel tempo, son divenuti nomi di grande prestigio per il giovane Cinema Italiano, come Daniele Segre, Silvio Soldini, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, per non citarne che alcuni e, per l’appunto, la stessa Fabiana.
Al Bellaria Film Festival già allora molte le donne partecipanti e vincitrici.
E Fabiana già nel 2004 aveva trionfato con il documentario “Sono incinto”.
Poi, nel 2005, aveva vinto il premio massimo, pur se da dividere ‘ex-aequo’ con l’opera a quattro mani “La stoffa” di Veronica di Emma Rossi-Landi e Flavia Pasquini), con “Di madre in figlia”, 58 minuti di ‘docu-fiction’: interviste a donne che narrano, in campo e fuori campo, la loro esperienza di madri e figlie.
"C’è più leggerezza – aveva dichiarato allora Fabiana a Bellaria, dopo la premiazione – nel raccontare la propria esperienza di madre rispetto a quella di figlia. Con la seconda si muovono e si s-muovono problematiche che possono creare e (ri-creare) grandi dolori, grandi conflitti, immani ricordi. E’ un rapporto troppo importante, forse mai risolto, almeno per molte donne che non riescono mai del tutto, probabilmente, ad uccidere la madre, in senso freudiano e, dunque, a crescere e ad affrancarsi dal rapporto con essa. E c’è da dire che, a volte, manca la conscia volontà del farlo, un rifiuto forse cromosomico è alla base di tutto questo. Perché crescere? Non c’è motivo, dice Nanni Moretti in "Aprile", del 1998, scherzando ma non troppo, eterno Peter Pan".
Il gioco della mosca cieca, svolto in mezzo al verde, in un contesto che, banalizzando, potrebbe ricordare l’utero materno ed in cui le figlie debbono riconoscere la propria madre, scandiva il testo filmico, filo rosso affettivo che univa le varie interviste, a volte doppiamente integrate dalla relazione nonna-madre-figlia/nipote: il rapporto diretto, dato dall’'agnitio', rappresentava un bellissimo contatto corporeo dato e risolto con baci, carezze ed abbracci a ricostituire, almeno per un attimo, un rapporto fetale, un ri-partorire senza dolore ma solo con tanto tanto incommensurabile amore, ricreando la magia di un momento altrimenti irripetibile.
Ed in quest'opera, congegnata con intelligenza, passione, affetto, Fabiana aveva voluto, tra le protagoniste, già allora, anche sua madre, testimone ‘alter ego’ di un rapporto non risolto: non le ho mai perdonato niente – aveva affermato....
E la saga continua…
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