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Emma Bonino. L’Europa arranca e le donne stanno a guardare

Emma Bonino. L’Europa arranca e le donne stanno a guardare

EUROPA (in)DIFESA/1 - La complessità del fenomeno del terrorismo, i nazionalismi montanti e le leadership deboli. Il 'ciascun per sé' dell'Unione che non c'è. Intervista a Emma Bonino

Bartolini Tiziana Mercoledi, 27/04/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2016

Lucidità e chiarezza continuano ad essere il tratto caratterizzante dell’analisi politica di Emma Bonino, leader radicale di lungo corso e con una solida esperienza internazionale maturata anche come ministra degli Esteri e nel ruolo di Commissaria europea. Le abbiamo chiesto alcune valutazioni sulla difficile situazione che attraversa un’Europa che sembra intrappolata tra terrorismo e nazionalismi, raccogliendo il suo sguardo ampio sul mondo.



A novembre la strage di Parigi e a marzo la carneficina di Bruxelles. Di fronte a tanta violenza l’Europa appare disorientata, sembra incapace di reagire e difendersi con efficacia dal terrorismo jihadista. Ma era davvero un qualcosa di imprevedibile?

Siamo sempre presi alla sprovvista. Guardiamo gli Stati Uniti, un paese molto più potente di noi in termini di servizi segreti e apparati militari e pensiamo a come fu preso alla sprovvista dall’attacco alle Torri Gemelle. Siamo di fronte ad un fenomeno molto mutevole, i gruppi sono in una sorta di franchising e passano da al Qaeda a Isis, poi si fanno la guerra tra di loro. Non dimentichiamo mai che non è un fenomeno ‘normale’, come può essere la lotta di un esercito contro un altro esercito. È un qualcosa di difficile comprensione e, aggiungo, la nostra non conoscenza dell’arabo rende tutto più complicato. Anche quando ci sono registrazioni, le traduzioni richiedono tempi biblici. Quindi siamo di fronte ad un fenomeno che non conosciamo e che viene da una regione che conosciamo anche meno, a partire dalla capacità di leggere la stampa locale o di parlare con le popolazioni locali. Le nostre relazioni sono tra stato e stato, e tutte in inglese, cosa che poco ci aiuta a capire quelle realtà e le mutazioni. Non facciamoci illusioni, non era affatto facile capire quello che stava accadendo e non avevamo gli strumenti di base adeguati: la lingua non è un fatto secondario. Seconda questione: quale Europa... È l’Europa che hanno voluto gli Stati membri e non è l’Europa della sicurezza, è tanto semplice... L’illusione che la politica estera, la politica di difesa e la politica di sicurezza potevano rimanere nazionali è scritta nei Trattati; questa è l’Europa che i paesi hanno voluto. Infatti mi irrita sempre, in occasione degli incontri mensili dei Capi di stato, sentire chi ha voluto avocare a sé alcune competenze prendersela con l’Europa... come se fosse un corpo estraneo. L’Europa è il risultato della ‘saggezza’ - si fa per dire - che i Capi di stato e di governo hanno avuto. La responsabilità non può essere attribuita a qualche burocrate a Bruxelles. Però di fronte alle crisi (dell’economia, dell’immigrazione o quella di cui stiamo parlando) la tendenza è che ognuno faccia da sé. Invece di andare avanti verso l’integrazione - che non è la soluzione o la panacea di tutti i mali ma certo è uno strumento importante - ognuno pensa a sé e si tiene il suo esercito, peraltro completamente inutile. Siamo il secondo continente in termini di spese militari e abbiamo 28 eserciti, 28 politiche estere, 28 servizi di sicurezza… che è rimasta, appunto, una competenza nazionale. Alcuni ‘illusi’ come me pensano che bisogna andare avanti sulla strada dell’integrazione, ma l’atmosfera generale è invece di chiudere le frontiere e che ognuno faccia da sé.



Ci sono leader, orientamenti politici e anche stati che vedono nel filo spinato e nei muri la soluzione dell’immigrazione e l’argine al terrorismo…

Al Consiglio europeo non ci sono singoli politici, ma Capi di stato e di governo che appartengono a partiti democristiani o socialisti..ma anche loro sono nella scia nazionalista: guardiamo l’Ungheria, la Polonia o l’Austria.



