Elena, Serena, Francesca, Valentina, Elisa, Lucrezia, Elisa. Economia, medicina, farmacia.. Questi i nomi e le facoltà delle sette universitarie, italiane, sette delle tredici giovani donne morte nel terribile incidente avvenuto in Spagna, l seguito del ribaltamento del pullman che le riportava a Barcellona, dopo la gioiosa festa dei fuochi d’artificio a cui avevano partecipato a Valencia. Un autista che ammette di essersi addormentato, un viaggio organizzato in maniera discutibile, perché il basso costo di soli 20 euro significava nessuna sosta per dormire, ma andata e ritorno tutta di seguito e con un solo autista per risparmiare.
Di questi fatti che daranno consistenza all’inchiesta ne sentiremo parlare a lungo ma quello che non vorremmo scordare mai e capire nel suo significato più vero è lo sgomento, il dolore il senso di sconfitta, incredibilmente nel primo giorno di primavera, che il tragico avvenimento rimanda a tante e tanti europei e la ragione profonda di questo sconforto. Sembra ovvio che una tragedia come questa generi dolore, ma qui c’è, si avverte, qualcosa di più che si legge nella simbologia che ci presenta; quanto mai significativa in un momento come questo di difficoltà dell’Europa e della sua prospettiva futura. La carovana dei cinque pullman, il cui ultimo ha avuto il terribile incidente, rappresentava un folto gruppo di studenti universitari protagonisti di quel trentennale progetto ERASMUS, ovvero possibilità di passare da sei mesi a un anno di studio fuori dal proprio paese, che sta formando, presumibilmente, più di ogni altra direttiva, cittadini europei quando non addirittura cittadini del mondo, in quanto ERASMUS si sta aprendo anche a studenti oltre il confine dell’Europa.
Un progetto che vede contaminarsi le culture, la ricerca e le prospettive della futura classe dirigente di questa Unione Europea, che oggi si dibatte fra problemi enormi che la vicenda degli emigrati che premono ai confini ha fatto esplodere come non mai. L’allegria dei giovani che possiamo immaginare, nella Spagna scelta da anni come una delle mete preferite, i fuochi d’artificio ammirati solo poche ore prima, con lo sguardo alto verso il cielo, il benessere di sentire che la primavera con tutte le sue aspettative era in arrivo, e la ripresa dello studio, dopo la sosta festosa avrebbe ripreso con lena; ci fanno immaginare ragazze e ragazzi avvolti in un sonno benefico, dopo avere: parlato forse cantato come avveniva un tempo nelle gite scolastiche. Un sonno, il loro, interrotto dall’incidente causato da chi non doveva dormire.
E allora la tragedia è frutto di un attimo, ma semina un dolore senza fine per quei genitori che - come stiamo imparando di ora in ora - sono corsi dalle loro figlie senza vita e anche da quelle/i in ospedale o da chi, vivo, ha partecipato a tanta tragedia. Un dolore che diviene grande perché tocca tutti gli adulti che hanno o hanno avuto e avranno figlie/figli, nipoti in centinaia, migliaia con l’ERASMUS in giro per l’Europa, che tocca tutti noi che seguiamo la tragedia ammirando i volti, nelle fotografie delle sette ragazze: belle, sorridenti con gli occhi vivaci pieni di futuro, a fianco delle foto del pullman in rovina. Un dolore che è dilagato perché ci riguarda tutte e tutti in un'Europa che fa tanta fatica a ”costruirsi” e in cui tanti giovani credono e si avventurano.
Ha fatto bene Renzi a partire subito, annullando qualunque altro impegno come Presidente del Consiglio a voler essere lì a Tortosa, luogo, cittadina divenuta tragicamente famosa, con le famiglie delle giovani morte e di quelle ferite a cui auguriamo di farcela e rimettersi in cammino, seppur con questo fardello indimenticabile. Hanno fatto bene le università che con un minuto di silenzio hanno sottoscritta quella che è una tragedia di tutti. Finire di scrivere sembra abbandonare il luogo del dolore, ma certo non è così e lo faccio immaginando Elena, Francesca, Serena, Valentina, Lucrezia, Elisa e ancora l’altra Elisa che, sedute tutte in file vicine, prima, forse, di addormentarsi chiacchierano e raccontano e ridono e guardano i telefonini, le foto scattate e pensano agli impegni di quella mattina dopo di primavera che per loro non è sbocciata.
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