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Eliminare la violenza sulle donne. Il Decreto legge 93 non è sufficiente

Eliminare la violenza sulle donne. Il Decreto legge 93 non è sufficiente

Un decreto che dovrebbe esclusivamente porre fine alla violenza di genere ma che si perde tra incertezze e disorganicità.

Lunedi, 14/10/2013 - Lo scorso 26 settembre ancora un’estrema violenza nei confronti di una donna, questa volta in provincia di Piacenza. A Castelvetro Piacentino Cinzia Agnoletti muore in casa, uccisa dal compagno.

Le parole che risuonano sono sempre le stesse: ennesima lite, raptus, dramma.

Tutto disperatamente vero, ormai un’amara consuetudine.

Il nostro bel paese nei primi sei mesi del 2013 conta già 81 donne vittime di omicidio secondo i dati raccolti esclusivamente dalla stampa, poiché non esiste un sistema efficace e uniforme per raccoglierli ufficialmente. Così come non abbiamo un reale progetto politico contro la violenza di genere.

Quello che poteva essere un piccolo passo in avanti a tal proposito era il decreto legge n.93 del 14 agosto 2013 con disposizioni in materia di violenza contro le donne, che doveva approdare alla Camera dei deputati proprio il 26 settembre. La votazione però è stata posticipata al 2 ottobre a causa dei 414 emendamenti presentati alle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, che dovranno quindi esaminarli.



Se si legge, anche solo velocemente, il testo del decreto (http://www.gazzettaufficiale.it/) si capisce perché piovono critiche. È subito evidente la disorganicità del testo e si nota la mancanza di considerazione e di partecipazione delle associazioni e di tutte le realtà che ogni giorno affiancano le donne nella lotta contro la violenza. Emerge la centralità delle misure punitive, una fra tutte l’obbligo d’arresto in flagranza di reato per maltrattamenti domestici e per stalking. Questa linea molto repressiva, come si legge nel testo “per finalità dissuasive”, non ha però molta efficacia nei reati di genere e non risponde alla necessità più grande di prevenzione della violenza sulle donne.



I primi quattro articoli del testo apportano indubbiamente importanti modifiche sul piano penale e processuale, che secondo il forum delle donne giuriste con opportune integrazioni possono rappresentare strumenti utili nella difesa delle donne. S’introducono per esempio aggravanti di pena per i reati di maltrattamento, violenza sessuale e stalking se commessi sulla donna in gravidanza, legata e/o stata legata al colpevole da relazione affettiva e se compiuti su/o in presenza di minori. E’ prevista la rilevanza penale per atti persecutori attuati attraverso strumenti informatici o telematici. Le notifiche di tutto il percorso giudiziario raggiungono anche la vittima. Peccato però che all’articolo 5 si legga che l’attuazione delle disposizioni avverrà “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Come si può predisporre un piano d’urgenza senza alcuna risorsa finanziaria?

A causa della confusione con cui è stato redatto, il decreto rischia così di non arrivare mai alla conversione in legge, che deve avvenire entro il 15 ottobre. Eppure bastava semplicemente seguire le indicazioni in materia di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne che si trovano nella Convenzione di Istanbul (approvata dall’Italia nel maggio 2013).

Quello che si vuole far passare per via mediatica come un’emergenza improvvisa è in realtà un radicamento culturale della discriminazione, sotto tutte le forme, della donna in quanto donna. Ciò che serve immediatamente è una politica coordinata tra istituzioni e società civile, che miri all’eliminazione definitiva dei pregiudizi e degli stereotipi culturali, che producono poi i più violenti maltrattamenti sulle donne.

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