Violentate e abusate - Dal Codice Hammurabi in poi, un rapido excursus storico su come il diritto ha trattato la violenza contro le donne
Bertolini Tatiana Lunedi, 12/03/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2012
Quando, nel 1995, venne consegnato all’allora Presidente della Camere Irene Pivetti il plico contente migliaia di firme raccolte affinché il Parlamento modificasse lo stupro da reato contro la morale a reato contro la persona si era compiuta una svolta epocale. Tutte quelle firme raccolte denotavano un cambiamento di percezione nei confronti di un reato che ha accompagnato la storia dell’umanità, ma che non era mai stato visto come tale. Nei secoli, quando il diritto si è occupato della violenza contro le donne, lo ha sempre fatto attraverso un giudizio che passava dalla pubblica morale, per far sì che l’uomo ne venisse assolto e non solo moralmente.
Anticamente il tema della violenza era spesso associato a quello dell’adulterio.
Secondo il Codice Hammurabi, uno dei primi della nostra storia riferito alla Civiltà Assira, se la donna coniugata era colta in flagrante con l’amante veniva punita assieme all’uomo con l’annegamento. Sua unica speranza di salvezza era il perdono del marito (sic!). Se invece essa era giovane e non sposata era punito solo l’aggressore.
Già nel Deuteronomio (uno dei libri componenti il Pentateuco, la prima parte della Bibbia) però le cose cambiano. Innanzitutto si inizia a porre una differenza circa il luogo in cui avviene la violenza, ovvero se in città o in campagna.
Nel primo caso la pena prevede che la donna violentata venga condotta fuori dalle mura assieme al suo violentatore ed entrambi siano uccisi, nel secondo viene punito solo l’uomo. Questo si spiega perché se la donna non è consenziente deve difendersi, urlare e chiedere aiuto. Cosa che può avere un seguito se lo stupro avviene in un luogo affollato come una via urbana, mentre se anche tentasse di gridare aiuto in aperta campagna ciò non le potrebbe portare alcun giovamento. Quindi se una donna è violentata in realtà è perché lo vuole, diversamente farebbe di tutto per opporsi alla violenza.
Del resto per l’adultera c’era la lapidazione, contro la quale si opporrà Gesù Cristo, e che ancora viene applicata in certi Paesi arabi secondo alcune interpretazioni del Corano. Ben peggiore la sorte per una vergine; nel caso in cui subisca uno stupro dovrà sposare il suo violentatore. Apparentemente la legge è severa con l’uomo: egli dovrà sborsare 50 sicli al padre e dovrà poi prendere in moglie la donna. Questa normativa, che avalla un principio di per sé ripugnante, ovvero che il valore di una donna (valore morale e monetario) passi attraverso la sua illibatezza, offre la possibilità al maschio di scegliere una donna e, qualora sussistesse qualche contrarietà al matrimonio, poterla comperare previa violenza.
Non molto diversamente vanno le cose nell’antica Grecia. Il celebre legislatore Solone stabilisce che se le donne sono violentate nei loro appartamenti bisogna punire l’uomo, se sono violentate per via devono essere punite esse stesse, perché le donne non devono uscire e perché quando sono in casa devono rimanere confinate nelle loro stanze.
Da subito, quindi, si delinea la tesi che se una donna è virtuosa non potrà essere oggetto di violenza alcuna mentre in caso contrario è perché in fondo, se la merita. L’attualità ce lo insegna: di violenza ce n’è in abbondanza anche tra le mura domestiche e, proprio per le premesse di cui sopra, è assai più difficile da individuare.
Quindi la fuitina di siciliana memoria aveva un precedente addirittura nel testo sacro per antonomasia.
Di grande valore e coraggio, dunque, fu la battaglia ingaggiata da Franca Viola, la giovane siciliana che si rifiutò di sposare il suo violentatore, infrangendo una consuetudine non solo secolare e siciliana, ma millenaria e che vorrebbe essere universale. A conferma che molti dei comportamenti avversi alle donne vengono da lontano.
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