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Essere italiani? E' una condizione sociale, non uno status giuridico - di Cecilia Dalla Negra

Essere italiani? E' una condizione sociale, non uno status giuridico - di Cecilia Dalla Negra

Intervista a Elvira Ricotta Adamo, italiana di seconda generazione, membro esecutivo dell'UDU e promotrice della campagna "L'Italia sono anch'io"

Venerdi, 23/03/2012 - “La società civile è più attiva e molto più avanti della politica che la rappresenta. Questo risultato non fa che confermarlo”. Elvira Ricotta Adamo, 24 anni, è davvero soddisfatta. Quando la incontriamo in occasione dell’iniziativa “Donne italiane e nuove immigrate, l’anello forte della convivenza”, organizzata dalle donne del Partito Democratico in occasione dell’8 marzo, ha appena incassato un successo politico, ma anche personale. Pochi giorni prima gli organizzatori della campagna “L’Italia sono anch’io”, di cui è stata animatrice e sostenitrice, hanno consegnato alla Camera le firme raccolte in lunghe settimane di banchetti, tra le piazze e le strade d’Italia. Obiettivo raggiunto? “Veramente ampiamente superato: con 109.268 firme abbiamo raddoppiato le nostre aspettative”. La campagna è nata con l’obiettivo di ottenere i numeri necessari per presentare una legge di iniziativa popolare sulla cittadinanza, perché venga automaticamente riconosciuta ai figli di migranti che nascono su territorio italiano, superando quel limite imposto della maggiore età che, di fatto, crea una discriminazione cui sono sottoposti migliaia di giovani nel nostro paese. Ma ha visto anche un lavoro di informazione e dibattito in tante scuole, città e università del paese: “Un aspetto ancora più importante, perché ci ha permesso di entrare in contatto con le persone, parlare, spiegare. Il dato più incredibile è che la maggior parte della gente non ha idea di questa situazione, neanche i più giovani che magari a scuola condividono il banco con un compagno di origini straniere, e non sanno a quale percorso è costretto dalla legge”. Per questo, secondo lei, con la consegna delle firme il lavoro non si ferma: “Abbiamo in cantiere ancora molte altre iniziative”. Attiva nel movimento studentesco e membro esecutivo nazionale dell’Udu, l’Unione degli studenti Universitari, Elvira è nata nelle Filippine ma, piccolissima, è stata adottata da una famiglia siciliana. La condizione di “cittadina italiana di fatto” le è ben nota ma, come spiega, “due occhi a mandorla fanno sempre una filippina, e un pezzo di carta fa sempre un italiano”. Ma cosa significa essere italiani per chi in questo paese c’è nato, ma di fatto non gode degli stessi diritti che sono garantiti ai suoi coetanei? Cosa significa nascere e crescere in un territorio, sentirne il legame di appartenenza, ma non vedersi riconosciuti dalla legge quegli strumenti necessari a rivendicare la condizione di cittadino oltre che di fatto, anche di diritto? Elvira non ha dubbi: “Essere italiani è una condizione sociale di fatto, non uno status giuridico. Significa, per esempio, vivere in prima persona anche tutti i problemi di questo paese. La difficoltà non è sentirsi italiani, ma essere visti così dagli altri”. Anche per questo è nata la campagna “L’Italia sono anch’io”, dall’esigenza “di alzare la testa. Un cartello di associazioni, che sono poi state seguite da tanti e tante altre, ha sentito il bisogno di aumentare il livello di attenzione su una tematica che, in Italia, è stata trattata sempre dalla destra con finalità strumentali. La questione dell’immigrazione fa notizia solo se si parla di ‘protezione da’, di temi legati alla sicurezza, come se i migranti fossero qualcosa da cui è necessario proteggersi. In alternativa se ne sente parlare in termini prettamente utilitaristici: il migrante alza il PIL, e diventa quindi una risorsa economica, disumanizzata. Ecco allora che abbiamo deciso di tentare un’inversione di rotta: iniziare a parlare di diritti, di parità di accesso alle risorse per tutti, di esseri umani”. Essere donne e migranti, nell’Italia di oggi, è ancora più difficile. Ma non per Elvira, che in questo senso ha le idee chiare: “Si tratta comunque di una battaglia per le pari opportunità. Noi, come cittadini di seconda generazione e donne lottiamo contro ogni forma di discriminazione, anche quella che ci riguarda più da vicino”. Perché secondo lei la situazione è complessa, ma la soluzione sarebbe semplicissima. “Basterebbe leggere e applicare l’articolo 3 della nostra Costituzione: è scritto chiaro e tondo che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso o di razza”.



Questo articolo fa parte del Progetto BARCAMP: Pari Opportunità, Donne e Migrazioni.

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