Iori Catia Lunedi, 05/12/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2011
Le mie amiche ed io stessa siamo sommerse da una fitta vita di impegni perseguiti con zelo perfezionistico. Si saltella da una riunione all’altra, si corre per uscire a cena e fruire di una parvenza di relazione sociale, si pianificano le attività future con un ritmo a dir poco schiacciante. Poi qualcuna smette quasi di mangiare, l’altra si trova inchiodata a letto per un mese, vittima di un dolorosa distorsione e ci si trova fatalmente a fare i conti con se stesse. Scopriamo improvvisamente che spesso, il lavoro o l’accudimento dei figli “totalizzanti” sono semplici paraventi dietro cui si nasconde la paura di fermarsi e di riflettere. Il corpo con qualche malessere importante si assume l’incarico di comunicarci ciò che la mente si ostina a ignorare: la stanchezza per una vita spesa in viaggi e trasferte, frettolose pause-pranzo di lavoro, incontri fugaci, stati di estrema tensione per decisioni che non ammettono errori. Sinora l’urgenza del presente si è imposta sulle altre dimensioni del tempo, limitandoci al “qui ed ora” imposti dalla fretta che domina il mondo del business o delle famiglie che assoggettano pure i piccoli alle agende da manager incalliti. Non siamo mosse dalla lusinga della ricchezza e del successo, grande illusione degli anni Ottanta, ma da una delirante perversione a fare di più e ad arrivare ovunque. Così correndo, si arriva sfibrati alla meta, al punto da perdere per strada il gusto della vita, il traboccante calore dei sentimenti e la gioia di esserci. Di qui un malessere strisciante per scelte non completamente nostre ma quasi subite, forse indotte dal desiderio di essere all’altezza delle aspettative altrui, delle famiglie e di insegnanti prima, dei dirigenti aziendali, poi. In una società in cui il valore personale è rappresentato dall’efficienza, l’autostima si misura sulle prestazioni erogate, ma se non c’è un metro di riferimento la richiesta diventa assolutamente illimitata e travolgente. Un fare che, avulso dal fine e ignaro dei mezzi, diventa uno scopo per se stesso. Ci stiamo accorgendo tuttavia che questa corsa a ostacoli non prevede un traguardo né promette alcuna vittoria, consente soltanto il parziale, provvisorio superamento del senso di inadeguatezza, la fragile consapevolezza di avercela fatta, almeno per stavolta. Trovo necessario, in tempi in cui nessuna sa davvero che cosa possa riservarle la vita negli anni a venire, prendersi delle pause per dare senso compiuto alle nostre vite, prendendone le fila e lavorarci su con gioia e tenacia. Giunte alle domande essenziali, penso che le opportunità siano così importanti che solo riprendendoci l’anima possiamo affrontare il futuro con un gesto di libera, intelligente e creativa autodeterminazione. Chi scopre la voglia di decidere aumenta la propria gioia di vivere. È ora, care amiche: usciamo dalla difensiva e con coraggio vinciamo inutili riservatezze e resistenze interiori. Ciò non significa agire in modo sconsiderato: tra paura e irruenza ci sono infinite gradazioni e sfumature intermedie, ma uscire dal proprio angolo protetto, questo sì, è davvero urgente. E allora la resilienza di cui siamo capaci ci porterà lontano perché tenendo dritta la barra del timone, e incassando gli inevitabili colpi della sorte, sappiamo dove indirizzare la nostra nave e - credetemi - in un mondo frastornato come questo, già solo la ferma decisione di correre come un fuso ad esprimere la propria unica e irripetibile identità, è primato da outsiders.
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