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Effetto tagli / 2

Effetto tagli / 2

Emilia Romagna - Prosegue l’analisi dell’impatto della manovra finanziaria sui servizi e sulla qualità di vita

Domenica, 12/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2010

Prosegue l’analisi dell’impatto della manovra finanziaria sui servizi e sulla qualità di vita dei cittadini in Emilia-Romagna. In questo numero parliamo di cultura e lavoro femminile, due settori strategici per la ripresa economica, ma che sono vittima dei tagli lineari di Tremonti al pari se non più di altri. Il governo nazionale farà cassa risparmiando circa 1 miliardo di trasferimenti alla Regione e agli Enti locali: ma a che prezzo?





LA CULTURA, I GIOVANI E IL DESERTO ANNUNCIATO

di Rita Moriconi

Consigliera regionale Partito Socialista – Gruppo PD



Sono 232 gli Enti italiani che, come recita l’articolo 7 del “Decreto legge recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, non riceveranno più i fondi statali e per i quali la chiusura non è più una possibilità più o meno remota, ma un rischio concreto. Segue poi l’elenco che, come le liste di proscrizione dell’antica Roma, cita i nomi degli Enti per cui “lo Stato cessa di concorrere al finanziamento” insieme a diversi istituti, fondazioni ed altri organismi. Sono nomi importanti quelli indicati nel decreto, molti di fama internazionale, come la Fondazione Rossini di Pesaro, la Triennale di Milano, il Centro Sperimentale di cinematografia, solo per fare alcuni esempi, tutti legati per la loro sopravvivenza alle sovvenzioni statali.

Non si può continuare a pensare che i tagli alla spesa pubblica debbano necessariamente partire dalla cultura, come se questo capitolo di bilancio rappresentasse null’altro che un accessorio di cui, in tempi di crisi, si può fare a meno come di un superfluo oggetto di lusso. Si tratta di una visione della realtà totalmente fuorviante, in quanto non tiene conto che la cultura (e parlo chiaramente anche della creatività, della ricerca e della divulgazione) è una vera e propria industria che, solo nella nostra regione, fattura milioni di euro ed occupa migliaia di persone. Dobbiamo essere consapevoli che tagliare sulla cultura significa tagliare posti di lavoro, professionalità e specificità lavorative che dipendono da questi finanziamenti e che, purtroppo, difficilmente potranno essere riconvertite, pena la perdita di competenze non sostituibili.

Occorre dunque avere il coraggio di invertire questa tendenza, di stabilire una linea rossa del finanziamento al di sotto della quale non si può andare. Coscienti che, altrimenti, andremo incontro a quello che Massimo Mezzetti, assessore alla cultura della Regione Emilia-Romagna, ha definito con efficacia un “deserto culturale”.

Il sistema culturale in cui viviamo è stato concepito dalle generazioni precedenti come una delle priorità per lo sviluppo sociale e democratico. Se un governo ritiene inutile investirvi risorse significa non soltanto che si dimentica di un inestimabile patrimonio che ha ereditato, ma soprattutto che si disinteressa della formazione e del futuro dei propri giovani.

Il taglio alla cultura comporterà, di fatto, l’impossibilità di accesso per le nuove generazioni ad un sistema di sapere che va oltre internet e il piccolo schermo. Il rischio per loro è perdere l’opportunità di sviluppare un pensiero critico e autonomo in un circuito di idee, stimoli e suggestioni più complesso. Oggi, infatti, si è stabilito un legame quasi ombelicale tra i giovani e le modalità di intrattenimento e comunicazione che offre la rete. Non dobbiamo dimenticarci però che internet informa ma non offre vera conoscenza, e che, se saremo noi per primi a trasmettere la sensazione che sulla cultura si possa tagliare senza porre un limite ragionevole e sostenibile, non potremo mai pretendere dalle nuove generazioni che siano più istruite, più sensibili e più rispettose verso il passato e verso le idee altrui.

La spesa per la cultura rappresenta oggi soltanto lo 0,11% del bilancio della Regione Emilia-Romagna: una cifra che rappresenta certamente la soglia minima di sussistenza per il funzionamento di un sistema fatto di eccellenze sul piano musicale, museale, artistico e di ricerca. Ora il mancato versamento di fondi da parte del Ministero dei Beni Culturali ad Enti culturali e musicali del nostro territorio rischia di costringere la Regione ad interventi di vero e proprio salvataggio, sempre più difficili in un momento in cui le stesse risorse regionali hanno subito un drastico ridimensionamento.

Anche il rapporto con i privati andrà necessariamente ripensato, passando dal livello delle semplici sponsorizzazioni su singoli eventi ad un’azione concertata con le Pubbliche Amministrazioni, affinché chi spesso si limita al semplice sostegno di iniziative si faccia invece, assieme agli Enti Locali, promotore di crescita occupazionale e sociale.

