Parliamo di bioetica - Sopravvivenza delle generazioni future / nuova concezione del pianeta e della relazione uomo-natura / danno ambientale non monetizzabile
Maria Antonietta La Torre Mercoledi, 08/04/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2009
Le scelte che oggi compiamo sono essenziali per la possibilità di sopravvivenza delle generazioni future.
La coscienza ambientalista ha introdotto una nuova concezione del pianeta e della relazione uomo-natura.
Se le leggi si riducono al pagamento di sanzioni fanno apparire "monetizzabile" il danno ambientale.
La storia dell'uomo può essere ricostruita come la vicenda del suo tentativo di rendersi indipendente dai condizionamenti imposti dall'ambiente naturale. L'azione del coltivatore neolitico, che disboscava per rendere il territorio coltivabile, rappresenta, a ben vedere, uno dei primi tentativi di interferenza con gli equilibri naturali. L'esistenza dell'umanità non può realizzarsi senza esercitare tale influenza. Tuttavia, l'incidenza che quello poteva avere non è, ovviamente, neppure lontanamente paragonabile agli effetti prodotti dallo sviluppo della tecnica negli ultimi secoli.
La coscienza ambientalista ha introdotto una nuova concezione del pianeta e della relazione uomo-natura, ha insegnato ad osservare con occhio critico molti risultati che erano considerati "conquiste" e rivelatisi invece forieri di conseguenze disastrose sull'ambiente, ha introdotto la nozione di "biosfera", mostrando il pianeta come un insieme complesso nel quale tutti gli elementi sono in interrelazione, cosicché la "sofferenza" di una parte di questo insieme ha ripercussioni sulla vita di tutti gli altri elementi, compreso l'uomo. Da ciò anche la più recente difesa della biodiversità, concepita come patrimonio irrinunciabile per la sopravvivenza del pianeta, all'equilibrio e alla vita del quale sono indispensabili tutti i viventi presenti anche nella più remota nicchia della foresta amazzonica.
La misurazione dei rischi ambientali, lo studio dell'effetto-serra, delle piogge acide e dell'assottigliamento della fascia di ozono intorno al pianeta, la scoperta del rischio di esaurimento delle risorse, dei danni biologici e anche genetici che l'alterazione del mondo naturale comporta, l'inquinamento crescente, l'estinzione di moltissime specie viventi a causa dell'alterazione dell'equilibrio delle diverse nicchie ecologiche non sono soltanto questioni che riguardano gli scienziati ai quali si chiede di individuare qualche rimedio, gli industriali ai quali si impone l'uso di depuratori, i politici ai quali si chiede di ripartire diversamente le voci dei bilanci statali, ma producono effetti sulla nostra cultura, poiché richiedono una trasformazione degli stili di vita. Con la coscienza ecologica si sviluppa, infatti, una riflessione critica sull'organizzazione delle società tecnologiche e, in particolare, sui valori ed i principi che regolano la condotta. In questa nuova prospettiva, perseguire il "progresso" comporta imparare a fare un uso più oculato delle risorse, ossia, in definitiva, a consumare di meno. Ma dal punto di vista morale sorge anche un’altra domanda essenziale: la natura ha soltanto un valore strumentale, ossia merita considerazione in quanto è funzionale, necessaria, utile ai bisogni dell'uomo, oppure ha un valore intrinseco, vale a dire autonomo, proprio, in quanto esiste indipendentemente dall'uomo e merita di essere preservata per la sua bellezza? La necessità di tutelare la natura, motivandola con i rischi che la sua distruzione comporta per la sopravvivenza umana, è ormai coscienza comune. Il motore principale degli attuali interventi a tutela dell’ambiente è il timore che il pianeta possa divenire d'un tratto inospitale o addirittura inadatto alla vita umana, insomma, la percezione del pericolo. Tuttavia, quando i provvedimenti legislativi o le "soluzioni" si riducono al pagamento di sanzioni, che fanno apparire "monetizzabile" il danno ambientale, al pari di qualsiasi altro "furto", proviamo un senso di disagio, forse perché le risorse perdute non verranno ricostituite, forse perché vi sono altre esigenze ugualmente importanti, forse perché, appunto, conferiamo alla natura un valore che va al di là del suo uso.
Ciò implica che ciascuno di noi e tutti insieme non siamo responsabili soltanto del nostro piccolo spazio circostante, ma abbiamo l'obbligo di pensare su scala planetaria ai danni globali che le nostre scelte di consumo possono provocare. La peculiarità dell'umanità rispetto alle altre specie viventi non si individua nella capacità di modificare l'ambiente, poiché tale attitudine è condivisa da ogni creatura vivente che interagisce col proprio habitat e così facendo inevitabilmente lo modifica e incide su di esso, ma nella possibilità di scegliere in quale misura e secondo quali modalità esercitare tale azione, oppure non esercitarla affatto. L'uomo non solo modifica l'ambiente che lo circonda, ma può decidere quanto e come farlo e può optare, al limite, per l'astensione da certe azioni. Tale considerazione genera una responsabilità, poiché, laddove è dato scegliere, occorre tenere in considerazione le conseguenze della propria condotta e, nel caso particolare, riflettere sui rischi per l'ecosistema e in tal modo problematizzare la relazione uomo-natura. L'etica ambientale suggerisce dunque un'estensione della responsabilità, riconosce nella salvaguardia della natura un valore, connesso alla responsabilità per tutti i viventi e insegna ad accantonare, ogni volta che sia possibile, il calcolo fondato sull'analisi costi-benefici, ossia la valutazione della condotta sulla base di un raffronto tra l'investimento richiesto (in termini economici, energetici, ecc.) e i vantaggi o l'utile conseguito. Nella relazione con la natura, vi sono importanti fattori non misurabili, quantificabili o monetizzabili.
La crisi ecologica configura, dunque, una responsabilità che si estrinseca in un principio di solidarietà nei confronti di tutta l'umanità, presente e futura. Del resto, i disastri ambientali, si tratti di esplosioni nucleari o dell'affondamento di petroliere, provocano danni per tutti i paesi del mondo, danneggiano l'ambiente comune, non si fermano ai confini di uno Stato, né si fermerebbero ai confini neppure dello stato più attento alle politiche ambientali. Perciò non basta chiedere ai propri governi leggi adeguate, ma occorre preoccuparsi anche delle condizioni e delle politiche dei paesi meno sviluppati, perchè la tutela della natura non è solo questione di opportunità, ma di giustizia. La strenua difesa di un piccolo guadagno per pochi non è più sostenibile né è possibile ignorare le ripercussioni delle scelte politiche in materia ambientale sui nostri simili e sul loro diritto ad un ambiente vivibile, che garantisca la qualità della loro vita. La solidarietà può essere intesa in maniera ancora più estesa se si conferisce un valore all'esistenza delle generazioni future e si sancisce il rispetto dei diritti di coloro che ancora non sono nati, ma dovranno subire le conseguenze di una condotta dissennata. Infatti, le scelte che oggi compiamo sono essenziali per la possibilità di sopravvivenza delle generazioni future. Se le condizioni di vita e forse l'esistenza stessa di un genere umano dipendono dalla nostra condotta, non siamo moralmente obbligati ad adottare delle regole di condotta che tengano conto di tutto ciò?
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