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EnFem: un progetto per l'integrazione delle donne migranti

EnFem: un progetto per l'integrazione delle donne migranti

S'Engager à mieux intégrer les femmes migrantes, impegnarsi per ridurre l'isolamento delle donne migranti: laboratori e formazione. UN progetto con UE di cui ARCI Lecce è capofila

Martedi, 04/12/2018 - Il progetto "EnFem. S'Engager à mieux intégrer les femmes migrantes" è stato ideato per "ridurre l’isolamento e il rinchiudersi in se stesse delle donne migranti". I percorsi attuati per raggiungre questo obiettivo sono stati:  laboratori creativi tra donne di culture diverse realizzati attraverso attività di sensibilizzazione nelle scuole, nella società civile". Tra gli intenti, inoltre, vi è stato quello di "dare alle donne migranti la possibilità di diventare dei membri attivi della società, aumentando le loro probabilità di fare parte integrante del proprio quartiere". Come? "rinforzando la partecipazione delle donne migranti cittadine all’interno delle comunità d’accoglienza". L'inziativa è di carattere internazionale ed è co-finanziata dall'Unione europea, in particolare dall’Amif (Asylum Migration Integration Fund), Fondo istituito dalla Commissione Europea per promuovere la gestione efficiente dei flussi migratori e l’implementazione, il rafforzamento e lo sviluppo di un approccio comune dell’Unione alle politiche dell’asilo e della migrazione.
L' ARCI LECCE è capofila del progetto che vede 9 organismi partner situati in sei Paesi dell’Unione europea e in particolare in nove città: Lecce e Pisa (Italia), Molenbeek e Rixensart (Belgio), Madrid e Granada (Spagna), Maribor (Slovenia), Amburgo (Germania), Lasithi – Creta (Grecia): tutte città multiculturali, che devono far fronte alla presenza di un grande numero di migranti di differenti culture.
Queste le realtà partner:  Jasa Association (SI), Alianza Por La Solidaridad (ES), Administration communale de Molenbeek St Jean Maison des cultures et de la cohésion sociale (BE), Johann Daniel Lawaetz-Stiftung (Lawaetz Foundation) (DE), Cooperativa Alfea Cinematografica srl (IT), Pluralis Association sans but lucratif (BE) e Andalusian Public Foundation El legado andalusí (ES).
"Il principale obiettivo del progetto - si legge nel sito - è far cambiare l’immagine collettiva negativa della 'donna migrante'. Offrire alle donne migranti a livello locale un’opportunità concreta di accesso alla formazione, alla vita sociale e culturale. Cambiare parte delle mentalità negative e razziste nei confronti dei musulmani ".
“Abbiamo l’esigenza di condividere con gli altri territori dell’Unione Europea le nostre esperienze – spiega Anna Caputo, presidente di Arci Lecce – per creare una rete che sia efficiente e funzionale all’accoglienza delle donne che scappano da guerre e persecuzioni. La donna migrante è doppiamente discriminata: prima come donna e poi come migrante. È un nuovo soggetto del quale le politiche di accoglienza non si occupano in maniera specifica e con esperienze come EnFem puntiamo a costruire dal basso dei modelli di interazione che speriamo possano diventare replicabili anche a livello istituzionale”.
Una indagine scientifica è stata condotta nelle città pilota allo scopo di identificare il fenomeno e le caratteristiche della scarsa integrazione delle donne migranti e di mettere a fuoco l’immagine che hanno di loro gli attori locali. L'evento conclusivo si è tenuto lo scorso 6 novembre a Roma e i materiali e gli studi sono pubblicati nel sito www.enfem.eu e nella pagina FB