Gli slogan dei nazionalisti arrivano chiari, mentre rimangono flebili le voci di chi propone altre visioni e idee sulla gestione dei pesanti problemi che pongono il terrorismo e le migrazioni.

Nessuno vuole parlare di maggiore integrazione europea, proprio non è aria... Se pensiamo che in questa situazione gli inglesi hanno il referendum per uscire, il trend è completamente all’opposto.



Il terrorismo è un fenomeno temporaneo oppure dobbiamo pensarlo come una realtà in qualche modo strutturale alla società contemporanea?

Dobbiamo sapere che nel mondo islamico si combattono da sempre guerre tra sunniti e tra sunniti e sciiti. Tutti vogliono il potere politico, ma da una parte - Fratelli musulmani ed altri - c’è chi pensa alla strada elettorale - che non è la strada democratica-, chi invece da sempre pensa all’uso di gruppi più estremisti. Al Qaeda non nasce nel 2001, ma ben prima. È un fenomeno che esiste da un sacco di tempo, non è una novità. Addirittura direi dal 1997, cioè da quando i talebani prendono il potere a Kabul e l’Afghanistan diventa un campo a cielo aperto di formazione dei gruppi terroristi; quando l’ho denunciato nessuno ci ha fatto caso più di tanto. Quindi il terrorismo non è un fenomeno nuovo ma un fenomeno molto, molto complesso che non è stato visto per molti anni e rispetto al quale siamo impreparati. La cosa peggiore è che invece di darci gli strumenti per riuscire a governarlo almeno un po’, stiamo andando nella deriva opposta.



Questo accentua ancora di più il senso di insicurezza…

E la leadership politica in generale non spinge verso l’integrazione, ma verso il nazionalismo. L’Italia non è un paese con un forte senso nazionalista, ma anche grazie a ‘stravaganze’ di politici come Salvini si muove in questa direzione… dovremmo riflettere un po’.



Pensa che le donne e le lotte per il riconoscimento dei loro diritti possano portare un contributo positivo in questo difficile contesto?

Al di là dei nostri stereotipi, le donne che io conosco e frequento del mondo arabo, islamico e africano mi sembrano, sono, molto più vivaci e attive delle donne nel nostro paese. Ci sono cose su cui potremmo attivarci subito... Per esempio abbiamo un problema di immigrate vittime di tratta che riguarda le nigeriane e che è ben documentata con dati, ma non mi sembra di vedere in Europa un’attenzione particolare. I dati sono allarmanti: erano circa 19mila l’anno scorso e arrivano tutte praticamente dalla stessa zona della Nigeria, dove c’è un problema con tutta evidenza. Penso anche all’alto numero di minori non accompagnati, ma non vedo una particolare attenzione del mondo femminile in Italia e quando vado in giro a parlare di questi temi sono sempre sola.



E a proposito di andare in giro, a marzo ha partecipato a New York alla Commissione sulla condizione delle donne (CSW60). Quali impressioni ci riporta?

Ho ricevuto da parte di alcuni gruppi richieste di sostegno sulle battaglie che fanno a casa loro, magari non contro il terrorismo, ma sulle mutilazioni genitali femminili o sui matrimoni forzati. È diventato più facile scrivere una dichiarazione o una risoluzione sui diritti delle donne, ma la loro difficoltà è essere efficaci in loco o trovare sostegni.



Quali sono le priorità che le donne italiane dovrebbero darsi?

Ci vogliamo occupare delle donne immigrate nel nostro paese? A parte poche e coraggiosissime organizzazioni che si occupano dei migranti, non vedo altro. Molto si potrebbe fare: si può premere per cambiare la legge sulla cittadinanza, per cambiare la legge sulla clandestinità, si può premere per avere finalmente una legge sul diritto d’asilo. Vedo poco interesse, non c’è una mobilitazione e l’attenzione è solo di gruppi sparuti ed eroici.



Perché il Parlamento con il più alto numero di donne e il più giovane dal dopoguerra non riesce a mostrare una particolare sensibilità e ad essere dinamico su questo fronte?

Non lo so… penso vada chiesto alle parlamentari. Abbiamo visto recentemente un dibattito patetico sui matrimoni civili, sulla gravidanza in affitto. Che pena…

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