Sondaggio di settembre - Per il 65% delle risposte la crisi è una certezza, “si fa fatica ad arrivare a fine mese” e per di più “risulta difficile progettare con un panorama più ampio di quello del quotidiano”...
Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2008
Per il 65% delle risposte la crisi è una certezza, “si fa fatica ad arrivare a fine mese” e per di più “risulta difficile progettare con un panorama più ampio di quello del quotidiano”. Per il 26% esiste un diffuso senso di insicurezza di reddito tale da produrre una generalizzata paura per “il proprio domani”.
Se le crisi internazionali e quelle delle grandi imprese italiane ci descrivono un quadro di riferimento incerto, è nel proprio quotidiano che emerge la paura di non farcela. Forse per questa ragione anche chi (il 9%) fino ad oggi ha sempre ritenuto eccessiva l’enfasi sulla crisi da parte della stampa, oggi percepisce maggiori difficoltà “nel tirare avanti”.
Si parla di crisi a causa di una diminuita capacità di acquisto del proprio reddito: i prezzi aumentano, anche sui beni di consumo primario come gli alimentari; anche le bollette sono “vertiginosamente lievitate” ed i “tagli di spesa ci portano a carenze nei servizi, sia in termini quantitativi sia qualitativi”. Il senso di precarietà è in aumento.
E alla domanda in merito a quali siano, tra i provvedimenti che riguardano la spesa economica, quelli che pesano di più, appare curioso rilevare che le risposte ragionano più sugli effetti gestiti in prima persona più che sulle cause. Per questa ragione chi risponde si sofferma ad elencare ciò che incide sul proprio quotidiano: tagli dei servizi sociali, i prezzi in aumento di beni di uso comune, della benzina e delle bollette.
Ma quali sono i consumi ai quali non si è disposti/e a rinunciare? Alcune risposte elencano: l’automobile (“altrimenti non mi sposto più”, “non voglio rinunciare alla mia vita di relazione”), i libri ed i CD, il personal computer e la navigazione in internet, la buona qualità del cibo. Molto più numerose le indicazioni delle rinunce, del resto è molto più semplice individuare ciò a cui si è rinunciato: le vacanze ed i viaggi (“ho modificato significativamente le mie scelte come luogo e come durata”), al mangiare fuori (“anche solo in pizzeria”, “alla colazione al bar”), a ristrutturare casa, all’acquisto di mobili e beni durevoli, ai vestiti.
C’è anche chi lamenta di aver dovuto risparmiare sulla salute e sulla cura della persona (“vado meno dalla parrucchiera, mi arrangio in casa”), sulle attività del tempo libero soprattutto culturali (“non vado più così spesso a teatro e al cinema”, “ho rinunciato a corsi di lingua straniera”) e si cerca di fare acquisti molto mirati e di qualità. Magari questa crisi ci farà scoprire alternative interessanti, come ad esempio “andare a correre”, “ricercare gli spettacoli gratuiti”, anche se “con dei bambini non sempre è facile trovare soluzioni gratuite o a poco prezzo per tutti i loro bisogni”.
I timori che pervadono le risposte sono una conferma dei risultati dell’indagine Censis, presentata nel luglio scorso: una delle prevalenti paure presenti nella società italiana, si affermava, oggi è rappresentata dal rischio di disoccupazione.
La paura pervade trasversalmente la società e interessa giovani e non giovani, pensionati, occupati e disoccupati. Le differenze riguardano solo le diverse aree del Paese. Nel Nord-Est la paura riguarda meno della metà della popolazione (40,1%), ma già sale significativamente di quasi 10 punti se ci si sposta nel Nord-Ovest (49,1%), cresce ancora nel Centro (72,5%) e tocca l’apice nel Sud, dove in pratica tutti o quasi hanno un rapporto ansiogeno con il lavoro (85,9%). Stando agli ultimi dati 2007, quasi 2,76 milioni di italiani, soprattutto giovani (l’11,9% di quanti hanno un’occupazione), sono in una condizione di lavoro a termine, mentre i sommersi sono quasi 3 milioni e i sottoccupati quasi un quinto degli occupati. La paura così non solo non diventa l’innesco per il miglioramento, ma si trasforma nel suo opposto, nel desiderio irrazionale e impossibile di un ritorno a un’età dell’oro del lavoro che in Italia forse non è mai esistita.
Di fronte all’elevato incremento del costo dei prodotti alimentari, il mercato ci presenta due fenomeni diametralmente opposti: da un lato, l’aumento del fatturato dei fast food in Italia (del 50% rispetto il 2000) che – grazie alle dimensioni globali delle catene riescono ad evitare i rincari sulle materie prime – catturando con il prezzo la clientela che scappa da ristoranti e pizzerie. Dall’altro la crescita di attenzione e diffusione dei “prodotti a chilometro zero” : mercati o esercizi pubblici (bar, ristoranti, gelaterie, ecc.) che utilizzando prodotti del territorio acquistati direttamente dalle imprese agricole, garantiscono una maggiore qualità del prodotto e un risparmio in termini di inquinamento. Coldiretti fa sapere che ogni famiglia, facendo attenzione a consumare soltanto prodotti locali e con un occhio anche agli imballaggi, in un anno può risparmiare fino a mille chili di anidride carbonica nell’aria. Ad ognuno libertà di scelta, per quanto mi riguarda sono per la qualità del prodotto locale.
E’ crisi a causa …
Dell’aumento dei prezzi
Della sempre più scarsa capacità di spesa individuale
Delle crisi delle grandi aziende italiani
Della precarietà diffusa
Delle grandi crisi internazionali
Del costo dei prodotti petroliferi
I provvedimenti economici che più pesano sono..
I tagli ai servizi
L’aumento delle utenze
La mancanza di equità nella distribuzione dei sacrifici
La mancanza di sostegno alle famiglie
La diminuzione della qualità dei servizi
E’ più semplice dire a cosa si è rinunciato, piuttosto che a cosa non si rinuncerà mai!
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