ENRICHETTA CARACCIOLO FORINO già suora, garibaldina, scrittrice - di Francesca di Caprio
Un racconto storico scritto da Francesca di Caprio per conoscere un "bell'esempio di vita coraggiosa"
Venerdi, 04/12/2020 - ENRICHETTA CARACCIOLO FORINO giàsuora, garibaldina, scrittrice
(Napoli, 17 febbraio 1821, ivi ,17 marzo 1901)
Racconto storico di Francesca di Caprio
Un bell’esempio di vita coraggiosa è quello offerto da Enrichetta Caracciolo Forino. Per un mio libro mi stavo occupando di monacazioni forzate e di memorie di donne a lei contemporanee imbattendomi casualmente nella sua autobiografia, pubblicata con il titolo Misteri del chiostro napoletano. La lessi tutta di un fiato come un romanzo di avventure al femminile, avvenute quasi esclusivamente nel recinto della famiglia e del convento dove la giovane era stata forzatamente collocata e dove si batté coraggiosamente per uscirne; successivamente nacque la fede patriottica che si concretizzò in azioni coraggiose (1). Il mondo di donne descritto nel libro, così diverse tra loro, donne sempre l’una contro l’altra, grette, invidiose, ignoranti eppure tutte ugualmente schiacciate da un sistema che le opprime e le mortifica. Così Enrichetta deve compiere un percorso di vita in salita e terribilmente solitario se le donne a cui può ricorrere sono le martiri, lontane apparizioni che contendono all’uomo il privilegio dell’eroismo e testimoniano il contributo delle donne al rinnovamento dell’umanità. Enrichetta si guadagna la sua libertà con una lotta ostinata, coraggiosa, senza cedimenti, che apre prospettive in grado di modificare la società futura mostrando come la cultura e la scrittura possano diventare un’efficace arma di propaganda.
Enrichetta nacque a Napoli il 17 febbraio 1821, quinta di sette femmine, nell’antico palazzo del padre, don Fabio Caracciolo principe di Forino, maresciallo dell’esercito napoletano, poi caduto in disgrazia con l’accusa di complotto verso i sovrani borbonici, fatto che procurò alla famiglia notevoli difficoltà economiche. Solo quando Francesco I concesse perdono e amnistia, Caracciolo recuperò la sua importante posizione e la vita della numerosa famiglia ritrovò rinnovato prestigio e agiate possibilità economiche che permisero alle prime tre figlie di sposarsi con una dote adeguata.
Enrichetta era intanto diventata un’adolescente sensibile e romantica, con un grande interesse per la lettura e con ampia cultura in quanto “alle figlie si negava la libertà personale ma non l’istruzione” (2) ma una serie di circostanze negative - due corteggiatori sfumati ( uno per mancanza di dote, l’altro per eccessiva gelosia) , la morte dell’amato padre, la ferrea e ambigua volontà materna - fecero sì che la madre, avendo deciso di risposarsi, iniziasse, a insaputa di Enrichetta, le pratiche per introdurla nel monastero benedettino di San Gregorio Armeno di Napoli, dove già si trovavano due zie paterne, con la promessa di riprenderla a casa dopo due mesi. Bisogna ricordare che siamo in un’epoca in cui un articolo del codice civile consentiva espressamente ai genitori di costringere più o meno le proprie figlie a pronunciare i voti o almeno di rinchiuderle in istituti religiosi. Venuta casualmente a conoscenza della sua ammissione al monastero. Enrichetta prorompe in singhiozzi disperati, implora misericordia, piange un pianto senza fine, estremo sospiro di un’agonizzante, ma invano. Sabato 4 gennaio 1840 viene accompagnata al chiostro con il volto coperto da un fitto velo affinché il pianto non diventi oggetto di supposizioni tra il popolo accorso e giungono così al luogo fissato.”Le porte si spalancarono: orride fauci di mostro. Mi sentii di repente aggraffata per le mani, spinta,urtata alle spalle, trascinata non so dove: udii stridere con sinistro cigolio i catenacci che risbarravano l’orribile porta; mi fu strappato il nastro che fermava il cappello, tolto lo scialle… ed allorquando cominciai a discernere partitamente gli oggetti, mi trovai inginocchiata innanzi a un grande cancello di legno dorato. Era il coro”. (3)
