Il 'San Remo' europeo ha reso protagonisti e vincenti il gruppo ucraino Kalush Orchestra con 'Stefanìa', una canzone dedicata alla madre dell'autore, divenuta simbolo di tutte le madri
Martedi, 17/05/2022 - L’ucraina Kalush Orchestra con la canzone 'Stefanìa', scritta originariamente da Oleh Psjuk per la sua mamma, ha vinto l’EUROVISION 22 che si è svolto a Torino con enorme successo. 'Stefanìa' si è trasformata un inno dedicato all’Ucraina e alla tragedia che sta vivendo questo paese; un inno che onora tutte le mamme ucraine con riferimento particolare alla situazione che vivono oggi, come evidenziato dalle immagini che hanno accompagnato l’esibizione e lo spettacolo.
Onore a quelle mamme impegnate nella guerra che combattono al fronte, a quelle dedicate a difendere i loro piccoli e non solo, a quelle che hanno dovuto lasciare il paese.
'Stefanìa' è andata oltre le intenzioni, evolvendosi da canto per la propria terra madre a inno per il proprio paese in guerra.
Interpretata in uno scatenato e coinvolgente ritmo proposto in un mix tra rap e folk che ha vinto con il voto amplissimo di tutta Europa, che ha riconosciuto il valore artistico della canzone ma anche la voglia farli sentire stretti in un abbraccio potente.
Un canto, che tradotto in Italiano dice nel suo ritornello: “Stefania mamma mamma Stefanìa/Il campo fiorisce,ma lei sta diventando grigia/Cantami una ninna nanna mamma /voglio sentire la tua parola”. Mi ha cullato,mi ha dato il ritmo e probabilmente la forza della volontà;…Camminerò sempre da te per strade dissestate …” . E continua con un testo profondo che vale la pena di leggere, tradotto, nella sua totalità.
La vittoria della Kalush Orchestra è arrivata subito dopo la giornata dedicata alla mamma nel mondo; certo, una casualità.. ma ci piace farne un dono che abbracci tutte le madri che soffrono per la morte in guerra dei propri figli: in Ucraina ma anche in Russia, in Afghanistan o in Etiopia e in tutti i conflitti in atto.
Se parlare di madri rischia sempre di perdersi nella banalità e nella retorica, rimane un fatto che - quando come gli ultimi giorni di febbraio a fronte dell’attacco Russo all’Ucraina le abbiamo viste, le madri, in migliaia lasciare le loro case per mettere in salvo i bambini dichiarando in ogni occasione che il loro desiderio fosse tornare “a casa” il prima possibile - abbiamo necessariamente pensato a loro col massimo rispetto e affetto, aldilà di ogni retorica. Abbiamo compreso e rispettato la loro scelta, considerata evidentemente terribile ma necessaria.
Sono passati quasi tre mesi dall’inizio della guerra e abbiamo conosciuto tanto di più delle donne ucraine: madri, combattenti, giovani, anziane, protagoniste impegnate ad ogni livello nel paese cominciando dalla vice premier Iryna Vereshchuk. Lei che in un intervista rilasciata alla Repubblica nelle prime settimane di guerra dichiarò: ”..mi sento la mamma di tutti i bambini ucraini che stanno nei rifugi e negli scantinati”.
Rifugi, scantinati, divenuti fra i luoghi drammatici e consueti dove la gente si è rinchiusa per salvarsi e di cui continuiamo ad avere notizia; fino agli anfratti, ai sotterranei dell’acciaieria di Mariupol divenuta il simbolo stesso della resistenza dell’Ucraina dove civili e militari per settimane hanno convissuto. Ed è proprio li, dopo l’evacuazione dei civili, quando il 16 maggio è arrivato da Zelensky ,alle centinaia combattenti stremati “l’ordine “ o l’imput o l’invito ad evacuare iniziando dai feriti, che molte televisioni hanno mostrato un uomo in divisa, stremato dalla disperata e sovrumana resistenza cantare 'Stefanìa'. Non semplicemente una canzone, non più solo il simbolo di una vittoria certo importante, ma pur sempre di una gara canora, ma un una sorgente di energia che da coraggio utile a vincere ben altra tragica “gara“, in corso in Ucraina.
Nel guardare quell’uomo in divisa cantare con tanta convinzione quell’INNO alla speranza mi domando se in quello che non sembrava più il pezzo allegrissimo della Kalush Orchestra, ma una preghiera, ci sia da parte di quel soldato la consapevolezza di parlare di una madre a cui si rivolge ovunque nel mondo, sperando che abbia sempre una risposata alle domande per quanto difficili o impossibili.
Paola Ortensi
Lascia un Commento