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Eredità civile e politica

Eredità civile e politica

Settantenni (e oltre) di oggi - Tocca alle giovani decidere cosa debba essere continuato della nostra esperienza. A noi tocca solo raccontarla. La testimonianza di Paola Gaiotti De Biase

Bartolini Tiziana Martedi, 21/02/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2012

Paola Gaiotti De Biase si è sentita sempre impegnata nella politica, a vario titolo e con ruoli diversi. Nella Democrazia Cristiana fino al 1984 (è stata europarlamentare), la sua formazione culturale l’ha poi portata verso il Pds (è stata Deputata) e a contribuire alla nascita prima dell’Ulivo e poi del PD. La sua particolare attenzione alla storia e alla politica delle donne è documentata da numerose pubblicazioni. Nel suo recente libro,’Passare la mano’ (ed Viella, con la prefazione di Romano Prodi), De Biase propone una sua memoria personale nell’intento di dare “l’ultimo contributo possibile ad un futuro che è ormai nelle mani di altre generazioni”. Abbiamo raccolto la sua testimonianza e le riflessioni di una donna che, a 84 anni, ripercorre la sua esistenza apprezzandone opportunità, lotte e vittorie. Riconoscendone anche le sconfitte.



Il suo percorso di vita si è intrecciato profondamente con la dimensione della politica, intesa come impegno civico. Dal suo puto di vista e con le sue esperienze, quanto manca alla nostra comunità nazionale una visione politica? Cosa perdiamo, tutti e tutte, nella nostra quotidianità e nelle prospettive future?

Io credo che da un po’ di mesi l’Italia stia vivendo una nuova primavera. L’oggi, in ragione di una crisi mondiale che ha la sua lontana origine nella svolta liberista, che era sembrata cancellare l'approdo a una cultura democratica consapevole che la solidarietà è una convenienza collettiva, è segnato in Italia da una serie simboli inequivocabili: la vittoria clamorosa ai referendum e alle amministrative, il sentimento popolare di celebrazione dei 150 anni, la giornata storica del 13 febbraio 2011, accompagnata da una serie di manifestazione di massa partecipate, ora la novità di stile e di dialogo del Governo Monti. In molti abbiamo sentito finalmente attenuarsi il disagio delle relazioni in un paese che non riconoscevamo più. Sia chiaro: sarebbe un errore politico dare a tutti quei simboli un valore di parte politica; anche se il messaggio politico è stato non a caso raccolto con più entusiasmo a sinistra che a destra, e nessuno può meravigliarsene, si tratta di molto di più. Si tratta appunto di una diversa domanda di etica, di coerenza, di responsabilità rivolta al proprio paese, si tratta di valore dell’unità e dell’accoglienza o di dignità della donna, o di antirazzismo, di sobrietà di comportamenti



Lei ha seguito con passione le tappe politiche e istituzionali che hanno portato, dopo Tangentopoli, alla nascita del Partito Democratico. Nel suo libro 'Passare la mano' e anche in altre riflessioni ha analizzato le scelte (e le non scelte) delle donne che erano ai vertici dei partiti. Quali sono stati gli errori o le sottovalutazioni delle dirigenti che più hanno pesato?

Rischio di essere troppo severa in ragione della brevità. Il movimento delle donne, dopo la vittoria nel referendum sulla 194, non ha mai affrontato i costi della sua frammentazione e separatezza in piccoli gruppi, inevitabilmente monotematici, malgrado il loro lavoro spesso eccellente. Le donne della politica hanno concentrato troppo la loro attenzione sui numeri della rappresentanza femminile anziché sulle centralità che l’agenda politica delle donne introduce nel progetto politico. L’esempio migliore riguarda la storia dell’Ulivo. Sono sempre stata convinta che le donne avevano nell’Ulivo una funzione di avanguardia, proprio perché meno segnate dalle ideologie politiche, e dal loro utilizzo strumentale, in posizioni di rendita. Sui temi caldi, le cosiddette questioni etiche, le donne vivono un’esperienza diretta, di centralità delle relazioni rispetto alla norma astratta; sono meglio attrezzate per mediazioni e le soluzioni concrete. Potevano porsi come leadership del nuovo intreccio di culture, di contaminazione. Chi ha tentato di farlo è stata spesso sola. Il contributo a sottolineare la centralità dei temi propri dell’agenda politica femminile entro le sfide della contemporaneità è stato marginale e frammentato.



In una sua riflessione inedita lei sollecita le donne, che "attraverso le loro riflessioni di genere hanno maturato molte consapevolezze", a "mettere a tema in termini politicamente concreti e praticabili la questione irrisolta di come si governano le istituzioni locali, nazionali, mondiali del nostro tempo". Anzi, dice che è loro "dovere"…


C’è un punto focale del rapporto fra il potere e le donne. Le donne sono ormai dagli anni Settanta un soggetto internazionale, (ma le radici internazionaliste del femminismo vengono da lontano) sempre più visibili come tali, come ha avvertito il fondamentalismo anti femminile di molti paesi, risvegliatosi proprio di fronte al crescere delle donne. Insieme sono naturalmente le più legate alle politiche del territorio, della vita quotidiana, dei piccoli problemi di ogni giorno. Il problema della globalizzazione è come mettere correttamente in rapporto reciproco positivo la democrazia, relativamente più facile, della piccola comunità, con un governo multilaterale del mondo, che non sia la vecchia logica competitiva degli interessi delle potenze. Quello di cui abbiamo bisogno è meno una pur nobile e legittima protesta pacifista, è una elaborazione politica concreta che affronti le logiche vecchie delle istituzioni internazionali.



Questo ha anche molto a che vedere con la pesante situazione economica e finanziaria che stiamo attraversando. Lei, che è stata europarlamentare e, poi, da deputata si è occupata della politica estera, come legge questa crisi, che sembra inarrestabile?

Questa crisi è, come già annunciato il fallimento della svolta di destra mondiale, di una politica che ha lasciato prevalentemente ingovernato il fenomeno della globalizzazione o meglio lo ha lasciato governare alla finanza, sostenuta in questo contraddittoriamente anche da certe moral majority più preoccupate dell’emergere di nuove soggettività e attese che capaci di guidarle con equilibrio. Il sogno di San Francisco, la Carta delle Nazioni Unite prima congelato nella guerra fredda, poi lasciato appena vivacchiare come il progetto europeo, ci fa trovare un mondo in cui costruire una governance unitaria democratica e universalistica sembra sempre più difficile. Ma la sfida resta quella: grandi organizzazioni continentali perché nessun paese, nemmeno Usa, Cina o Russia, può salvare il mondo da solo e una vera autorità sull’intero pianeta, per garantire i diritti di ognuno. Sembra una utopia impraticabile; ma è di fatto l’unica strategia, praticabile e concreta, che abbiamo davanti, anche se esige pazienza e piccoli passi.



Le donne della sua generazione cosa lasciano in 'eredità' alle giovani e alla democrazia del terzo millennio?


Tocca a loro, non a noi, decidere cosa debba essere continuato della nostra esperienza. A noi tocca solo raccontarla.



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