Riportiamo un estratto del Report "IMMIGRAZIONE, ACCOGLIENZA, INTEGRAZIONE: IL FENOMENO NASCOSTO DELLE DONNE MIGRANTI".
1.4. Migrazione femminile (PAGG 9/11)
Una ricerca bibliografica ha indicato che, sebbene siano stati condotti molti studi riguardo al fenomeno generale della migrazione, la letteratura relativa alla situazione delle donne migranti risulta essere alquanto scarna. Malgrado circa il 50% dei migranti siano donne, in Europa il fenomeno della migrazione femminile ha cominciato a essere analizzato negli anni ’70, e solo negli ultimi anni alcuni studi sono hanno contribuito a esaminare la situazione della categoria nello specifico.
Al pari di tutti i migranti, le donne devono affrontare la solitudine e hanno il desiderio di farsi accettare, devono imparare la lingua, trovare un lavoro per provvedere al sostentamento della famiglia, temono di ammalarsi e sanno che educheranno i propri figli lontane dalla terra natia.
Tuttavia, il percorso delle donne migranti si rivela ancor più tortuoso, in quanto costoro devono anche fronteggiare il pregiudizio e gli stereotipi riguardanti il loro ruolo nella società. Tutti questi fattori contribuiscono ad aumentare il rischio di esclusione sociale.
Ciononostante, un sempre crescente numero di donne riesce a superare brillantemente le difficoltà oggettive e culturali sopramenzionate, dissipando i pregiudizi che le definiscono superstiziose, ignoranti, sottomesse e chiuse. In Italia, sono circa 570.000 gli immigrati nati all’estero titolari di attività commerciali, con la quota di donne impegnate nel settore in costante crescita.
Sebbene i motivi che spingono le donne ad iniziare delle attività commerciali siano tra i più disparati, risultano essere tutti collegati a due aspetti principali: la necessità di provvedere al sostentamento della famiglia e la necessità di costruire la propria indipendenza. Se, fino a qualche anno fa, la necessità di prendersi cura della famiglia prevaleva sul desiderio di autonomia, oggi il trend sta cambiando.
Tale cambiamento è causato anche da un cambiamento nella tipologia delle attività commerciali possedute dalle donne: aumenta il numero di imprese rivolte alla produzione di servizi e beni non etnici, il che dimostra che le donne immigrate cerchino dapprima di uscire dalla nicchia etnica, per poi sfidare gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro. Di seguito è citato un articolo
che riferisce alcuni dati relativi alle imprese italiane gestite da uomini e donne immigrati.
Al fine di avere un quadro statistico del lavoro autonomo delle donne immigrate è necessario rifarsi ai dati sull’imprenditorialità femminile forniti da un rapporto di Unioncamere risalente al 2016.
Tuttavia, le informazioni si fermano al 2014 e sono state aggiornate solo in parte dalle statistiche raccolte nel Rapporto Idos.
Nel 2014, le imprese gestite da uomini immigrati erano 403.277 e incidevano per l’8,5% sull’auto-impiego maschile complessivo. Le imprese guidate da donne immigrate erano un po’ meno di un quarto: 121.397, pari al 23,1% del complesso delle attività autonome immigrate. Nell’arco di due anni, il fenomeno è cresciuto del 10% circa, e nel 2016 si contavano 134.667 (23,6%) imprese gestite da donne immigrate, ovvero il 9,3% delle imprese a guida femminile in Italia.
Un’elevata percentuale di imprese (27,2%) gestite da donne straniere opera nel settore tessile e dell’abbigliamento, con circa 10.000 compagnie. In termini assoluti, il settore più affollato è però quello commerciale, con oltre 40.000 imprese, dunque più di una su tre. Seguono ristorazione e servizi alberghieri, con quasi 15.000 casi.
I dati hanno sottolineato anche una differenza di tipo territoriale. Tre imprese guidate da donne su quattro erano situate nell’Italia centrale e settentrionale, con più di 90.000 aziende nel 2014 e quasi 97.000 nel 2016. La Lombardia era la regione con la maggiore concentrazione di imprese gestite da donne (20.182 nel 2014 e 22.972 nel 2016, ovvero un’impresa su sei), con numeri che rappresentavano il 11.7% della totalità delle lavoratrici autonome del 2014. Seguivano il Lazio (quasi 15.000 aziende guidate da donne immigrate nel 2014, e 16.000 nel 2016), la Toscana (quasi 13.000 nel 2014, e più di 14.000 nel 2016), il Veneto (10.000 nel 2014, e 11.000 nel 2016), e l’EmiliaRomagna.
Nel Mezzogiorno, vanno segnalati i buoni risultati della Campania, con 8.500 attività guidate da donne straniere nel 2014 e 9.700 nel 2016, e della Sicilia, con oltre 7.000. I dati evidenziano come le donne immigrate abbiano dimostrato capacità d’iniziativa anche in alcuni dei territori più complessi del Paese.
La Toscana rappresentava la regione con la più elevata incidenza di lavoratrici autonome (il 13,7% nel 2014). Prato era d’altronde la provincia italiana in cui il fenomeno raggiungeva i valori più alti: circa 3.000 imprese nel 2014, pari al 38,1% dell’imprenditoria femminile complessiva, con la nota specializzazione nel settore tessile e dell’abbigliamento. Firenze a sua volta si collocava al secondo posto, con circa 4.000 imprese, pari al 18% dell’imprenditoria femminile sul territorio.
