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Emanuela Loi

Emanuela Loi

La prima donna agente di polizia assegnata alle scorte e alla scorta di Paolo Borsellino. Cosa stava pensando la mattina di quel 19 luglio 1992?

Lunedi, 18/07/2022 - Che caldo! Oggi ci scioglieremo in macchina. Se il 19 luglio fa così caldo come faremo ad agosto? Se almeno si decidessero a darci un’auto con l’aria condizionata… ma ci danno solo catorci che è un miracolo se camminano. Se almeno potessimo abbassare un po’ i finestrini… ma non si può certo rischiare. Spesso le auto delle scorte non sono neanche blindate.
La vita è proprio strana. Se qualche anno fa mi avessero detto che io, Manuela Loi (all’anagrafe Emanuela), una semplice ragazza di Sestu in provincia di Cagliari, sarei diventata una poliziotta, che mi avrebbero assegnata a Palermo e che sarei addirittura finita al nucleo scorte, non ci avrei mai creduto. Anzi, avrei pensato che chi riusciva ad immaginare una cosa del genere doveva essere completamente pazzo.
Entrare in Polizia è stato solo un caso. Mi sono diplomata alle magistrali con mia sorella perché entrambe amiamo i bambini, ma solo io volevo diventare maestra, mentre Claudia aveva quest’idea fissa della Polizia. Quando fecero il concorso lo tentammo insieme, come facevamo sempre, ma francamente quando ci chiamarono io andai soprattutto per fare compagnia a lei. E poi è successo l’impensabile: chiamarono solo me per gli esami finali a Roma. Stavolta fu Claudia ad accompagnarmi, ma nessuna di noi due credeva che mi avrebbero presa. Mi viene in mente quella ragazza che alloggiava nel nostro stesso albergo e che ci chiese da chi eravamo raccomandate; quando noi le rispondemmo «Nessuno», lei ci disse: «Ma allora che ci fate qui?» Quando alla fine presero me e non lei, mi guardò malissimo.

Che caldo! Non pensavo che a Palermo facesse così caldo. Ci vorrebbe proprio un bel bagno al mare. Invece devo andare al mare, a Villagrazia, ma per prendere il giudice Borsellino e accompagnarlo da sua madre: deve portarla dal medico.
Borsellino. Non si può non avere un’infinita ammirazione per quell’uomo. Da quando hanno ucciso Falcone lavora ininterrottamente, dice di non avere più tempo, lo ripete in continuazione. Dice anche di avere capito tutto sulla strage di Capaci, ma stranamente ancora nessuno l’ha chiamato a Caltanissetta per deporre e dire ciò che sa. È incredibile la devozione che ha verso il suo lavoro. Non mollerà mai, nonostante tutte le minacce che gli vengono rivolte. So che qualche giorno fa ha detto ad Agostino, il capo-scorta, che a Palermo è arrivato il tritolo per lui. È convinto che il prossimo sulla lista della mafia sarà lui.
No.
Sa che il prossimo è lui.
E pensare che ho detto a mamma che avrebbe dovuto preoccuparsi solo se mi mettevano di scorta a Borsellino…

La vita è davvero strana. Quando, dopo la scuola a Trieste, mi hanno detto che mi assegnavano a Palermo, sono scoppiata a piangere dicendo: «Mi mandano a Palermo, dove c’è la mafia!» Non avevo mai pensato che la mafia ci potesse riguardare; la mia famiglia è sarda, cosa c’entriamo noi con loro? Invece l’altro ieri mi hanno messa di scorta proprio a Borsellino, ma per fortuna dovrebbe trattarsi solo di qualche giorno: devo sostituire un collega. Ma non posso dirlo alla mamma, si angoscerebbe troppo. So che neanche altri ragazzi della scorta dicono ai loro familiari chi è la persona che proteggono: ogni mattina leggerebbero sugli occhi delle loro mogli, dei loro genitori e dei loro figli il terrore di non vederli rientrare la sera. Non posso dirglielo. Non le ho neanche telefonato ieri, e di solito la chiamavo anche due o tre volte al giorno, per farle sapere che andava tutto bene.
Ma andrà tutto bene. Oggi non succederà niente; è una così bella giornata.

