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Eppur si muove

Eppur si muove

Guatemala - Nel paese con il più alto numero di femminicidi, la Coordinadora de Organizaciones de Mujeres Ixhiles è diventata un punto di riferimento sul territorio e promuove diritti e una seconda opportunità

Garini Stefania Domenica, 23/05/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2010

Guatemala insanguinato. Al primo posto in America Latina per numero di donne assassinate, nella maggior parte dei casi (61%) per mano di mariti, conviventi o altri familiari cui, di fatto, è garantita piena impunità. Qui, dove la cultura machista è endemica e l’imposizione brutale sulle donne ritenuta normale, si consumano più di 700 ‘femminicidi’ ogni anno, cui corrisponde meno dell’1,5% delle condanne. E l’impunità favorisce l’escalation della violenza. Già nel 2007, il portavoce Onu Philip Alston riferiva che in 6 anni la popolazione femminile nel paese era cresciuta dell’8%, mentre l’indice di mortalità relativo era salito del 117%. E che vi sarebbero state più vittime di morti violente nei primi 25 anni di pace che nei 36 della guerra civile terminata nel ’96.



Il Propevi - Programma governativo di prevenzione ed eradicazione della violenza intrafamiliare - riceve in media 5.200 chiamate d’aiuto al mese. Ma, come nota l’antropologa Marcela Lagarde, “la violenza subita dalle donne non è solo fisica, fatta di stupri e pestaggi fin dall’infanzia, ma anche e soprattutto psicologica, economica e patrimoniale”. Le donne sono segregate in casa, hanno scarso accesso all’istruzione e al lavoro. E quando trovano un impiego, spesso in cambio di prestazioni sessuali, devono subire le molestie di colleghi e superiori.

Inoltre, le difficoltà economiche del paese spingono molti uomini a emigrare negli Usa abbandonando le mogli. “Mio marito era pieno di debiti, così ha deciso di andarsene in Florida e mi ha dato in custodia a suo fratello” racconta Maria Luz, 35 anni. “Per me è iniziato l’inferno: mio cognato mi picchiava e abusava di me, non avevo difese, mio padre non voleva saperne delle mie lamentele. Poi sono rimasta incinta e mio cognato mi ha cacciata via, sono stata costretta ad abbandonare il villaggio”. In casi come questo infatti le donne stuprate e incinte vengono segnate a dito e rifiutate dall’intera collettività; e capita che famiglia e autorità locali si accordino per privarle della casa e dei beni. “Ma io sono stata fortunata - dice Maria - Sono stata accolta dalla Red, che mi ha aiutata a trovare un lavoro da sarta con cui ora posso mantenere me e il mio bambino”. La Red -Coordinadora de Organizaciones de Mujeres Ixhiles - è stata fondata nel 1999 da un gruppo di donne, stanche di subire. L’associazione opera in Guatemala occidentale, nel dipartimento del Quiché abitato dai maya-ixhil, uno dei 22 popoli originari del paese. L’area Ihxil fu la più colpita dal genocidio dei maya, accusati di sostenere la rivoluzione per privarli delle loro terre. Il 45% dei massacri fu perpetrato proprio nel Quiché dove oggi le principali vittime della violenza sono le ixhiles, doppiamente discriminate in quanto indigene e in quanto donne.



La Red promuove “la presa di coscienza delle donne sui propri diritti e offre corsi di alfabetizzazione e professionalizzazione per permettere loro di uscire dal circolo vizioso dipendenza-povertà” spiega Juana Baca Velasco, coordinatrice. “Tramite la creazione di fondi di microcredito le aiutiamo a inserirsi nel sistema produttivo; inoltre diamo sostegno alle vittime di violenza e facciamo sensibilizzazione ‘politica’, in sinergia con le organizzazioni non governative (ONG) e statali che operano a tutela dei diritti. Il nostro obiettivo, oltre allo sviluppo integrale della donna, è contribuire a creare una cultura di pace e uno Stato democratico”.

