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Estetica dello ius sanguinis

Estetica dello ius sanguinis

Attacco femminista alla ministra Kyenge (e ai suoi alleati maschi) La pretesa immotivata di introdurre lo ius soli è “una persecuzione per i neonati stranieri”

Giovedi, 13/06/2013 - Un anno fa il presidente Giorgio Napolitano insieme con Gianfranco Fini allora presidente della Camera sollecitarono “l’applicazione automatica della cittadinanza” a stranieri nati in Italia, proposta che venne esibita come tendenza nobile mentre in realtà condensa l’indirizzo di un arbitrio. La cittadinanza rappresenta una forma di “elezione politica e culturale” della persona, portandola a far parte di una comunità che gli conferisce i diritti privati e pubblici, lo protegge ma esige aderenza agli obblighi. Lo scopo della cittadinanza è quello di istituire soprattutto un orientamento, una lealtà, un’armonia tra coloro che la compongono. Quindi non è attributo territoriale ma è pilastro del sistema sociale, della sua “Estetica”. Istituisce l’obbligo di aderire lealmente alla convivenza, condividendo idee e senso della giustizia. Tutti elementi che servono a realizzare relazioni aperte, e significa piacere e sicurezza del vivere, aderire attivamente.

La cittadinanza è quindi una condizione culturale (non solo territoriale) che si perpetua tra le generazioni attraverso l’imprinting familiare che è addestramento naturale del neonato. Lo ius sanguinis rispecchia quindi una realtà sociale ed è anche proiezione e trasmissione di tendenze conservate biologicamente tanto quanto lo sono i tratti del corpo, i quali stampano indelebilmente l’appartenenza alla madre e al padre. Così nasce lo ius sanguinis.



Il requisito della cittadinanza non è definizione territoriale. Questi i motivi per cui si “impone” a chi lo richiede giuramento di fedeltà, cioè un più o meno consapevole addestramento e adattamento a realtà modificate rispetto ad abitudini pregresse. Il risultato tende a costruire adesione a finalità già predisposte dalla società, stimolando un dinamismo psicologico teso a modificare statuti e regole di etnie arcaiche. Tanto è vero che l’acquisizione della cittadinanza prevede l’osmosi programmata mediante corsi di educazione a finalità istituite dalla storia di una nazione. Lo ius sanguinis ha carattere e origini molto complesse che non sono né possono essere identiche al sentimento che lo ius soli dovrebbe far lievitare obbligando il richiedente a una più o meno sofferta trasformazione personale. Lo ius sanguinis prima di ogni altro statuto è proiezione di un legame eterosessuale (importante perché sintetizza anche lo sviluppo moderno della relazione tra i sessi) sintesi di significati che si estenderanno fino all’irraggiamento di comportamenti modificati di tempo in tempo allo stesso neonato. L’intreccio dinamico tra i componenti è essenziale per la struttura della famiglia mentre l’imposizione dello ius soli apre di fatto distonie e contrasti tra il bambino naturalizzato e il proprio nucleo familiare e parentale. Per inciso ricordo che lo ius sanguinis è fondamento religioso tra le popolazioni islamiche per le quali noi cattolici siamo definiti “infedeli”. “Credo” che li vincola a comportamenti e divieti sacralizzati individualmente non modificabili pena la sharia.

Ad esempio il matrimonio con persone di credo diverso è vietato. Come si può pensare di imporre ai loro neonati un requisito che stravolgerà “certezze inossidabili”. Stralcio un episodio narrato da Massimo Nava, giornalista del Corriere della Sera, in “Carovane d’Europa” (Rizzoli), un grande e divertente affresco sugli spostamenti di massa delle popolazioni mondiali. Un testo ricco di intuizioni sul futuro degli stati. Descrive la fuga dei turchi dalla Bulgaria raccontando di un adolescente islamico che esibiva un tatuaggio con la mezzaluna sul braccio sinistro, fatto che non piacque ai bulgari i quali lo costrinsero a subire la modifica chirurgica della mezzaluna trasformandola in una falce incrociata a un martello. Il ragazzo subì l’intervento dichiarando “Io rimango musulmano”.