Enrichetta dovette accettare di iniziare il noviziato, ricoperta con una veste di lana nera, la chioma scarmigliata, gli occhi tumefatti dal pianto, mentre dalla folla si levavano gemiti di compassione. “Quando la Badessa prese le grandi forbici per tagliarle la lunga e inanellata chioma , le suore strinsero in un’unica treccia i lunghi capelli per reciderli, una voce si elevò dai convitati gridando:”Barbara, non tagliate i capelli a quella ragazza”. Tutti si volsero, bisbigliarono di un pazzo. Era un membro del Parlamento inglese ma le suore invitarono la badessa a tagliare; la chioma cadde e Enrichetta prese il velo. (4)
Colta e amante degli studi, Enrichetta si scontra nel convento con la grettezza, l’invidia e la diffidenza di monache ignoranti tanto che viene denunciata per la lettura di libri “mondani”. Così la giovane è ”colta in flagrante dalla badessa con il libro in mano:” che state leggendo di buono, figlia mia? Lasciatemi vedere!” diss’ella. Non essendo più a tempo di celarmi, mi convenne porgerle il libro, non senza viva inquietudine rispetto alla giustificazione che bisognava addurre. La badessa si mise gli occhiali, e lettone il frontespizio, mi restituì chiuso il volume, dicendo:”Memorie di Sant’Elena; ah, la vita della madre di san Costantino! Quanto è calunniata sempre questa povera figliuola!” Era il Memoriale di Sant’Elena! L’egregia superiora di San Gregorio ignorava il nome e la fama di Napoleone il grande”. (5)
L’anno successivo al noviziato Enrichetta dovette fare la solenne professione per la quale occorrevano 1800 ducati per la dote, 700 per le spese della funzione per arrivare ad un totale di ca. 3000 scudi:”quanti milioni di dote al divino e umile Maestro dei dodici pescatori!” commenta ironicamente Enrichetta!
Procurata con fatica la somma necessaria, arrivò, nel 1841, il giorno fatale della solenne professione e la giovane, dopo essere stata trattenuta nel confessionale dalle 7 fino alle 11, lesse a voce alta il giuramento dei quattro voti, poi venne steso a terra un tappeto.”Mi fecero coricare boccone su quello, quindi mi coprirono tutta con una nera coltre mortuaria, portante nel mezzo un cranio ricamato. Quattro candelieri con torce ardevano ai quattro lati; la campana andava suonando lugubremente i tocchi dei morti… Uscita la gente, i ferrei cancelli del monastero tornarono a stridere sui loro cardini. Non doveva più avere né madre, né sorelle, né parenti, né amici, né sostanza alcuna”. (6)
Tuttavia rimase ferma e incrollabile nell’animo di Enrichetta la risoluzione di lasciare ad ogni costo quel luogo dove prosperavano le macchinazioni e traboccava il fiele dell’invidia. Nel 1846, incoraggiata dal diffuso clima di speranza nel “papa liberale”, presentò a Pio IX la prima di una serie di istanze volte ad ottenere lo scioglimento dei voti o almeno una dispensa temporanea per motivi di salute, ma l’accanita persecuzione dell’arcivescovo di Napoli, Riario Sforza, nelle cui mani venivano rimandate le petizioni da Roma, le negò sempre il nulla osta. Arrivò finalmente il 1848 che presagiva imminenti cambiamenti dei quali Enrichetta si teneva al corrente per mezzo dei parenti, con una sempre più lucida consapevolezza dell’intreccio tra la propria personale oppressione di donna e la grande tragedia delle popolazioni meridionali. Le suore la tacciavano di rivoluzionaria, aggregata a società segrete, eretica così che, proclamata dal re Ferdinando I delle Due Sicilie la libertà di stampa, Enrichetta iniziò a comprare apertamente i giornali dell’opposizione e a leggerli ad alta voce. I moti ebbero vita breve , il Re spergiuro tornò a Napoli e la sorte tornò a favore del dispotismo con lo scatenarsi della feroce repressione borbonica sotto la protezione austriaca. Arrivò così il 15 maggio 1848, “giorno nefasto di reazione, che noi napoletani ricorderemo sempre con rossore…. il cannone non cessava di vomitare palle e mitraglia sulla misera Napoli...la sorte pendeva a favore del dispotismo”. (7)