Trieste e Milano (intorno al 16%) occupavano rispettivamente il terzo e quarto posto in graduatoria, seguite da Teramo e Rimini.
Non desta sorpresa il fatto che la componente immigrata più attiva sotto il profilo imprenditoriale fosse quella cinese, con 21.526 immigrate titolari di ditte individuali nel 2014. Molto significativa risultava la presenza nel settore tessile e dell’abbigliamento, con oltre 7.000 titolari, anche se in assoluto il settore più importante era quello del commercio (8.600 casi). Seguiva la componente romena, con 9.717 titolari d’impresa, e quella marocchina, con 7.411 titolari, oltre 5.000 delle quali gestivano attività commerciali, smentendo lo stereotipo di passività e dipendenza affibbiato alle donne provenienti da Paesi a maggioranza musulmana (Ambrosini, M. (2017), Un volto nascosto dell’immigrazione [online], https://welforum.it/un-volto-nascostodellimmigrazione. Il sito fornisce una mappatura delle imprese italiane gestite da donne straniere).
Le donne non emigrano dai loro Paesi solo per ragioni economiche o per sfuggire ai conflitti, ma anche per il desiderio di visitare nuovi luoghi, conoscere culture diverse o costruirsi una propria indipendenza. In ogni caso, le loro condizioni di vita nella società ospitante sono spesso peggiori rispetto a quelle vissute prima di partire. Inoltre, costoro sono sovente costrette a svolgere dei lavori che non sfruttano appieno le competenze e le abilità possedute.
Negli anni ’50, le prime donne a emigrare in massa verso l’Europa provenivano dall’America Latina. Svolgevano per lo più mestieri legati alla pulizia della casa e alla cura di anziani e bambini, inviando una parte dei propri guadagni al resto della famiglia rimasta nel Paese di origine. Si spostavano di Stato in Stato ogniqualvolta intravedevano la possibilità di ottenere maggiori introiti o dovevano rinnovare il permesso di soggiorno. Tuttavia, in una seconda fase, quando cominciarono a essere implementati i programmi di ricongiungimento familiare, i mariti e i figli ebbero la possibilità di raggiungerle in Europa. Con l’arrivo della famiglia, il comportamento di questa categoria di donne migranti, dette “pioniere”, cambiò. Era necessaria una fonte di sostentamento più stabile, al fine di supportare l’istruzione dei figli e favorirne l’inclusione sociale. Tuttavia, molte di loro decisero di ridurre il proprio orario lavorativo per dedicarsi ai figli, lasciando ai mariti il compito di provvedere al sostentamento della famiglia. Ciò divenne causa di ulteriore esclusione sociale.
I meccanismi che hanno guidato la migrazione delle donne pioniere possono essere utilizzati anche per analizzare la situazione che un sempre maggior numero di donne africane vive oggigiorno.
Anche le donne africane migrano per vari motivi. Arrivate in Italia, o comunque in Europa, devono superare lo stereotipo sociale che le descrive come ignoranti, superstiziose, arretrate e sottomesse al marito. Spesso soffrono di emarginazione sociale, poiché la scarsa conoscenza della lingua ospitante impedisce loro di integrarsi nella comunità di accoglienza.
Tuttavia, grazie a pratiche di inclusione incentrate soprattutto sull’apprendimento della lingua, queste donne sono riuscite a entrare in contatto con la popolazione autoctona, trovando un posto di lavoro e talvolta, come visto sopra, gestendo una propria impresa.
Una delle maggiori sfide che le donne immigrate si trovano ad affrontare è quella del parto in una società che non è la loro, poiché, il parto, oltre che rappresentare un naturale processo biologico, si configura anche come un fenomeno sociale. Le donne provenienti dall’Africa sono solite trascorrere il periodo pre-parto e post-parto con la madre e tutte le donne della propria famiglia, che si prendono cura dei bisogni di chi è in gravidanza. È la nonna che si occupa di massaggiare il neonato ogni giorno, poiché la madre è esentata da qualsiasi attività nel primo mese successivo al parto. La donna deve prendersi cura di sé, a mano a mano che il suo corpo ritorna alla condizione precedente alla gravidanza. A volte, tale processo comprende anche delle pratiche dolorose, come quella del bagno in acqua bollente che, secondo la loro tradizione, causando delle bruciature, favorisce la ricrescita della pelle e permette alla donna di tornare in tempi rapidi alla bellezza pre-gravidanza.
Un’altra usanza è quella di tenere nascosta la gravidanza alle persone al di fuori della famiglia, per evitare il malocchio e garantire il buon esito della gravidanza stessa.
Le donne immigrate che hanno dovuto portare avanti una gravidanza in Europa hanno sottolineato il fatto che, pur avendo accesso a servizi sanitari migliori, si sono ritrovate da sole e hanno sentito la mancanza dell’appoggio familiare. Inoltre, hanno lamentato la difficoltà di considerare la gravidanza un evento privato, poiché risulta quasi impossibile non essere notate quando ci si reca in ospedali per fare dei controlli o partorire, il che impedisce di tenere nascosta la gravidanza
stessa.