Juana, a causa del suo impegno nella Red, si è inimicata alcune realtà istituzionali di Nebaj, un municipio del Quichè, cui facevano gola i soldi da lei gestiti per i progetti di microcredito. Dopo una serie di intimidazioni e pestaggi, nel 2004 Juana ha subito un attentato da cui è fortunosamente scampata. Oggi gli aggressori sono stati condannati ed è in corso un processo contro il sindaco di Nebaj, sospettato di essere il mandante dell’attentato. Malgrado le difficoltà, e la guardia del corpo che non la molla un attimo, Juana continua la sua lotta con le donne della Red, che oggi è punto di riferimento per tutto il territorio ed è riconosciuta anche dalle istituzioni.



Proprio a Nebaj il 6 febbraio 2010, insieme all’ONG italiana Cisv che opera in Guatemala dagli anni ’90, la Red ha inaugurato la Defensoria de la mujer I’x, una struttura per l’accoglienza delle donne in fuga dalle violenze familiari (spesso con figli al seguito), che offre anche assistenza legale e psicologica. La Red si sta organizzando per avviare una cooperativa che garantisca la commercializzazione equa ed etica dei prodotti delle donne. Nella Defensoria infatti si svolgono corsi e laboratori di artigianato, sartoria, tessitura, cucina, pasticceria... quest’anno a beneficiare delle attività formative della Red saranno almeno mille donne. “Ma auspichiamo che ci sia un effetto a cascata su tutto il territorio, che contribuisca a diffondere una mentalità più aperta e rispettosa degli altri” dice Maria Luz. “Quel che ci interessa di più è il cambiamento culturale. Non è la povertà a spaventarci, ma il clima di disprezzo, violenza e omertà che da sempre noi donne subiamo e che le istituzioni non contrastano ancora a sufficienza”.

In Guatemala, pur esistendo alcune leggi avanzate per la tutela dei diritti delle donne - come il Decreto 22 contro il femminicidio approvato nel 2008 - esse restano per lo più inapplicate a causa di corruzione, razzismo o machismo degli stessi operatori di giustizia. “Per una donna picchiata o stuprata rivolgersi alla polizia o all’ospedale significa subire un trauma e una violenza aggiuntivi” spiega Anna Avidano, coordinatrice espatriata dell’ong Cisv in Guatemala. “Perciò la Red ha dato vita a un servizio di ‘conciliazione’ che interviene per mediare nei casi di conflitto e abuso familiare o comunitario”. A questo servizio si rivolgono al 90% le donne, ma non mancano casi di uomini che accusano altri uomini. “Naturalmente la conciliazione non agisce nei casi più gravi, come lo stupro: allora si consiglia alle donne di sporgere formale denuncia, sostenendole poi passo passo” spiega Anna.

“Per anni mio marito mi ha massacrata di botte, i miei lo sapevano ma mi dicevano di resistere” racconta Isabel. “Un giorno mi sono rivolta alla ‘conciliazione’. Hanno voluto incontrare mio marito. Poi mi hanno fatto seguire dei corsi e mi hanno trovato un lavoro. Ho iniziato a sentirmi più sicura, più forte, e a opporre resistenza alle prepotenze e alle parole cattive di Juan. Adesso lui non mi tocca più con un dito”.



L’impegno delle donne guatemalteche inizia ad attirare l’attenzione della comunità internazionale, come è emerso in occasione del “Tribunal de conciencia” (il 3° al mondo dopo Giappone e Perù) promosso nel paese dalle organizzazioni femminili dal 3 al 5 marzo 2010. Il Tribunale ha condannato le violenze e le torture sessuali commesse durante la guerra su migliaia di donne e bambine. Una vittoria solo simbolica, ma che fa intravedere nuove prospettive per la condizione femminile nel paese.



Stefania Garini (*)

(*) Giornalista specializzata in tematiche sociali e ambientali, responsabile Italia per il settore Informazione dell’ong Cisv





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(24 maggio 2010)

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