Occorre ritrovare al più presto in chi governa la consapevolezza che fare e sostenere la cultura è una priorità e non un accessorio del nostro vivere civile. La nostra Regione dovrà porsi in prima fila nell’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su un tema che va ben al di là della conservazione dei Beni Culturali e mette in gioco il futuro del nostro Paese.

 





IL RUOLO DELLE DONNE PER LA BUONA ECONOMIA

di Palma Costi

Consigliera regionale PD, Commissioni sanità e politiche economiche



L’accesso all’istruzione e al lavoro (dipendente o autonomo) è la prima condizione perché i diritti delle donne siano reali e perché la società abbia un buon livello di benessere. Questo è possibile se le donne sono supportate da un welfare che ha al centro le persone e che risponde alla conciliazione dei tempi di cura e di lavoro e al valore sociale della maternità.

L’Emilia-Romagna ne è un esempio: al pari delle regioni più avanzate d’Europa, vanta un mercato del lavoro con una costante e crescente presenza delle donne, superando con alcuni anni di anticipo l'obiettivo del 60% dell'occupazione femminile per il 2010 prefissato dalla Strategia Europea di Lisbona. Nel secondo trimestre del 2010 il tasso di occupazione femminile è giunto al 60,9% a fronte di una disoccupazione del 6,7%. Questo in un quadro nazionale di basso tasso di occupazione femminile (nel 2009 le donne italiane con un lavoro erano meno di una su due) e un sistema di welfare sempre più ridotto. Anche nel campo del lavoro autonomo il Rapporto sull’economia di Unioncamere Emilia-Romagna (giugno 2009) rileva un aumento dell’imprenditoria femminile dell’1,9%: nella nostra regione sono quasi 90 mila le imprese femminili, il 20,9% delle imprese attive a fronte di una media europea del 10% e di un 16% a livello nazionale (un dato che però ricomprende qualsiasi lavoro autonomo). L’imprenditoria femminile della nostra regione inoltre ha tassi di redditività superiori alla media. Le donne che entrano nel mercato sono “generatrici” di nuovi posti di lavoro e fanno crescere in modo significativo la ricchezza nazionale: ecco perché possono e devono avere un ruolo di assoluta rilevanza per favorire l’uscita dalla crisi e rilanciare la buona economia e la buona occupazione.

Si comprende immediatamente quanto distanti da questo scenario e da quello delineato dalla stessa Comunità Europea siano le scelte operate dal Governo Berlusconi e dalle Finanziarie di Tremonti: tagli al sistema dell’istruzione e al sistema complessivo di welfare (ad esempio la soppressione del fondo per la non autosufficienza e delle detassazioni per l’assunzione delle donne) e mancanza di una politica industriale di rilancio competitivo per le piccole e medie imprese.

Le donne in particolare hanno bisogno di essere sostenute nel loro duplice ruolo di lavoratrici e madri, ed infatti è proprio nelle regioni con servizi efficienti come la nostra che le donne lavorano di più e fanno più figli. Questo Governo che ogni giorno si dichiara a parole per “la famiglia” e per “l’impresa”, nei fatti sta smantellando in modo irresponsabile ogni provvedimento in materia di servizi alle famiglie e alle donne e di agevolazioni alle piccole imprese. Ne è un concreto esempio l’ultima manovra finanziaria, che prevede per la nostra Regione un taglio netto di 340 milioni di euro (esclusa la sanità) per il 2011: questo significa meno finanziamenti per il welfare e meno incentivi alle imprese, quindi meno opportunità in primo luogo per le donne. Per questo la Regione Emilia-Romagna ha scelto di continuare ad investire in primo luogo sul welfare, sulla formazione, sulla ricerca e l’innovazione anche a supporto delle piccole e medie imprese, per continuare a creare ricchezza e benessere.

Non solo: l’importanza delle donne nella società e nel mercato del lavoro e la consapevolezza del persistere di importanti differenze fra uomini e donne ha portato tutti i gruppi politici della Assemblea legislativa a sottoscrivere la proposta di legge istitutiva della Commissione regionale per la Promozione di condizioni di piena parità tra donne e uomini, che andrà ad attuare l’articolo 41 dello Statuto regionale. La realizzazione di buone politiche economiche e sociali ed il raggiungimento di un benessere diffuso nella società, come dimostra la storia recente della nostra regione, può avvenire solo con il superamento concreto delle diseguaglianze di genere, ad iniziare dall’accesso al sapere e al mercato del lavoro.



(13 dicembre 2010)

 

(REDAZIONALI)

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