Giovedi, 04/01/2024 - «Sono stata povera e ho voluto ritrarre la povertà; ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite.
Mi interessava la politica ed ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite.
Sono una donna e volevo sapere delle altre donne...».
Ancora qualche giorno – magari sfruttando le ultime ferie natalizie rimaste in modo arricchente - per ammirare un’esposizione dedicata ad una leggenda della fotografia del XX secolo: Eve Arnold, la prima fotografa donna, dopo Inge Morath (https://www.noidonne.org/articoli/inge-morath-fotografare-da-venezia-in-poi-19718.php), a far parte della Magnum Photos, la mitica Agenzia fondata da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour.
Curata da Monica Poggi. “Eve Arnold. L’opera 1950-1980” è promossa da Fondazione Cassa di Risparmi di Forlì con il Comune di Forlì e realizzata in collaborazione con Camera Centro Italiano per la Fotografia, d’intesa con Magnum Photos, mentre il catalogo “Eve Arnold” è stato èdito da Dario Cimorelli.
La mostra si articola in un ampio percorso tra 170 fotografie, dal 1950 al 1980: un vero e proprio viaggio all’interno della produzione della fotografa statunitense, sancita anche nel passaggio dal b/n agli scatti a colori.
Il razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo, tra i suoi temi più cari.
La comunità afroamericana è stata la prima protagonista dei suoi fotogrammi: inaugura infatti la sua carriera ritraendo le modelle delle sfilate di Harlem dietro le quinte, sovvertendo i canoni della fotografia di moda, abbandonando la posa in favore della spontaneità.
Nello stesso periodo realizza un ‘reportage’ sul nucleo Davis di Long Island, considerata una famiglia ‘tipo’ americana, discendente dai primi coloni che sfrutta i braccianti neri: un’occasione per la Arnold per mostrare le due facce del ‘boom’ economico degli anni ’50.
La fragilità è al centro anche di un lavoro di rara profondità che le permette di metabolizzare il dolore per la perdita di un figlio, traducendo in immagini quanto è venuto a mancare. Eccola dunque impegnata ad immortalare i primi istanti di decine di neonati presso il Mother Hospital di Port Jefferson.
Dopo l’ingresso in Magnum comincia ad entrare in contatto con il mondo dello spettacolo. Come primo incarico deve ritrarre Marlene Dietrich, la diva per eccellenza del cinema muto. La fotografa non si fa intimorire ed inizia a ritrarla senza sosta, cogliendo la sua natura più vera.
Alla stessa filosofia si rifa anche quando dovrà immortalare la 'divina' Joan Crawford durante i tanti ‘riti’ estetici prima di entrare sul 'set', e poi Marilyn Monroe. Erano ritratti lontani dall’immaginario già legato alla diva, scomposti, realizzati dopo lunghe giornate di 'set', non più irraggiungibile.
E da dire che era stata la stessa Marilyn a chiedere personalmente alla Arnold di essere fotografata dicendole: “Se sei riuscita a fare così bene con Marlene, riesci a immaginare cosa potresti fare con me?” . Era nato un sodalizio più che unico durato dieci anni, fra scatti sui ‘sets’ cinematografici e vita privata.
Sempre grazie a Magnum cominciano anche gli incarichi internazionali, che la fanno tornare ad una fotografia più impegnata: nel 1969 si occupa del 'reportage' “Oltre il velo” tra Afghanistan, Pakistan, Turkmenistan, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, un progetto che la porterà a produrre un documentario, il primo a mostrare l’interno di un ‘harem’ a Dubai. Nel 1979, invece, si recherà in Cina per documentare il cambiamento del Paese dopo l’insediamento di Deng Xiaoping, sempre più aperto verso l’occidente, sempre più decisa a far emergere quanto diversamente celato.
«Al centro del lavoro di Eve Arnold – sottolinea Monica Poggi, curatrice della mostra – c’è sempre l’essere umano ed il motivo che l’ha portato ad essere lì dov’è. Che i suoi soggetti siano celebrità acclamate in tutto il mondo, o migranti vestiti di stracci, poco cambia».
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