Il tentativo di Napolitano, Fini, Bersani e Vendola insieme con altri è per ultimo quello caparbiamente preteso dalla ministra Cécile Kyenge (la quale ha dichiarato che quello è il suo obiettivo principale per sanare un vulnus “come avviene in tutti i paesi civili”, ha precisato). Siamo di fronte a una donna (mai eletta dai cittadini) che professa un’avversione immotivata. Oltre che impreparata appare sospinta da un risentimento evidente nel modo in cui sollecita in altri pretese arricchite da squalifiche dell’Italia che si presentano ad alto rischio per la popolazione. Né dobbiamo ignorare che la “tolleranza” impostaci da finalità puramente economiche delegittima la trama delle nostre regole istitutive e fatto ancor più pericoloso frattura le nostre difese psicologiche spingendoci a una avventura senza ritorno. Il dottor Sergio Franchi di Lavinio (il quale conosce la materia in quanto ha prestato servizio presso le Nazioni Unite) ha pubblicato sul Litorale che, dai siti online, si evidenzia che soltanto 5 paesi a vario titolo e con limitazioni applicano lo “ius soli” mentre in ben 26 paesi (europei) vige con lievi diversificazioni lo “ius sanguinis” che significa acquisizione della nazionalità per nascita da genitori che già la posseggono. Franchi ricorda che solo la Francia grazie a una travagliata storia applica fin dal 1515 lo ius soli, tuttavia nel 1994 ha modificato la legge che regolamentava l’automatismo dello ius soli vincolandolo al raggiungimento dei 5 anni. In sostanza applica la stessa legge che vige in Italia. Gli Stati Uniti – pur avendo accolto il fenomeno delle migrazioni per sviluppare la propria economia – oggi applicano severe forme selettive. Anche in Gran Bretagna l’attribuzione della cittadinanza indicava e rafforzava il dominio secolare di colonizzazioni tragiche.

Credo che la Kyenge ignori soprattutto che l’adeguamento imposto con decreto a un bambino islamico non è una forma di gratificazione, anche se accettata o meglio subita, ma si trasforma in una prevaricazione. Infatti la cittadinanza non è solo il mettere in moto l’apparato dello stato applicando una certificazione diretta a sottoporre un bambino straniero a prove esteriori di omologazione. Significa appartenenza ad altri significati, cioè a un altro mondo!

Tanto che l’“operazione” potrebbe essere vissuta come un’incursione autoritaria tendente ad affrancarlo dai genitori svincolandolo da parentele con il risultato di incrinare il suo spazio affettivo per imbalsamarlo nel ruolo di “straniero in famiglia” oppure in quello di “privilegiato tra diversi” dato che ad altri componenti della famiglia viene negata una comune condizione politica. Una trappola ideologica ideata da demagoghi non priva di rischi.

La vita di ogni bambino è soprattutto permeata da altri eventi e significati che vengono da lui assimilati giorno dopo giorno come struttura dell’esperienza. E’ uno sviluppo affettivo che proviene dalla famiglia e dura oltre ogni tempo. L’universo emotivo è il primo fondamentale “laboratorio” psichico del neonato, spazio d’appartenenza alla madre e al padre imprimendo tendenze e sfumature delle comunità di provenienza dei genitori ma anche dei nonni e dei diversi parenti. Il linguaggio soprattutto regola ogni sua primaria manifestazione di vita e di apprendimento, strumento che radica in modo indelebile nei dinamismi cerebrali la memoria complessa del quadro affettivo e dei processi neuronali e comportamentali tessendone la psicologia. In quella fase purtroppo si fisseranno drammaticamente “i ruoli” di madre e padre che condensano tutti gli squilibri e le storture ereditate.



Imporre per decreto una qualsiasi cittadinanza a un neonato comporterà un suo dissesto interiore perché negli anni scolastici gli si chiederà di praticare il rigetto di significati cementati nella famiglia tanto che l’immissione di paradigmi interpretativi diversi provocherà in lui una involontaria frattura tra sé e i genitori dei quali dovrà rinnegare tendenze ed orientamenti incrinando il lato affettivo tra consanguinei. Sarà un vivere indolore? No, perché gli si imporrà di configgere con le attitudini di sorelle e fratelli “nati cresciuti ed educati altrove”. La sua diventerà un’esistenza sorvegliata da uno stato che pretenderà la sua progressiva trasformazione nel “ritratto” di un italiano. Una esperienza mai richiesta fino a oggi a nessun immigrato adulto verso il quale – al contrario – si blatera sul suo diritto imprescrittibile a conservare tendenze inaccettabili. Mentre per i figli verrà articolata una continua scomposizione mentale per respingere senz’appello le finalità di genitori che sono e saranno la loro fonte reale di sicurezza e anche il loro più radicato legame.