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IMMIGRAZIONE, ACCOGLIENZA, INTEGRAZIONE: IL FENOMENO NASCOSTO DELLE DONNE MIGRANTI
Indice

PREMESSA .................................................................................................. 1
1. IMMIGRAZIONE, FLUSSI MIGRATORI E ACCOGLIENZA ................. 1
1.1. Introduzione............................................................................................ 1
1.2. Distribuzione dei Centri di accoglienza in Europa ......................... 2
1.3. Maggiori associazioni europee impegnate nell’accoglienza ....... 6
1.4. Migrazione femminile ........................................................................... 9
1.5. Conclusioni e raccomandazioni di buone prassi ......................... 11

2. INTERVISTA A UN ESPERTO SOCIOLOGO
DELL’IMMIGRAZIONE................................................................................... 13

3. INDAGINE SU PERCEZIONE, STEREOTIPI E ATTEGGIAMENTI
NEI CONFRONTI DEI MIGRANTI ................................................................18
3.1. Introduzione............................................................................................. 18
3.2. Arci-Lecce e Alianza por la solidaridad ............................................. 18
3.2.1. Le risposte dei ragazzi ....................................................................... 18
3.2.2. Le risposte dei genitori ...................................................................... 22
3.3. Spagna (Granada) .................................................................................. 31
3.3.1. Le risposte dei genitori spagnoli ..................................................... 31
3.4. Slovenia ..................................................................................................... 37
3.4.1. Le risposte degli intervistati sloveni .................................................. 37
3.5. Germania ................................................................................................... 46
3.5.1. Le risposte degli intervistati tedeschi ................................................ 46
3.6. Belgio ......................................................................................................... 55
3.6.1. Le risposte degli intervistati belgi ...................................................... 55
4. IL DILEMMA DELL’INTEGRAZIONE: AMBIGUITÀ CONCETTUALE, COMPLESSITÀ D’INTERVENTO E
IMPOSSIBILITÀ DI SISTEMA ........................................................................... 59
4.1. Introduzione.................................................................................................. 59
4.2. Livello di integrazione. Situazione nei Paesi coinvolti nel progetto. ... 59
4.2.1. Spagna ..................................................................................................... 59
4.2.2. Italia ........................................................................................................... 62
4.2.3. Slovenia .................................................................................................... 63
4.2.4. Belgio ....................................................................................................... 64
4.2.5. Riflessioni conclusive ............................................................................. 65
4.3. Quando integrazione fa rima con discriminazione ................................ 65
4.3.1. Spagna ....................................................................................................... 65
4.3.2. Italia ............................................................................................................. 66
4.3.3. Slovenia ...................................................................................................... 67
4.3.4. Belgio .......................................................................................................... 68
4.3.5. Riflessioni conclusive    ........................................................................... 68
4.4. Azioni e gap politico-amministrativi ............................................................. 68
4.4.1. Spagna ...................................................................................................... 68
4.4.2. Italia ............................................................................................................. 69
4.4.3. Slovenia ...................................................................................................... 70
4.4.4. Belgio ............................................................................................................ 70
4.4.5. Riflessioni conclusive ................................................................................ 71
4.5. Conclusioni ...................................................................................................... 71
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................... 72

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