Elezioni 2010 / 2 - Le scelte delle donne all’interno dell’urna sono cambiate
Borrelli Marika Lunedi, 08/03/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2010
Tra tutte le analisi e le ricerche sui comportamenti elettorali in Italia, la categorizzazione di genere ha conquistato l’attenzione perché le scelte delle donne all’interno dell’urna sono cambiate negli anni.
Cominciamo dall’astensionismo.
Due sono le variabili più incisive: l’età e il titolo di studio delle elettrici. Man mano che l’età diminuisce, cala il tasso di astensionismo, come pure, ad un più elevato livello di studio corrisponde una maggiore partecipazione al voto (fonte: Urna del silenzio - EDIESSE). A queste due macro tendenze, però, si accompagnano altre due variabili: la considerazione culturale dell’espressione di voto e il far parte del mondo del lavoro. Chi ha una concezione “classica” delle elezioni quale dovere civico (e ciò avviene nelle regioni meridionali anche in presenza di altissimi tassi di disoccupazione) va a votare quanto le elettrici-lavoratrici del nord, le quali hanno un approccio culturale di minor impegno nei confronti dell’istituto del voto. Cionondimeno, la partecipazione delle donne al voto, almeno nell’ultimo quindicennio - fatta la tara di età, titolo di studio e occupazione lavorativa fuori casa - aumenta tra le donne del sud, perché più numerose, più giovani e/o altamente scolarizzate anche se nella stragrande maggioranza disoccupate. Il contraltare è rappresentato dal gruppo di maschi dell’Italia Centro-meridionale, che registrano un decremento del 7% tra coloro che non sono andati/non vanno/non andranno a votare - a prescindere da titolo di studio, età e stato occupazionale - perché dichiaratisi “stanchi e lontani dalla politica”.
Il secondo argomento dell’analisi è il fenomeno “primarie”.
Questo istituto di partecipazione elettorale non codificato dalla normativa nazionale ha rappresentato una vera e propria iniezione di entusiasmo tra i cittadini italiani ed in particolar modo tra le donne italiane meridionali. Gli elettori hanno accettato di fare lunghe file e di pagare un modesto contributo in denaro pur di avere la possibilità “emozionale” di esprimere una scelta e di dare una risposta, come il caso-Vendola in Puglia ci ha dimostrato per ben due volte.
Terzo punto: le scelte politiche.
Analizzando i risultati per schieramenti politici, dagli studi del Prof. D. Fruncillo (Università degli Studi di Salerno, Scienze della Politica) emerge che le donne non lavoratrici (le cosiddette “casalinghe”) sono propense a votare per il centro-destra, quelle impegnate in una professione (quindi titolo di studio alto) lo sono abbastanza di meno.
In conclusione, man mano che le generazioni si susseguono, si assiste ad una maggiore partecipazione femminile alle votazioni, mentre il titolo di studio opera una discriminante di scelta di campo partitico. Le primarie attirano, invece, tutti.
Per ciò che riguarda, invece, l’aumento delle componenti femminili tra gli amministratori eletti, è d’uopo segnalare la legge elettorale della regione Campania (tra l’altro impugnata dal Presidente del Consiglio dei Ministri presso la Corte Costituzionale e da questa ritenuta legittima) la quale impone, nel caso di doppia preferenza sulla scheda, che uno dei due nomi sia di una donna, pena la nullità del voto. Questo è un decisivo passo avanti per il superamento delle “quote rosa”, relativamente alla composizione del Consiglio Regionale. Poiché l’elezione di una candidata donna non è garantita, il sistema introduce un’altra “quota” tra i candidati: uomini, donne e bravi. Le liste alle elezioni regionali in Campania dovranno gioco forza proporre un adeguato numero di candidate, e ciò non atterrà più al sistema delle quote, perché ritornerà alla scelta libera dell’elettore.
Che, poi, nelle liste i partiti continuino ad imporre candidate con un appeal più adeguato al mondo dello spettacolo che ai compiti di un Consiglio regionale, questa è un’altra storia.
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