Login Registrati
Ecco servita l’Italia misogina

Ecco servita l’Italia misogina

Intervista a Paola Agnello Modica - Dalle crisi che viviamo - economica, sociale e ambientale - si può uscire con un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Anche sociale e ambientale e nel rispetto delle donne

Donatella Orioli Martedi, 15/12/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2009

“Le donne che vorrebbero lavorare (in forma retribuita) sono sempre di più, ma la situazione per loro è sempre più difficile. Siamo in piena crisi economica e occupazionale (altro che “il peggio è alle nostre spalle”!), anzi le crisi che viviamo sono tre: economica, sociale e ambientale”. Con questa sintesi, a dir poco significativa, Paola Agnello Modica, Segretaria Confederale della CGIL Nazionale, ci conduce, dal suo punto di vista, nel mondo del lavoro femminile, passando attraverso la condizione del lavoro, della salute, dell’ambiente.



Il suo ruolo nazionale è un osservatorio d’insieme. Ci aiuti a capire, oltre a ciò che viviamo direttamente, gli effetti e le prospettive della crisi.

C’è chi vuole uscire dalla crisi economica tentando di tornare al passato: competizione sui costi, disuguaglianze, investimenti nella rendita e non nella produzione e nella ricerca e innovazione, disoccupazione, precarietà, inquinamento e non mitigazione, fino a migrazioni bibliche e a vere e proprie guerre per l’acqua, cibo, energia, materie prime. Cioè negando un futuro ai poveri del mondo e alle giovani generazioni. E negando alle donne un futuro lavorativo degno e rispettoso. Oggi in Italia non solo siamo ben lontani dagli obiettivi di Lisbona, ma abbiamo il primato di tipologie di rapporti di lavoro, che provocano amplissime fette di mercato del lavoro precario, ambito in cui le donne pagano i prezzi più alti. Lavorare in forma flessibile/precaria significa non poter progettare un proprio futuro autonomo, non avere sempre diritto agli ammortizzatori sociali, non poter costruire una proprio futuro pensionistico. A ciò va aggiunta la scelta del Governo di ridurre gli interventi in materia sociale, con il doppio risultato di ridurre gli spazi occupazionali diretti per le donne e di ridurre i servizi che permettono alle donne di alleggerirsi di alcuni compiti di cura e poter quindi svolgere una attività retribuita. Il Libro Bianco del Ministro Sacconi dall’accattivante titolo “La vita buona nella società attiva” nei fatti ipotizza una risposta privatistica, corporativa e individualistica ai bisogni di servizi, tanto ci sono le donne che gratuitamente svolgono i lavori di cura. Ma anche la contro-riforma Gelmini prepara un pessimo futuro per le giovani non appartenenti al ceto alto della società. Ricordo che il massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro è seguito alla riforma che portò alla scuola media unificata all’inizio degli anni ’60!



Il tema della salute passa anche attraverso lo stress e, da un lato siamo costantemente sollecitati alla prevenzione, alla longevità, allo star bene e, dall’altro, una donna cinquantenne risulta “da buttare”. Non è un controsenso?

In Italia la misoginia sta riprendendo fortemente piede, e di fatto il “requisito estetico” è condizione ancora drammaticamente richiesta alle donne, seppur non sempre in maniera esplicita. Ne è esempio la maggiore difficoltà delle non giovanissime a trovare lavoro, nonostante ci venga chiesto di lavorare più a lungo perché siamo mediamente più longeve. Omettendo di mettere in conto la fatica che cumuliamo durante la vita nel lavoro retribuito e in quello non retribuito e omettendo le differenze di condizioni tra lavori manuali e intellettuali. Caso mai sarebbe utile che tutti i componenti della società imparassero a manutenere la vita propria e altrui come sanno fare le donne.

C’è chi vuol fare intendere che le donne svolgono lavori meno faticosi e pericolosi poiché il tasso di infortuni, in particolare mortali, è più basso. Ma un’analisi più attenta ci dice che le cose sono diverse: secondo l’OIL in Europa ci sono 4 morti a causa di malattie professionali per ogni morto per infortunio. Ciascuno di noi conosce donne che soffrono di dolori e malattie varie, sia fisiche che connesse allo stress, che originano dal loro lavoro e la loro invisibilità mediatica non ne riduce la portata di sofferenza a volte invalidante. Così come la precarietà riduce la condivisione dei saperi e delle esperienze, riducendo le denunce relative. Parlarsi tra donne, colleghe, compagne di lavoro si può e si deve, per contribuire a uscire dalle solitudini in cui vogliono ricacciarci e per mettere in pratica la solidarietà di cui siamo capaci.



Esperienze, Parlarsi, Solidarietà, sembrano parole d’altri tempi. Ci possono davvero aiutare?

Lo dobbiamo fare ancor più oggi per uscire da questa crisi che ha anche un portato democratico e misogino. E’ indispensabile e possibile un nuovo modello di sviluppo sostenibile anche sul piano sociale e ambientale basato sulla ricerca, innovazione, occupazione anche di qualità, saperi, istruzione, nuovi valori di convivenza, democrazia. La CSI (Conferedazione Sindacale Internazionale) scrive nel suo documento che presenterà ai negoziati sul cambiamento climatico a Copenaghen: “i sindacati ritengono che la giustizia del clima non può essere raggiunta senza la giustizia di genere. Le donne sono una fonte essenziale di idee innovative e strategie di protezione e debbono essere sostenute in modo da poter svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale a tutti i livelli, comprese le strutture sindacali.”

Mi sembra l’approccio giusto.



(15 dicembre 2009)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®