Quei bambini si sentiranno degli immigrati nell’anima perché si è tentato di strappare loro la dimensione emotiva assorbita fin nella gravidanza e nei primi anni simbiotici con la madre, neonati che verranno costretti a modificare i propri connotati culturali – tra i quali il senso religioso che andrebbe posto al centro della bilancia – per essere ridotti a testimoni passivi approdati a una progettazione astratta e provvisoria, quella di insegnanti e scuole. Chi potrà credere che quei bambini inquinati da continue sostituzioni di senso saranno immuni da pericolosi sdoppiamenti Questo è un dubbio che non può trovare risposte nella torbida ipotesi della “integrazione”, considerato che l’islamismo e l’animismo sono dei grandi focolai di impulsi elementari e spesso irrazionali i quali proietteranno i loro effetti soprattutto sul mondo femminile italiano, il quale dovrà riarmarsi per neutralizzare quei veleni irrorati in future geometrie sociali che islamici animisti o anche cristiani integralisti continueranno a promulgare e manifestare contro il mondo femminile dalle controversie sui figli nati da islamici e italiane alle mutilazioni genitali pretese dagli uomini e fatte praticare anche in Italia. Il febbraio scorso è stata celebrata la giornata mondiale contro tale amputazione che non può essere ridotta a “mutilazione genitale” poiché questa investe l’intero corpo pietrificando in modo profondo anche la psiche.

Tali violenze divulgate come “rituali religiosi” sono per molti uomini provenienti dal medio ed estremo oriente qualità di “patria e cittadinanza, società e stato” tanto che la teoria dell’amore e del matrimonio sono per loro sintesi di dispotismo maschile, orientamento che fermenta nell’esasperante vivere e comunicare solo tra uomini facendone degli squilibrati. Che dire poi della sconvolgente lapidazione di donne che il mondo “digerisce”, manovrando mediocri iniziative o plateali manifestazioni. Mai nessun intervento diplomatico adeguato è stato azionato dall’Europa o dagli Stati Uniti, abbiamo però visto la Nato su iniziativa francese bombardare il popolo libico con lo scopo principale di uccidere Gheddafi a copertura ignobile dell’arricchimento personale di Sarkozy.

Ma una visione patetica della politica continua a minare il percorso umano alimentando – attraverso un perenne monumentale “teatro dell’inconscio” – un’ipnosi che deforma le idee e crea lo spazio per negazioni e sfruttamenti disumani.



E’ evidente quindi che il senso di appartenenza di qualunque bambino non potrà essere alimentato per inoculazione di deformanti pillole scolastiche che già nutrono in Europa migliaia di uomini sfigurati maniaci. A quei neonati sarà imposto un allineamento che potrebbe spingerli in uno stato paludoso visto che dovranno crescere nel mescolamento inestricabile di tendenze islamo-cattoliche sottoposte da secoli a spinte centrifughe, in occidente un disordine mentale che moltiplicherà la distanza dagli attuali percorsi delle comunità occidentali. Credete forse di poter affidare a bambini mentalmente congestionati il compito di contaminare tradizioni etniche straniere e nazionali o di scongelare il millenario spirito di clan dei Rom animati da un forte tasso di conflittualità verso qualsiasi regola? I nostri neuroni conservano la memoria di abitudini e significati. Quello sconsiderato regalo dello ius soli si trasformerà in una progettata comune condizione da “esiliate politiche” per tutte noi donne. Ci chiediamo “perché volete costringerci ancora una volta ad alzare la voce per disgregare superstizioni e combinazioni di tracotanza che nel linguaggio corrente vengono risibilmente definite ‘tradizioni’ e non ‘reati’”? Forse perché le vittime designate di tale arretramento nei codici di convivenza sono e resteranno soltanto le bambine e le donne.

Attenzione inoltre al fatto che integralisti islamici cattolici o animisti di qualsiasi etnia potrebbero aggregarsi per sintonia in corporazioni o partiti come è già avvenuto a Bruxelles ove sui pennoni del Parlamento europeo sventola una bandiera nera dell’islam accolta erroneamente come simbolo di omologazione di cittadinanze assegnate a immigrati ma anche come estensione del continente verso est. Operazione già sperimentata nel passato che ha evidenziato come il sommarsi traumatico di “inculture” e di ambizioni nefaste sia stato ostacolo allo sviluppo positivo tra i sessi, ricordiamoci della moltiplicazione della tratta di adolescenti e giovani donne rapite ovunque, anche in Africa, per prostituirle ai nostri concittadini europei in tal modo ri-addestrati diffusamente al sadismo.

