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Età pensionabile: opinioni a confronto

Età pensionabile: opinioni a confronto

Pensioni / 3 -

Ribet Elena Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2009

Valeria Maione, consigliera di parità regionale. Regione Liguria

"Ritengo che l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne sia, ad oggi, inaccettabile. Credo che l'età pensionabile anticipata sia da ritenere una sorta di compenso, seppur tardivo; un riconoscimento del valore delle donne, notoriamente più brave dei maschi nella formazione, ma con maggiori difficoltà nel lavoro. E un riconoscimento del valore della maternità come ‘riproduzione di forza lavoro’ e della cura come ‘seconda attività’ non retribuita. Se non rimuoviamo i presupposti delle pensioni più basse, ossia i differenziali salariali, se detassiamo straordinari e premi di produzione, notoriamente destinati in misura maggiore alla componente maschile, in quanto più libera da vincoli temporali e spaziali, non facciamo politiche per le donne. Vedo favorevolmente la proposta di Bini Smaghi su un patto sociale che preveda un ritardo generalizzato dell'età pensionabile per favorire chi perde il lavoro. Se riguarda tutti può avere un senso. Quanto alle donne una soluzione sarebbe riuscire a organizzare il sistema valoriale che faccia riferimento non alla quantità, ma alla qualità della prestazione. In Italia guardiamo più alla presenza e al numero di ore trascorse nel luogo di lavoro, che non agli obiettivi e risultati raggiunti, dimenticando che le donne sono impegnate su due fronti, quello del lavoro e quello della cura. La valorizzazione della cura, che si rivolge a più soggetti, i bambini, gli anziani, i malati, i disabili, e vede le donne protagoniste, è cruciale. Anche se sono riconducibili a legami affettivi non si può disconoscere che quelle attività abbiano un valore per l'intera collettività e rappresentino una ricchezza per il Paese."

Alida Vitale, consigliera di parità regionale. Regione Piemonte

"Estendere l'età pensionabile è già possibile per legge, in alcuni casi. Penso che la sentenza della Corte di giustizia Europea sottolinei il fatto che in Italia esiste una disparità di trattamento, ma credo che si dovrebbero equiparare le condizioni di pensionamento solo se si mette mano alla situazione delle donne che hanno avuto figli. Ad esempio, si potrebbe calcolare quanti anni di anzianità riconoscere per ogni figlio. Il beneficio è collegabile all'usura psicofisica dell'essere madri. Noi consigliere di parità ci battiamo proprio su questi temi. Da un lato per l'aumento dei servizi e per la conciliazione dei tempi, dall'altro per la condivisione delle responsabilità incentivando i padri a usufruire dei congedi. Le imprese vedono ancora la gravidanza come motivo disincentivante all'assunzione di donne. Aumentando l'indennità del congedo per paternità si può fare un salto in avanti, non solo dal punto di vista culturale. Un padre che prende congedi parentali è considerato un surrogato: sono passati quasi 9 anni dalla legge Turco e i risultati da questo punto di vista sono ancora carenti. Lo spirito della legge è infatti quello di sottolineare il congedo come un diritto di ciascuno dei due genitori. C'è ancora molto da fare per trovare sistemi che rendano più appetibile il congedo per i padri dal punto di vista economico, affinché non risulti deteriorato il reddito familiare. Però servono strumenti concreti: in Piemonte il POR prevede che una parte dei finanziamenti europei vengano utilizzati per voucher ai padri che prendono i congedi parentali."

