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Essere madri, ma anche no

Essere madri, ma anche no

Non è un Paese per madri e Senza Figli, edizioni Laterza. Due saggi strettamente connessi tra loro, tanto da rendere fluido passare agevolmente attraverso le pagine, in continuità. Non sono semplicemente due saggi, sono un viaggio tra dati, fenomeni, de

Sabato, 06/12/2025 - Non è un Paese per madri e Senza Figli, edizioni Laterza. Due saggi strettamente connessi tra loro, tanto da rendere fluido passare agevolmente attraverso le pagine, in continuità. Non sono semplicemente due saggi, sono un viaggio tra dati, fenomeni, desideri, politiche, cultura e problemi strutturali. Prigioni più o meno soffocanti e vincolanti, che ci riguardano da vicino. Un modo per approfondire e avventurarci all'interno di ruoli, stereotipi, una realtà che viviamo quotidianamente.
Ne abbiamo parlato con l'autrice Alessandra Minello, ricercatrice di Demografia al Dipartimento di Scienze Statistiche dell'Università di Padova, tra modelli, prospettive e un quotidiano che ci mette di fronte a scelte inattese e impreviste. Con una particolare capacità di approfondire e di fornire interpretazioni innovative a problemi troppo spesso banalizzati e distorti.

In Italia, ma non solo, nascono sempre meno bambini. Perché una dimensione che apparentemente dovrebbe essere semplice diventa così complicata?
La riflessione è cominciata con Non è un Paese per madri, per proseguire con Senza figli. Il percorso è poi approdato anche a un progetto di ricerca demografica presso l'università di Padova, denominato "Forties" sulla maternità tardiva, dopo i quarant'anni. Si fanno figli sempre più tardi, ma questo non significa necessariamente che si arriva più preparati e consapevoli. Il percorso per diventare genitori è complesso, specialmente per le donne, con carichi mentali pesanti, violenza ostetrica, solitudine. Il punto di partenza è stato la raccolta dei dati, per comprendere davvero cosa accade, cosa si prova. C'è una grande differenza sulla base dell'età in cui si fa il primo figlio. Ovviamente, più in là si fanno i figli più si riduce il tempo per farne altri, oppure di fronte a una maternità difficile che non corrisponde alle aspettative, non si va oltre il primo figlio. La condivisione del percorso del periodo gestazionale può avere i suoi benefici. I consultori hanno cambiato molto l'approccio e il ruolo, con ricadute pratiche non da poco. I Centri per la famiglia, che si vanno diffondendo ben oltre la Lombardia, dove sono nati, e i consultori sono due approcci e mentalità diverse, a cui si aggiunge la crescita dei consultori privati. Spesso poi, subentra il senso di abbandono dal punto di vista sociale. La dimensione economica ha un suo peso, che non possiamo dimenticare, ma evidentemente non è l'unica in gioco. Insomma, più fattori si sommano.

I fattori e le scelte
Queste dimensioni, economiche dei singoli o relative ai servizi pubblici disponibili, non sono le uniche cause perché non si creano le condizioni per la genitorialità.

"Gli individui sono sistemi complessi. Pensare alla dimensione economica come esclusiva, come l'unica che determini la scelta di diventare genitore o meno è senza dubbio riduttivo. Significherebbe riconoscere la superiorità del principio di razionalità di fronte a una scelta che ha invece forti implicazioni emotive e anche simboliche. Allo stesso tempo, ridurre la scelta economica alla presenza o meno di un servizio, alla presenza o meno di un bonus economico risulta riduttivo. Proprio perché siamo sistemi complessi in un sistema sempre più complesso, non basta un singolo specifico servizio per favorire l'intenzione di avere un figlio. Un approccio olistico che tenga conto della specificità delle dimensioni legate alla sfera sociale, economica e culturale è necessario per creare un ambiente veramente favorevole alla genitorialità, a prescindere dal fatto che queste nuove condizioni favoriscano un aumento dei nuovi nati o che, semplicemente, facilitino la vita di chi un figlio lo vorrebbe a prescindere. Politiche integrate che affrontino simultaneamente questioni di lavoro, abitazione, equità di genere, estensione della libertà di diventare genitori e supporto sociale hanno maggiori probabilità di influenzare il benessere ed eventualmente, chissà, la fecondità.
È importante qui sottolineare soltanto, ma lo vedremo approfonditamente, che quando si parla di questione economica non ci si sta riferendo a qualcosa di risolvibile attraverso misure una tantum come possono essere i bonus. L'ampiezza del problema richiede un approccio molto più ampio e strutturale. I bonus una tantum, come quelli offerti in vari paesi europei e verso cui i governi italiani paiono avere una grande predisposizione, vista anche la loro natura estemporanea, possono fornire un sollievo temporaneo, ma non considerano le sfide a lungo termine che le famiglie devono affrontare".

La genitorialità non è più una tappa necessaria e comune. È solo una tra le varie possibilità di realizzazione di uomini e donne.
Vivere la genitorialità come relazione, anche fuori dalla famiglia, è diventata una necessità delle nuove forme familiari.
Il tasso di fecondità sotto la soglia di rimpiazzo dura da 50 anni. La natalità dipende dalla struttura della popolazione. Essendoci poche persone nell'età giusta, si ha anche un minor numero di figli, anche laddove le risorse ci sono.
Oggi, vi è un diverso investimento sulla dimensione personale e lavorativa.
Siamo di fronte a un cambiamento dei bisogni, sia dal punto di vista della domanda che dell'offerta, le dimensioni sono cambiate. In passato, il senso di comunità incentivava la dimensione familiare e la fecondità. Oggi è solo residuale. Ma, non dobbiamo guardare ai cambiamenti come qualcosa di necessariamente negativo. Sono delle opportunità, delle possibilità di libertà, di valorizzazione dell'individuo oltre la genitorialità.
Occorre cambiare ottica, comprendendo che la questione della denatalità non è risolvibile, ma gestibile, ma non bastano le risorse economiche o i bonus una tantum. Le scelte di genitorialità hanno come cause altri fattori.

