Il Cairo. La scena inizia con cinque donne che si ritrovano tutte nella stessa stanza.
Una di loro suona il violino, un’altra legge dei documenti d’archivio sui quali si baserà l’intero spettacolo, e le altre alle sue spalle mimano i movimenti che ricordano lo sfogliare dei fogli.
Non ci sono nomi da ricordare, ma solo l’ascolto delle storie di chi ha subito quella violenza più di cento anni fa.
“Zig zig” difatti racconta di quanto avvenuto nel 1919. Durante l’occupazione britannica dell’Egitto, in un piccolo villaggio vicino a Giza dal nome Nazlat al-Shobak i soldati britannici violentarono le donne del posto e saccheggiarono quanto c'era da saccheggiare. Nel giro di pochi mesi, in seguito anche alle denunce delle donne, venne istituito un tribunale militare nel villaggio. Immediatamente fu chiara la denuncia contro le violenze, tanto che il movimento nazionalista utilizzò le storie di quelle donne per fare leva sulla popolazione unita nel cacciare gli inglesi. Ma come accade molto spesso oggi, anche allora a cose fatte e risultati ottenuti, le storie di quelle donne caddero nel dimenticatoio, e la società fece altrettanto.
“Ho voluto mettere in scena una rielaborazione delle testimonianze di quelle donne. Non solo le loro parole, ma anche i documenti ufficiali che riportano quanto avvenuto all’epoca per non dimenticare” dice Laila Soliman, la regista.
“Zig zig” vuole parlare dei corpi femminili feriti dentro e fuori, e non solo da parte di chi si è macchiato del crimine, ma anche da parte della società che le abbandonate, una volta ottenuto il risultato sperato, quello cioè di animare gli egiziani contro l’occupazione britannica del Paese.
Secondo i pochi incartamenti ad oggi esistenti, tra l’altro reperiti negli archivi del Foreign Office britannico ed insieme ad altri materiali relativi alle lotte indipendentiste di quegli anni, oggi si pensa oggi che le storie di quelle donne furono utilizzate solo per la causa nazionale, la tanto agoniata e sperata indipendenza dal Regno Unito.
"Zig zig" da una parte vuole trasmettere la paura di quelle donne e l’angoscia di dover denunciare, ma dall’altra vuole soprattutto ricordare quel coraggio che le spinse a testimoniare le violenze subite.
“Non si può dimenticare, perché una violenza rimarrà sempre una violenza, e più ne parliamo e più l'atteggiamento della società rispetto alla violenza di genere può cambiare” dice Laila Soliman.
Lo spettacolo è stato presentato per la prima volta il 15 aprile nella rassegna di arti e spettacolo chiamata Downtown contemporary arts festival.
Il Festival è nato qualche anno fa per unire e offrire allo stesso tempo al pubblico le diverse forme di espressione artistica provenienti dal mondo arabo e non arabo, come l’Italia.
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