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Era il 1987, e siamo ancora lì...

Era il 1987, e siamo ancora lì...

Linguaggio sessuato - Bene la raccolta di firme, ma occorre fare di più. Riflessioni e proposte.

Marcella Mariani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2007

Sono molto compiaciuta che 'noidonne' si stia attivando con tanto impegno sul problema del linguaggio sessuato e spero che l’iniziativa alimenti la pressione che si opera in vari campi. Tuttavia si deve tener conto che se non si fanno seguire proposte concrete agli appelli il lavoro resterà uno dei tanti tentativi che pur sono serviti ma hanno sempre incontrato opposizioni o disinteresse.
Mi permetto di prendere la parola su questo tema perché me ne occupo da più di trent’anni avendo avuto l’occasione e la fortuna di lavorare con Alma Sabatini alla stesura delle 'Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana' e alla raccolta del materiale per 'Il sessismo della lingua italiana'. Ricordo quindi bene le reazioni negative suscitate in tutti gli ambienti – in particolare in quello giornalistico – ma era il 1987, esattamente venti anni fa ed è comprensibile che in quei tempi non si fosse ancora pronti ad accettare un cambiamento che veniva visto come una rivoluzione persino da molti linguisti. Non da tutti per fortuna Francesco Sabatini, illustre linguista diventato poi presidente dell’Accademia della Crusca ci sostenne e curò la prefazione al nostro lavoro, ma le difficoltà furono tante e comunque previste tanto che iniziammo subito un lavoro a tappeto presso le scuole con molte insegnanti che si sensibilizzarono ed appassionarono alle nuove riflessioni sul legame stretto tra uso della lingua e rappresentazione della realtà, nella fattispecie dell’identità femminile. Il lavoro presso il Tavolo delle Giornaliste costituitosi presso la Commissione Nazionale per le Pari Opportunità avviò il discorso con le giornaliste di molte testate. Ma si deve ricordare, per avere un quadro realistico della questione, l’iniziativa a cui furono invitati i direttori di quotidiani e di riviste andò pressoché deserta. Ci fu un rifiuto dichiarato.
Queste sono piccoli tasselli del lungo percorso che stiamo ancora percorrendo. Diverso il grado di sensibilità mostrato dai giovani: per alcuni anni ho potuto realizzare un seminario sull’identità di genere e linguaggio sessuato presso la cattedra di sociolinguistica della terza università e posso dire che l’interesse e la partecipazione fu grandissima. Ma l’università è un ambiente con qualche aspetto schizofrenico infatti mentre da un lato acconsente a trattare argomenti del genere in concreto li rifiuta. Il relatore continua ad essere tale anche se si tratta di una docente, così il direttore, il ricercatore e via dicendo.
Questo per arrivare ad alcune riflessioni: intanto è certo che – come dice il socio-linguista Himes – la lingua tende a conservare “luoghi comuni, tabù, ambiguità, automatismi anche se resi privi di senso dai mutamenti sociali, in nome di un dover essere anziché di un essere, espressioni di valori simbolici di una cultura, il mezzo con cui una società costituisce, mantiene, regola ma anche modifica i rapporti sociali”. Questa riflessione la dice lunga sulle lentezze che noi recepiamo rispetto alle richieste lunghe venti anni ancora così poco recepite.
Però un’altra considerazione deve essere fatta e questa ci riguarda direttamente: noi, le donne, come viviamo questo cambiamento d’uso? Al di là di una cerchia ristretta, la nostra, che si batte in qualsiasi ambiente si trova, il mondo femminile in genere quanto sente il problema della identità di genere e il legame stretto di questa con la sua rappresentazione attraverso la lingua? Poco, direi e poco si fa per avvicinarle e sensibilizzarle. Non sono certo i mezzi di comunicazione di massa a contribuire e nemmeno, in genere, le nostre donne presenti nelle istituzioni.
Questo è un tasto delicato ma delicatamente diciamo che, pur tenendo conto di obiettive difficoltà che le nostre politiche possono trovare nelle relazioni pubbliche è un fatto che hanno mostrato un pudore, se così lo vogliamo chiamare, eccessivo.
Ricordo i tempi in cui si dibatteva in gruppi numerosi l’argomento e ricordo l’adesione totale di tutte o quasi, le stesse che negli ambienti di donne usano con cura un linguaggio sessuato ma che ora, una volta entrate nelle sale dell’ufficialità, si mimetizzano, non rettificano e dimostrano, una volta di più di non saper usare il loro potere, la loro autorevolezza o, purtroppo, di essere anch’esse convinte che la moneta maschile ha un valore corrente maggiore ed è meglio usare quella: direttore di redazione, amministratore unico sembrano più altisonanti di direttora/trice, ammimistratora/trice. Questi a mio avviso i punti su cui si deve impostare una strategia, al di là degli appelli pur molto importanti come punto d’avvio per poi seguire con azioni mirate su media e mondo femminile.

(9 ottobre 2007)

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