In tali, dolorosi frangenti Enrichetta ricevette una insperata Breve papale che le accordava l’uscita dal monastero con obbligo di soggiorno in un conservatorio, così, dopo nove anni di crudeli angosce, la coraggiosa suora varcò nuovamente quel cancello che aveva creduto di non poter più oltrepassare, ma oltre il quale le venne però imposto di lasciare le argenterie e le pietre preziose ereditate dalle zie monache. Era la mattina del 28 gennaio 1849. Fu accolta, obtorto collo per la sua brutta nomea, presso il conservatorio di Costantinopoli dove però le suore con la badessa erano totalmente ligie alla Curia e ai Borboni per cui Enrichetta subì una drastica censura. Quasi costretta alla fuga per le angherie che subiva,, una sera prese la difficile decisione dell’evasione e si rifugiò in casa della madre. Il rancoroso Riario Sforza diede però l’ordine di arrestarla per cui madre e figlia in tutta fretta fuggirono cercando riparo presso il cardinale di Capua, uomo di rara bontà. Le venne consigliato di entrare nel ritiro dell’Annunziata, dove era libera di uscirne per tutto il giorno, purché vi pernottasse. Grandiosa è l’Annunziata di Capua, un vasto fabbricato con chiesa bellissima, dove le religiose vivevano in discrete stanze separate mentre le proiette, in numero di circa trecento, dormivano stivate in lunghi ed oscuri corridoi, in condizioni bestiali, seppur lì riunite sotto gli auspici della Chiesa alla scopo di una riforma morale !...
Essendo stato sostituito il suo protettore Cardinale, Enrichetta tornò a Napoli dove un amico ecclesiastico riuscì a procurarle il permesso di abitare con la madre e di riottenere i suoi frutti dotali. Solo nel 1849, grazie ai disturbi nervosi di cui soffriva, ottenne il permesso di uscire con la madre, con cui si era riappacificata, per curarsi con i bagni, ma l’anno dopo Riario Sforza tornò a perseguitarla negandole una nuova licenza e sequestrando l’assegno dotale. Non solo, la giovane venne arrestata dal temibile commissario Morbelli, lo spavento di tutta Napoli, in compagnia di un pretino, e condotta nel ritiro di Mondragone, forse per l’animosità di Riario Sforza. Questo ritiro era una specie di carcere a vita: a Enrichetta venne vietato ogni cosa, come le precisò la badessa:”Il leggere e lo scrivere vi sono proibiti da’ superiori fino a nuovo ordine...Proibito di vedere o di parlare con chicchessia, non potete ricevere né i parenti né gli amici né i conoscenti vostri, né tantomeno gli estranei...vi sarà assolutamente proibito d’affacciarvi alle finestre, di salire al terrazzo, di passare pel parlatorio… Non vi sarà permesso di avere persona alcuna al vostro servizio... forse chiusa lì a vita” (8) . A questa terribile condanna a vita Enrichetta cadde svenuta a terra.
Lo stato doloroso in cui si trovava provocò un tracollo fisico e mentale nella giovane che tentò anche il suicidio ma sopravvisse e riuscì a superare un intero anno di spietato isolamento, infatti non le permisero di lasciare il ritiro neppure per visitare la madre morente. Conservò un solo filo di comunicazione clandestina con il mondo esterno: era l’involto di biancheria da lavare che inviava alla madre e che nascondeva brevi messaggi. L’isolamento era totale e unico oggetto di grata distrazione erano gli insetti,i soli compagni viventi della sua solitudine: il rosicchiare del tarlo, i gorgheggi di un lontano canarino, le formiche… Dopo due anni e mezzo di clausura, di speranze svanite, di sofferenze, finalmente la pratica avviata a Roma tramite una zia ottenne dalla Sacra Congregazione dei Vescovi – fortemente critica verso il comportamento del vescovo di Napoli - l’invio di un medico che prescrisse la cura dei bagni a Castellamare, dunque fuori della diocesi di Riario, per allontanare Enrichetta dal suo persecutore. Finalmente, il 4 novembre 1854, dopo oltre tre anni di crudele prigionia, Enrichetta rivide la luce del sole, depose l’abito monastico, segno della sua servitù, sostituendolo con un semplice velo nero.