Una prospettiva pericolosa che combinata con l’aumento della clandestinità mai impedita ci sovrasterà poiché in futuro vedremo affidati posti chiave a individui meteore del Corano – la maggior parte degli immigrati è maomettana – o della Bibbia, si pensi alla tragedia innestata in Palestina dal “popolo eletto” che dopo duemila anni torna nella terra promessa non si sa da chi. Individui freneticamente armati dal voto e da un inglobamento artificioso carico di comportamenti arcaici per i quali chiederanno tutela. Quanto ci costerà in termini di paralisi dello sviluppo l’innesto di tutte quelle scemenze sistematizzate nelle religioni. Senza un sistema di idee modificato profondamente dalla integrazione delle sommerse vicende storiche femminili nessuna politica sarà in grado di fermare spinte dispotiche.

Non trascuriamo il fatto che una clandestinità diffusa è il detonatore dell’insicurezza, crea sfilacciature che logorano le civiltà. Perché invece non assegniamo al neonato il requisito della residenza che rappresenta un presupposto giuridico per eventuali futuri riconoscimenti e potrebbe anche essere nel tempo attribuita ad altri componenti della famiglia? Ciò garantirebbe anche la facoltà di revoca in caso di gravi reati, conflitti politici, attenti alle tensioni e agli episodi che si stanno diffondendo in Inghilterra, Norvegia, Danimarca, Francia, Rosarno.



Pongo un interrogativo: come si possa (in casi di gravi reati o attentati terroristici) decretare l’espulsione di genitori “privilegiati” dal requisito di cittadinanza attribuito al figlio minore? Oppure – nel caso in cui il nucleo familiare ritorni nei paesi di provenienza – come proteggere una bambina italiana da matrimoni forzati e precoci (dodici anni) preordinati dal diritto islamico? O addirittura come impedire mutilazioni o punizioni tremende?

Ciò può non preoccupare voi uomini, ma perché noi donne dovremmo essere costrette ad affrontare ancora una volta ostilità tremende? Perché permettere la creazione di assurdi “centri antiviolenza” entro i quali vengono isolate donne e bambine mentre soggetti violenti continuano a scorrazzare liberi dato che i magistrati li considerano appunto “normali” cittadini? Ma in quei luoghi non dovrebbero essere invece isolati quei “terroristi” per essere riabilitati?

Noi donne dobbiamo impedire che progetti di dubbio orientamento allontanino nel tempo la valorizzazione della millenaria esperienza femminile trasformando le donne nel più grande irrisolvibile problema politico. Durante il governo Monti un ministro – intervenuto su Rai News – elencava tra i problemi da affrontare quello “dei giovani, delle donne e degli immigrati” testuale facendomi fare un balzo sulla sedia. Dunque le donne e le loro vicende trovano posto tra gli immigrati. Squilibri discorsivi che evidenziano uno scompenso mentale che andrà a innestarsi nei codici familiari soprattutto degli immigrati già fortemente compromessi da religioni e tradizioni rafforzando fanatismi e ginofobie, che è una grave malattia mentale ancora non inscritta come tale. Paradossalmente mentre stiamo cercando di fronteggiare il grave teorema dello “slancio assassino” di mariti amanti e fidanzati sento ancora parlare di “questione femminile” quel volgare paradigma marxista che noi femministe abbiamo cancellato dalla storia.



Inoltre il velleitario tentativo di gonfiare i dati aritmetici della popolazione causati dalla “caduta della natalità” mediante una azione colonizzatrice su figli di immigrati è del tutto arbitraria. A Giorgio Napolitano segnalo che la denatalità della popolazione italiana non è un fatto numerico ma la prova lampante di un appariscente scompenso sociale predisposto con appropriazioni e delapidazioni scandalose di ricchezze, mentre non hanno mai la stessa quotidiana euforia per far decadere l’accanita persecuzione politica e sociale contro la maternità delle cittadine italiane. Presupposto di vita rimosso da barbari governi europei che milioni di giovani donne hanno finalmente con grande lucidità contestato al grido “se non ora quando”. Napolitano, Bersani, Marino e la ministra Cécile Kyenge si stanno muovendo senza consultarci, cresciuti stretti dentro le maglie di partiti dal campo visivo ridotto mettono all’asta i principi dell’esistenza differendo nel tempo gli equivoci della loro deteriore visione dell’esistenza.

Giovani uomini stanno sperimentando per la prima volta nella storia lo stupore corporeo della paternità perché si sono lasciati permeare dalla ricchezza del corpo. Ma molti sono mentalmente ancorati al secolo scorso. Lo stesso presidente Napolitano recita un cerimoniale da mondo islamico trascinando sempre dietro di sé confusa tra i servizi d’ordine la moglie Clio, che sono certa abbia molto da dire E noi vorremmo poterla ascoltare.



di Elvira Banotti

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