Claudia Serio, consigliera di parità regionale. Regione Sicilia

“Sono favorevole alla parità di trattamento pensionistico tra uomini e donne, tema per altro affrontato già dalla ex Ministra Bonino. Credo che la parità nel lavoro sia già raggiunta, abbiamo delle leggi che la garantiscono. Le differenze salariali sono legate più che altro alla possibilità di ottenere benefit o di effettuare straordinari. In questo senso, la parità potrà essere raggiunta solo quando le donne saranno libere di delegare a terzi i servizi di natura domestica o che riguardano la cura dei figli. La loro indisponibilità a lavori più impegnativi è quasi esclusivamente subordinata all’assenza di servizi. Io non percepisco una discriminazione delle donne, ma penso che le donne siano sole ad affrontare i problemi collaterali. Ad esempio, la scarsa richiesta di congedi di paternità è un problema di natura culturale. In una coppia con figli la scelta di assentarsi dovrebbe essere condivisa. Penso sia solo una questione di tempo. Oggi gli uomini investono in lavori di maggiore responsabilità e prestigio, quindi conviene che sia la donna a ripiegare verso lavori che consentono maggiormente di assentarsi. Inoltre, ritengo che le donne abbiano maggiore interesse verso la cura dei figli piuttosto che verso la realizzazione professionale, sia per un fatto innato sia per una questione culturale, in particolar modo percepisco questo nel Sud. Nella mia esperienza, ho visto che le assenze per malattia delle donne sono dieci volte maggiore rispetto agli uomini. Non solo per necessità, ma perché queste donne, con il proprio partner, si mettono d’accordo così. In Inghilterra si pensava di rendere obbligatorio anche un periodo di paternità: potrebbe essere una soluzione per responsabilizzare gli uomini e far capire che la nascita di figli riguarda anche loro. Penso che il discorso sull’età pensionabile vada affrontato sugli aspetti contributivi. È un problema giuslavoristico, non una lotta tra sessi.”

Raffaela Gallini, consiglierà di parità provinciale. Genova

"Penso che sia necessario un insieme di misure che vadano nella direzione di quello che definiamo ‘welfare di cura’. Ritengo che sia indispensabile eliminare i differenziali retributivi, tenendo anche conto che l'Italia rispetto al resto dell'Europa è il fanalino di coda relativamente alle discriminazioni di genere tra cui anche quella della diversa età pensionabile. È necessario pure tenere in considerazione il fatto che le donne, non potendo arrivare ad una anzianità contributiva, vengono penalizzate relativamente all'importo della pensione percepita. In questo modo, le donne rischiano di far parte in futuro del settore sociale di massima povertà. Perciò a questo tipo di misura ne vanno collegate altre per la conciliazione e la condivisione dei tempi di vita e di lavoro che consentano alle donne non solo di poter accedere, ma anche di rimanere nel mercato del lavoro. Ancora oggi almeno due donne su dieci lasciano la propria occupazione in corrispondenza della nascita del primo figlio. In Italia siamo ancora lontani dagli obiettivi di Lisbona di accesso al nido, con circa il 5% contro il 33% indicato per il 2010. Gli altri stati europei stanno investendo in modo massiccio sulla responsabilità sociale delle imprese e su una diversa organizzazione del lavoro che favorisca la conciliazione. Il punto sta nello sfruttare appieno i talenti e far capire che un mercato del lavoro che penalizza le donne rappresenta una perdita per tutta la società e per le aziende stesse. Ci vogliono patti territoriali tra aziende, enti locali e Stato per dare strumenti nuovi e più flessibili per l'inclusione sociale delle donne, di pari passo con una eventuale riforma delle pensioni".

Ester Lovisetto, consiglierà di parità provinciale supplente. Vicenza

“Sono d’accordo che l’età pensionabile per le donne sia comparata a quella dell’uomo. Non mi risulta che, storicamente, le donne inizino a lavorare dopo rispetto agli uomini, pensiamo ad esempio agli anni della crisi in cui le bambine iniziavano a lavorare anche a 12 anni. È vero che alcune donne interrompono la carriera lavorativa per maternità, la quale non viene considerata come un bene sociale e diviene così motivo di discriminazione solo a carico della donna. Per questo motivo le strutture sociali dovrebbero intervenire per sostenere questo bene sociale che è la maternità. Si tratta di intervenire su aspetti quali la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura da parte delle strutture pubbliche, con un impegno sostanzioso.

Un altro aspetto importante da considerare è che le donne sono più longeve e godono di migliore salute rispetto agli uomini. Questo vantaggio dal punto di vista lavorativo, di recupero anche in termini di carriera, va visto nel contesto di un prolungamento dell’età lavorativa.

Ritengo anche che la componente femminile debba essere valorizzata in ambito occupazionale, come risorsa non ancora utilizzata da parte della società e dell’economia. Occorre rivalutare le donne per i contributi forti e innovativi che portano, per le loro capacità e doti insite, in quanto portatrici di diversità di interpretazione e di competenze trasversali significative ed efficaci.





* a cura di

(24 febbraio 2009)

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