Anche nei Paesi nordici, con un welfare forte e relazioni più equilibrate nella gestione dei compiti di cura, la genitorialità non è più così elevata.
In Italia è difficile da dire, da raccontare, siamo ancora una società familistica, che fa fatica ad ammettere di non voler avere figli, permane una pressione verso la genitorialità. Ma è una genitorialità che viene vista solo all'interno della relazione eteroaffettiva, non viene accolta in altre forme familiari. Modelli familiari diversi, invece, si fanno sempre più strada e spesso sono portatori di maggior appagamento e soddisfazione.

Servizi pubblici gratuiti e diffusi territorialmente, quanto influiscono?
Certo c'è bisogno di asili nido, per chi desidera avere bambini o ne ha già. Ma non porterà a un cambiamento concreto significativo, così come non avviene, in generale con le politiche pronataliste, vedasi il caso dell'Ungheria, dove a fronte di grandi investimenti, la fecondità continua a calare.
In Italia si è ridotto anche il contributo alla fecondità da parte delle donne di origine straniera.
Le cause: una quota di donne di origine straniera sono uscite dall'età feconda o si scontrano anche loro con una carenza di servizi. Il calo della fecondità è un trend globale, è un cambiamento globalizzato. Anche quando si pensa di poter incrementare le nascite con l'apporto delle migranti è un approccio con aspetti di cui tener conto. Si tratta di una visione che guarda al corpo delle donne migranti che viene valorizzato solo per la sua funzione riproduttiva, un modo per incrementare le nascite senza varare politiche di welfare e supporto. È sfruttamento del corpo delle donne migranti, con uno sguardo in stile colonialista.
Spesso l'approccio risente di una visione e di una impostazione lasciata ai tecnici, che invece incarnano una visione profondamente politica di scelte e di posizione.
Le politiche pronataliste non pensano davvero a colmare le diseguaglianze economiche. Si guarda solo alla coppia bianca, etero e benestante. È una visione che lascia poco margine all'espansione della società. Si pensi anche al bonus pensato solo per le famiglie numerose. Sussistono meccanismi di potere che regolano come gestire le risorse. Si cerca di appagare e rinforzare il senso di appartenenza a una visione. Non perché si hanno a cuore davvero le famiglie.
In Italia occorrerebbe investire maggiormente sulle politiche sul benessere complessivo delle persone, anziché spingere su quelle sulla natalità.
Il fenomeno è ancora più comprensibile se guardiamo al tasso di genitorialità dei migranti italiani all'estero: l'aspetto economico migliore incide solo in parte sulle scelte di genitorialità, che infatti non sempre decollano.

Il mondo del lavoro
Il mercato del lavoro non è impostato per accogliere chi è genitore, chi è giovane, chi è donna. È l'anzianità non l'esperienza a premiare i lavoratori. La scuola è tuttora pensata come se uno dei due genitori non lavorasse. Non sempre per esempio si ha a disposizione un servizio di post-scuola o il tempo pieno. Quando si parla di bilancio, i fondi per le politiche per le famiglie sono sempre risicati, c'è bisogno di una redistribuzione delle risorse. Permane poi l'immagine della donna e della madre ancorata al passato, se ridefinisci i servizi lo fai per andare incontro alle varie possibilità di bisogni, di necessità e di modo di intendere la maternità, che può andare ben oltre gli stereotipi. Occorre rimodulare e rivedere, ripensare tutto ciò che ruota attorno alla genitorialità, compreso il mito della madre che persiste. Infatti, si danno per scontati i compiti di cura estesi e onnicomprensivi delle madri per figli e familiari non autosufficienti. Si pensa alle madri sempre performanti, efficaci, presenti, instancabili, organizzate e multitasking. Questo blocca l'evoluzione dei servizi di cura. Vi è una non curanza delle vite delle donne, e le aspettative ci schiacciano. Manca la cultura della cura della madre.

Parliamo di gender revolution in Occidente. In cosa consiste?
C'è un trend positivo in merito alla prima parte della rivoluzione, con un maggior numero di donne nel mercato del lavoro, con una lenta ma progressiva maggiore presenza anche nei ruoli apicali. Permangono le difficoltà di portare gli uomini nella cura, ci sono ancora molte resistenze.
Molte cose però stanno cambiando man mano con le nuove generazioni, in alcuni gruppi sociali, si notano molti cambiamenti di mentalità. Ma abbiamo bisogno di riforme più coraggiose, un terzo dei padri non prende nemmeno i dieci giorni di congedo retribuito. Spesso la contrattualizzazione di secondo livello penalizza le donne. Le aziende si stanno però molto muovendo verso condizioni migliori, per rendersi più attrattive. Questo porta a disuguaglianze tra chi lavora in ambiti attenti e capaci di integrare welfare aziendale che guarda a queste dimensioni e chi no. A livello aziendale in ambito privato è in corso una bella riflessione, sul tema del benessere del dipendente e la relativa produttività.

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