Ormai la donna, entrata a tutti gli effetti nella rete cospirativa, tornò clandestinamente a Napoli dove, per sfuggire alle spie borboniche, cambiò in sei anni molte abitazioni e donne di servizio delatrici elaborando un un sistema di controspionaggio. Via via il concetto di “Italia una” si affermava in tutta la penisola e, scacciati i Borboni da Napoli, dopo l’epica impresa dei Mille, Garibaldi giunse a nella città addobbata a festa: Enrichetta avrebbe voluto essere la prima cittadina a stringere la mano del Generale ma la folla, cresciuta a dismisura, la fece quasi morire di asfissia. Solo dopo, in cattedrale, mentre Garibaldi ascoltava il Te Deum di ringraziamento per la fuga del re Francesco II, - era il 7 settembre 1860 - si tolse il velo nero dal capo e, ripostolo su un altare, lo restituì alla chiesa che glielo aveva dato vent’anni prima.
In quel giorno finiva la prigionia di Enrichetta:” Da quell’istante considerai strappato pur l’ultimo filo che mi vincolava allo stato monastico; e il nome di cittadina che dato a tutti non contiene alcuna distinzione, divenne per me il titolo più proprio, più bello ancora dell’antico civis romanus, come quello che per noi risale nell’unità di Dio e rivela, sostituita alla città di Roma, una città Italia”. (9) E con il velo nero lasciato sull’altare, Enrichetta depose i suoi rancori verso la Chiesa.
Solo mezza pagina è dedicata ad un cambiamento profondo nella sua vita che avvenne subito dopo: Enrichetta conobbe un patriota napoletano di origine tedesca, Giovanni Greuther, uomo di sentimenti elevati, di mezza età, che sposò col rito evangelico dopo che la Chiesa aveva ricusato il consenso alla benedizione del matrimonio.
Con la seguente domanda termina l’autobiografia di Enrichetta:”Perché, compiendo gli uffici di buona moglie, di buona madre, di buona cittadina, perché pur io non potrò aspirare ai tesori della Divina misericordia?!” (10)
Finalmente libera, Enrichetta si dedicò, a trentanove anni, alla stesura del bellissimo volume che fu apprezzato da Manzoni e da Settembrini mentre il fotografo Alinari volle ritrarre l’autrice. Le sue memorie vennero pubblicate a Firenze nel 1864 e poi tradotte in varie lingue. I ricordi sono espressi con grande scioltezza, con una narrazione viva ed accattivante, sia quando traccia il quadro generale degli ordini religiosi del suo tempo, sia quando descrive episodi di grande drammaticità; il convento viene raccontato come un mondo chiuso e dolente, in cui spesso cresce putroppo il seme della pazzia. Lo scandalo suscitato dal volume di Enrichetta fu ovviamente enorme e la pubblicazione del libro valse alla donna una grande notorietà ma anche la scomunica da parte delle autorità ecclesiastiche che lo considerarono un attacco alla chiesa cattolica.
Negli anni successivi (11) fu impegnata come corrispondente per alcuni giornali e scrisse altre opere: Un delitto impunito, pubblicato nel 1866, che racconta l’omicidio di una educanda da parte di un sacerdote respinto, e, in occasione della terza guerra d’indipendenza, diede alle stampe un Proclama della Donna Italiana per invitare le donne a sostenere la causa nazionale. Proseguiva costante il suo impegno politico per cui, nel 1867, entrò con la sorella Giulia Cigala Caracciolo nel “Comitato femminile napoletano”, sostenuto da Garibaldi, che appoggiava il disegno di legge di Salvatore Morelli per i diritti delle donne. Il deputato presentò alla Camera tre disegni di legge per il riconoscimento alle donne della parità di diritti civili e politici e del valore nazionale della maternità.
