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Ecopoesia

Ecopoesia

Poesia / Fosca Massucco - Versi nei quali si coglie la ferocia e la meraviglia della natura

Benassi Luca Martedi, 23/09/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2014

In una celebre intervista per la RAI, Italo Calvino sosteneva come il genere umano, nella convinzione di poter governare e modificare la natura a suo piacimento, avesse assunto nei confronti di questa un atteggiamento quasi paternalistico. La natura era quella degli animali e delle piante a rischio d’estinzione, da proteggere, e allo stesso tempo, relegare nei parchi e nelle riserve; dell’ambiente si dimenticava la sua essenza, la sua onnipresente pervicacia, capace di stravolgere i pieni dell’essere umano e minacciarne l’esistenza (si pensi a certi eventi meteorologici di inaudita potenza). Calvino invitava a diffidare della natura e della sua ferocia, poiché nella bellezza e nella forza di un filo d’erba si nascondeva la prevaricazione di una specie sull’altra, la lotta per la sopravvivenza che portava all’annientamento. La poesia di Fosca Massucco sembra porsi in un rapporto di equidistanza rispetto a un ambiente del quale si coglie la ferocia e la meraviglia, dove l’unità di misura è sempre l’essere umano, capace dell’eccidio degli esseri che lo circondano e allo stesso tempo di essere scalzato dalla sorpresa di un pruno che nasce fra i binari. La natura non è né matrigna incurante delle vicende dei terrestri né cosmo da osservare nei suoi meccanismi fisici e matematici, ma un teatro naturale che ricorda la poesia di Giampiero Neri, all’interno del quale l’essere umano ricompre un ruolo importante, ma mai di protagonista assoluto. È anzi il suo ruolo di osservatore, di occhio-mirino, ad essere esaltato, laddove è l’osservazione stessa a creare le trame e l’ordito della natura, e a generare l’occasione della poesia. L’ecosistema è un luogo dal quel si è cacciati via, ma al quale si ritorna, alle sue ripe, ai suoi fossi, e nel quel non è la Storia e le sue vicende a segnare il tempo, bensì le metamorfosi incessanti e inarrestabili che trasformano la montagna in sabbia e questa nel castello che il bimbo costruisce sulla spiaggia. Massucco, che è laureata in fisica e specializzata in acustica, attenua la grana filosofica dei suoi testi, a volte vicina all’aforisma, con una versificazione alleggerita nelle strutture sintattiche e sempre musicale, vicina alla misura dell’endecasillabo con sonorità tonali ed immediate. Massucco è nata a Cuneo nel 1972 e lavora come Tecnico del Suono in sala di registrazione. Ha pubblicato la raccolta poetica “L’occhio e il mirino”, edita per L’Arcolaio di Gianfranco Fabbri (Forlì) a marzo del 2013, prefata da Dante Maffìa. È ancora inedita la silloge “Per distratta sottrazione”.



BOX 1



È la rabbia che fa maledire la terra

sotto la quale si dimora. Fermami

se puntuale scaccio la grazia – cacciami

al fondo delle ripe, campi già santi

di bestie dove la rabbia s’allunga

nell’aria con braccia di rovo.

Risalirò. Io che posso fuggire ancora

i rovi e la rabbia, fingermi senza

l’attenzione - la precisione

lasciata a dio.



BOX 2



La rosa rampicante, ad esempio, non rispose più

inchiodata dal sole, fiorita di pidocchi;

nemmeno la lumaca passò indenne

sul marciapiede della bignonia in rigoglio,

secca nel prato la rigettò un calcio.

Non salvai nessuno,

la rosa, la lumaca – neppure la lucertola

sgranocchiata impassibile dal gatto –

accolsi quello sterminio di universo angusto;

quando cercai un arcobaleno a forzare i tempi,

aprii l’acqua del giardino in controluce.



BOX 3



Cabina C al chilometro 1+105,

quasi Porta Nuova.

Accanto al treno notte

senza più motrice

fiorisce un pruno soave.

La beatitudine mette radici

in luoghi inattesi.



BOX 4



In un castello di sabbia ci sono grani

a sufficienza per figurarsi un eone.

Chicchi franosi, equilibrio indifferente –

memoria distratta di materia.

Il castello ristà: miniata resiste Aqaba

presa di spalle tra pollice e indice.

Il mare s’allunga e ritira la sabbia –

ogni rovina porta con sé i propri suoni.



 

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