PrecarieMenti - 34 anni, precaria, inevitabilmente senza figli
Nina Rosselli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2007
Ho appena terminato di sentirmi dire per l’ennesima volta da un rispettabile saggio del nostro paese (Lei, su Radio 24) che “i giovani” sembrano soffrire di “mancanza d’iniziativa e volontà”– evidentemente anche Lei ha letto l’articolo di G.Pansa, altro saggio nazionale, dedicato ai giovani “nullafacenti” ed uscito su L’Espresso di qualche mese fa. Al mio stesso articolo Se il cane si morde la coda..., con cui, decisamente indignata, avevo reagito all’epoca - e che né L’Espresso né Repubblica hanno voluto/potuto pubblicare – aggiungo che ora mi occupo di Pari Opportunità per la Provincia in cui risiedo, con l’ennesimo contratto di collaborazione, di ben 15 mesi, cui devo affiancare altri tre impieghi - insegnante, traduttrice, collaboratrice per case editrici e riviste letterarie: impegno ed iniziativa che se ne vanno per lo più in costi di trasporto e tasse - per tirare a campare e, da buona precaria, per tenere il piede in più scarpe possibili. E – va da sé, Presidente - a 34 anni ancora devo guardarmi bene dall’avere figli.
La saggezza impone l’esperienza profonda del passato, Presidente, ma anche la capacità di confronto e dialogo col presente. Altrimenti si è solo anziani.
Allego il mio articolo.
Buona lettura e buon lavoro, Presidente.
Nina Rosselli, un’elettrice (e di sinistra!)
Se il cane si morde la coda
In una società civile anziani e giovani dovrebbero essere reciprocamente solidali. Accade invece che ottime firme della stampa nazionale se ne escano con giudizi sorprendentemente superficiali sul disagio delle varie generazioni di studenti e lavoratori più o meno giovani, tuonando contro giovani “nullafacenti” (G.Pansa, L’Espresso) e contro la “molle gioventù” (Gramellini, La Stampa).
Leggendoli, ho scoperto d’incarnare un limpido esempio, a dire di tali giornalisti, dei trentenni impreparati ed indolenti di cui gagliardi anziani sembrano portare l’avvilente peso. Banale laurea in Lingue – tedesco e russo, lingua che allora, prima del boom industriale cinese e della svolta epocale dell’11 Settembre, sembrava dover diventare la lingua del futuro, almeno in Europa – con una tesi su temi nuovi, tanto da richiedere ricerche all’estero. 110 e lode – uno spreco!, dirà Gramellini. Ed ho persino perseverato: un Master all’Università di Ginevra in Studi Europei, con docenti ed esperti di altissimo livello e provenienti da tutto il mondo – e le lingue straniere conosciute salite a 4, con francese ed inglese. Dopo sei anni in Svizzera e due in Canada, dove le mie conoscenze linguistiche mi hanno agevolmente aperto le porte dell’insegnamento, delle traduzioni e delle Camere di Commercio cui prestavo servizio di consulenza in più lingue, la decisione di tornare in patria – e la conseguente discesa nel girone tutto italiano dei Co.Co.Co.
Ricordo una trasmissione di qualche anno fa, “La principessa sul pisello” (Rai3). Aveva tratteggiato un quadro preoccupante della mia generazione: avevo seguito con imbarazzo le performance sbilenche di coetanei diplomati o laureati, in cui leggevo evidenti segni non tanto di personale ignoranza, ma dell’inadeguatezza ed arretratezza dei programmi scolastici - chi mai di noi aveva ascoltato a scuola i nastri di celebri discorsi (in trasmissione si facevano ascoltare Mussolini, Badoglio, De Gasperi...)?! Io stessa, studentessa modello e figlia di appassionati insegnanti di materie umanistiche, lamentavo ben più di una lacuna sul periodo tra primo e secondo dopoguerra: la mia classe si era presentata alla maturità scientifica con un’infarinatura, mettendo insieme racconti di nonni e brandelli di spiegazioni fatte a fine anno da insegnanti di italiano, lingua e storia, sempre con l’acqua alla gola...Il tempo passa, ma i programmi scolastici non si adeguano agli eventi che si succedono e ci incalzano e, evidentemente, prima o poi ci superano.