Fece inoltre parte di numerose associazioni culturali, soprattutto quelle legate all’emancipazione femminile, ma, nonostante il suo instancabile impegno, Enrichetta non ebbe nessun riconoscimento ufficiale dal governo italiano: la dimenticò Garibaldi, la dimenticò De Sanctis. Gli oggetti di sua proprietà, che Riario Scorza le aveva sequestrato, non furono mai ritrovati.
A settant’anni Enrichetta viveva vedova e ignorata dai suoi concittadini, con modestia e in solitudine. La sua vita si spense all’inizio del nuovo secolo, nel 1901, praticamente dimenticata da tutti.
Un pensiero conclusivo. La donna del Risorgimento italiano costituisce l’esordio di una emancipazione che mira a diversi traguardi e valori morali con un forte desiderio di libertà ed Enrichetta fu un’eroina a tutto tondo poiché sacrificò la sua vita per i principi per i quali si batteva nel particolare contesto storico in cui versava Napoli. E non indietreggiò di fronte ai momenti tragici che visse.
Un’eroina che ha saputo rinunciare al ruolo assegnatole e a scuotere, con tenacia e caparbietà, l’apatia dei napoletani, eroina combattiva e sprezzante della propria vita credendo ciecamente nelle possibilità femminili e nella caparbietà delle donne. Seppe lottare anche con la penna utilizzando varie forme di alta cultura quali drammi e memorie autobiografiche. Enrichetta fu dunque una gran donna coraggiosa, protagonista del proprio tempo e punto di riferimento per altre donne del XIX e del XX secolo.
1) Enrichetta Caracciolo, Misteri del chiostro napoletano,Firenze, Giunti, 1998 ( ristampa).
2)Maria Rosa Cutrufelli, Donne del Risorgimento italiano. Le eroine invisibili dell’Unità d’Italia, in “Enrichetta Caracciolo Forino in Greuther”, Torino, Ananke, 2011, p. V. 3) Enrichetta Caracciolo…, cit., p 54
4) Ivi, p.107 5) Ivi, p.130
6) Ivi, p.116-117
7) Ivi, pgg. 184-185 8) Ivi, pp.224-225 9) Ivi, pp.269-270
10) Ivi, p. 271
11) Bruna Bertolo, Donne del Risorgimento…, cit., pp. 202-203. Un profilo biografico di Enrichetta Caracciolo si deve a Laura Guidi dell’Università di Napoli, rintracciabile sul sito internet www.storia.unina.it/donne invisi/profili/Caracciolo.
Gli scritti di Enrichetta Caracciolo Misteri del chiostro napoletano: memorie, Firenze, 1864.
Un delitto impunito: fatto storico del 1838, dramma in 5 atti, Napoli, 1866.
I miracoli, 1874.
La forza dell’onore (dramma), 1881.
Un episodio dei misteri del Chiostro Napoletano, dramma in 5 atti di Enrichetta Caracciolo Forino ex monaca benedettina, Roma, 1883.
Collaborazione come corrispondente di giornali politici quali” La Rivista Partenopea” di Napoli, “ Il Nomade” di Palermo, “ La Tribuna” di Salerno.
Bibliografia
Adriano Bassi, Le eroine del Risorgimento, Montichiari, Zanetti, 1996.
Bruna Bertolo, Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’Unità d’Italia, Torino, Ananke, 2011.
Enrichetta Caracciolo, Misteri del chiostro napoletano, Prato, Giunti, 1998.
Ugo Dovere, La nascita di un best seller ottocentesco. I Misteri del chiostro napoletano di Enrichetta Caracciolo di Fiorino, in “Critica letteraria” 37, 2009, pp.767-792.
Antonietta Drago, Donne e Amori del Risorgimento, Milano, Palazzi, 1960.
Laura Guidi, sito internet www.storia.unina.it
Francesco Sciarelli, Enrichetta Caracciolo dei principi di Forino, ex monaca benedettina, Napoli, A. Morano, 1894.
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