E poi, anche se questo lavoro è nato totalmente per caso, ormai mi sono ambientata e, anzi, sono orgogliosa di essere una poliziotta: se ho scelto di esserlo non posso tirarmi indietro. So benissimo che fare l'agente di polizia in questa città è più difficile che nelle altre, ma a me piace. Magari in futuro potrei fare anche il concorso per diventare Ispettore. Chissà. Per ora sono la prima donna che è entrata a far parte di una scorta; non so se avrei desiderato avere questo primato.
Sono orgogliosa di questo lavoro, però vorrei tanto tornare a casa. Vorrei poter vedere ogni giorno mamma, papà e Claudia; voglio poter chiacchierare e ridere con loro come abbiamo sempre fatto. E poi mi voglio sposare e costruire una famiglia mia. Chissà che madre sarei. Certamente insegnerei ai miei figli ciò che ho imparato in questi mesi facendo questo lavoro: insegnerei loro l’importanza e la bellezza della legalità. Come ha detto Borsellino quel giorno nella Chiesa di San Domenico? Ah, sì. Disse che «la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, e soprattutto le giovani generazioni, le più adatte a sentire il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale». È davvero un bel pensiero e lo condivido: è necessario cambiare la mentalità delle persone che convivono tutti i giorni con la mafia, per poterla sconfiggere. Questo insegnerò ai miei figli.
Però quel giorno, a San Domenico, Borsellino disse anche che Falcone lavorava con la perfetta coscienza che la mafia lo avrebbe ucciso, e che gli uomini della scorta lo proteggevano con la perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. In Questura ci chiamano “cadaveri ambulanti”. Siamo carne da macello, siamo destinati a morire accanto ai giudici che cerchiamo di proteggere. A Capaci sono morti tre agenti accanto a Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo. Oggi siamo in sei a proteggere Borsellino.
Il problema più grave e inaccettabile è che ho l’impressione che sia lasciato completamente solo; mi sembra che lo Stato, per cui lui si batte con tanto coraggio e tanta dedizione, non voglia davvero proteggerlo. Per esempio, oggi dobbiamo portarlo da sua madre che abita in via D’Amelio; lui ci va spessissimo, perché ha un legame forte con lei, eppure lo Stato ancora non è riuscito a far mettere una zona rimozione in quella maledetta via: è un budello chiuso tra due palazzi e ci restano parcheggiate tre file di auto, ai bordi dei due marciapiedi e anche al centro della strada. Chiunque potrebbe piazzare in una di quelle macchine del tritolo e farlo saltare al momento giusto come hanno fatto a Capaci.
Ma non voglio pensare a questo. Non posso pensare a questo, altrimenti mi viene troppa paura. Prima o poi metteranno quella zona rimozione e riusciremo a stare più tranquilli. Almeno un po’ più tranquilli. E poi, quando Borsellino riuscirà a far arrestare gli attentatori di Capaci andrà tutto meglio.

Che caldo! Chissà se posso portarmi una bottiglietta d’acqua. Mi sa di no; anche perché in quella macchina diventerebbe così calda che sarebbe imbevibile. Però, nonostante il caldo, oggi è proprio una bella giornata: il calore del sole è avvolgente, e sembra perfino rendere più bella e accogliente questa piccola stanza. Non è poi così male Palermo. Però voglio tornare a casa. Speriamo che non tardino troppo a concedermi il trasferimento.

È tardi, devo andare. Alle quattro e mezza dobbiamo essere a Villagrazia per prendere Borsellino. Chissà se è riuscito a riposare un po’ almeno oggi; probabilmente ne avrebbe bisogno, ma dal 23 maggio non si ferma un attimo, ripete in continuazione che non ha più tempo.
Vado.
Tanto oggi non succederà niente.
È una così bella giornata…

*Questo racconto, col titolo “Manuela, senza la E”, ha vinto i premi letterari: “Le donne pensano… le donne scrivono…”(2011); “Scribo ergo sum”(2011); “Gianfranco Rossi” (2014).

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