Sarebbe perciò il caso di riflettere bene prima di formulare frasi come “molti anziani riescono a tener duro [perché] hanno studiato di più. Hanno frequentato scuole rigorose con insegnanti severi” (G.Pansa), e di approfondire invece il problema di un sistema scolastico nazionale che non mette ormai più né insegnanti né discenti in condizione di crescere insieme intellettualmente con sensibilità e rigore: i vostri maestri erano forse migliori - i nostri maestri siete voi.
Oppure: “dopo aver conquistato un posto di lavoro, [i lavoratori delle precedenti generazioni] hanno affrontato una dura gavetta [...], con maestri professionali implacabili” – posto che si trovi un lavoro, è discutibile cosa si intenda per “maestri professionali”. Il primo datore di lavoro che ho avuto in Italia, dopo tre anni di collaborazione in Provincia (con contrattodi collaborazione, rinnovato di anno in anno tra se, forse e ma), in cui per 900 euro al mese seguivo un progetto internazionale gestendo corrispondenze e contatti in tre lingue (molle, molle gioventù!), ha messo il veto su di me per tutti i bandi provinciali successivi, per la ragione più antica del mondo: il funzionario pubblico non si accontentava infatti di una dipendente competente - la pretendeva anche assolutamente disponibile.
Averne di veri “maestri” da cui ricevere lezioni e a cui poter dire con timore e rispetto “non sono d’accordo”!: i “pranzi di gala”, come li ha chiamati G.Pansa, sono il pegno che ogni generazione fa pagare alla successiva: correndo tra una scuola e un ufficio, saltando da un treno all’altro, dico scherzando ai miei genitori che ogni ora di lavoro, di quelle scandalose collaborazioni a progetto che il paese offre a piene mani alle nuove generazioni e che accumulo tra Piemonte e Lombardia nella frenesia di arrivare alla fine del mese, è il mio sacrificio quotidiano per pagare la pensione a loro, entrambi ex-insegnanti. Un’iperbole, ma il sorriso che ci scambiamo ha un fondo di amarezza che rivela il profondo disagio in cui questo paese affronta uno scontro generazionale nient’affatto alimentato da antiche ed appassionate tensioni intellettuali, un ribaltamento dei ruoli senza risvolto comico, in cui i giovani subiscono la presenza dei lavoratori più vecchi come un ostacolo alla loro realizzazione professionale, mentre anziani genitori si trovano a dover sostenere ancora economicamente figli ormai adulti, condividendone non le gioie dell’affermazione sociale ed intellettuale, ma la frustrazione di contratti degradanti e l’ansia della precarietà.
Non si abbatta il dottor Pansa: le nuove generazioni non pretendono, con colpevole arroganza, di scalzare i lavoratori più anziani come fossero tutti inutili “mummie” – ma quanti sono gli Enzo Biagi che noi giovani vorremmo leggere ed ascoltare più spesso, quanti i tecnici, gli operai, gli impiegati, gli insegnanti di più lunga esperienza capaci e disposti a trasmettere il loro sapere con serietà e consapevolezza tanto agli studenti quanto ai colleghi più giovani? Si ammetta per il bene del Paese che i “nullafacenti” sono anche tra le “mummie” e che le nuove leve non costituiscono sempre e solo un auditorium apatico e poco stimolante: gli impreparati e gli scansafatiche sono categorie umane e non generazionali. Altrimenti è un cane che si morde la coda e fa di questo paese la solita repubblica dei tarallucci-e-vino e dello scanzonato e colpevole scarica-barile.
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