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El Salvador, la salute riproduttiva a rischio

El Salvador, la salute riproduttiva a rischio

Il partito conservatore ha proposto di innalzare fino a 50 anni la pena per chi sceglie di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Oltre alle donne, sarebbe colpito anche il personale medico.

Martedi, 02/08/2016 -
Il 20 maggio un tribunale di El Salvador ha disposto il rilascio di Maria Teresa Rivera per insufficienza di prove. Nel 2011 un aborto spontaneo l’aveva condannata a scontare una pena di quarant’anni per omicidio aggravato. Maria Teresa era stata arrestata direttamente in ospedale, segnalata dai medici alla polizia, dopo essere stata trovata semi-svenuta in bagno mentre perdeva notevoli quantità di sangue.



Secondo quanto riportato da associazioni locali – e da Amnesty International, promotrice di una battaglia per la liberazione di Rivera – sono 17 le donne incarcerate per un aborto clandestino o per essere state costrette a subire un raschiamento a seguito di un’interruzione spontanea. Una condizione comune in un paese che vieta l’aborto dal 1998. Ad oggi, le ivg clandestine sono state 19mila.



Per chi sceglie di abortire – compreso il caso di uno stupro, di una malformazione del feto o di un rischio per la salute – le pene possono arrivare fino a otto anni di carcere. E il partito conservatore ha presentato al Congresso un progetto per inasprire le condanne aumentando la detenzione fino a 50 anni. La mozione si rivolge anche al personale medico che fornice servizi di assistenza. Contro la proposta del partito repubblicano, Amnesty International ha lanciato su Twitter la campagna #menospenasmassalud, che raccoglie le proteste di chi si oppone al disegno di legge.



Non è la prima forma di sensibilizzazione che prende piede nel paese. Nel 2015 gli attivisti avevano organizzato la campagna «Las 17» in cui si chiedeva clemenza per le 17 donne incarcerate, con pene fino ai 40 anni, per avere violato la legge sull’aborto. Nella maggioranza dei casi, spiegavano le associazioni, si trattava di complicanze avvenute durante la gravidanza, cui si aggiungeva l’assenza di cure mediche. «Mentre una donna ricca può lasciare il paese o andare in una clinica privata per abortire – spiegava Rosa María Hernández, presidente dell’associazione Catolicas por el Derecho a decidir – la maggior parte delle donne non ha queste opzioni. Se sei povero e abortisci, ti aspetta il carcere o la morte».



Nel rapporto 2015-206 sullo stato dei diritti a El Salvador, Amnesty International denuncia che i difensori della comunità Lgbt – e chi è impegnato nella tutela e nella promozione dei diritti sessuali e riproduttivi – sono sempre più a rischio. Violenze e intimidazioni vengono da parte degli agenti dello stato, oltre che da gruppi di privati. Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione delle donne salvadoregne per la pace, tra gennaio e ottobre 2015 sono state assassinate 475 donne. Un dato in aumento rispetto all’anno precedente. Secondo l’ong, alcuni giudici continuano a non perseguire le uccisioni di donne o ragazze considerandole femminicidio, reato specifico contemplato dalla legge del paese, ma come omicidio.

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