Mercoledi, 06/07/2016 - Il testo è una lunga intervista, in 'stile indiretto libero', che una nipote, ESTER MIELI, fa al nonno, ALBERTO MIELI, uno degli ultimi sopravvissuti ai lager nazisti ancora vivente.
Praefato da Padre Federico Lombardi, si avvale della postfazione di Riccardo Di Segni, rav capo della Comunità ebraica di Roma, e di un'affettuosa, nota finale - imprescindibile chiosa al testo - della nipote stessa.
E' un dolce, spontaneo 'sermo familiaris', il linguaggio letterario scelto per narrare esistenza ed atrocità vissute da Alberto, a volte, quasi, percorso da semi-dialettismi.
Ma questo rende ancor più immediato e commovente il racconto di una vita così sofferta prima, e poi, così ben spesa.
Oggi - ma lo fa da tempo - Alberto 'tramanda' le sue memorie, i suoi ricordi, nelle scuole, alle generazioni future, per non dimenticare di ricordare, perché i giovani che non 'sanno', non abbiano un giorno a 'negare' - come è BEN già successo - che tutto quanto non sia stato, ma che E' accaduto per davvero e come direbbe Primo Levi:
"Meditate, che questo è stato".
A tratti il senso del racconto viene dolcemente interrotto dai commenti affettuosi, evidenziati in corsivo, della nipote Ester che ne ha coordinato la stesura.
Ma è stato un modo, per lei, per avvicinare anche i suoi figli al suo caro nonno che è riuscito a diventare pure bisnonno: sì, perché la vita, dopo la sofferenza, gli è stata donata dalla sua famiglia, a cui è potuto tornare dopo il campo di concentramento e da quella di oggi, quella delle generazioni che stan crescendo e che dovranno, a loro volta, tramandare queste memorie perché ciò che è 'stato' - ancora una volta è giusto ribadirlo - non abbia a ripetersi, mai più.
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