Il gusto della gara / 2 - Per Morena Tartagni, corridora in bicicletta, dallo sport passa il valore delle donne
Villa Nino Lunedi, 30/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012
Per lo sport femminile italiano Morena Tartagni occupa un posto di rilievo. Ha praticato il ciclismo quando per le donne era a livello quasi pionieristico e grazie ai suoi successi ha permesso alla disciplina di sopravvivere dignitosamente fino all’attuale esplosione di quattro titoli mondiali in cinque anni. Un bronzo (’68) due argenti (’70 e’71) nella rassegna iridata, dieci titoli italiani - sei consecutivi nell’inseguimento su pista, due nella velocità sempre in pista e due su strada - col 1968 annata d’oro nella quale, oltre al possesso di tutte le maglie tricolori disponibili, si aggiunse il record mondiale sulla distanza dei 3 km in pista, con 4’09”9/10.
I valori di Morena traspaiono nel racconto delle sue esperienze e collegano sempre lo sport con l’importanza del supporto familiare, la voglia di far vedere quanto vale una donna e l’importanza dei risultati per un’emancipazione non solo individuale: “Ho cominciato da piccolissima ad amare la bici, che era nel DNA per la passione di mio padre e di mia madre. Abitavo in Romagna, a Trivella vicino a Predappio dove sono nata e per quella strada si allenavano spesso i professionisti, che poi si fermavano a dissetarsi ad una fontana. Una volta Ercole Baldini mi chiese cosa volevo fare da grande e la risposta fu immediata: la corridora. Lui rise e me lo ricorda ancora quando ci vediamo a qualche manifestazione. Il mitico sindaco di Predappio, Egidio Proli, mi chiedeva cosa volessi in regalo quando andava a Roma e la risposta era scontata: la bicicletta. Quando ne possedetti una, la prima volta dall’emozione andai fuori strada”. Con la famiglia Morena emigrò in Svizzera, e non dimentica i sacrifici fatti per il lavoro dei suoi genitori, che comunque le permettevano di sviluppare il proprio istinto sportivo. Tornata in Italia cominciò a gareggiare a quindici anni per il G.S.Preganese, diventando la più giovane partecipante a gare nazionali ed internazionali. Cosa ti porti dentro degli anni di sport attivo? “Tante cose belle, i risultati, le esperienze internazionali, le soddisfazioni: a Leicester in Inghilterra il c.t. dei dilettanti volle fare un allenamento sulla distanza ad eliminazione ed alla fine restai solo io con due atleti maschi. Ma ho anche delle amarezze: il ciclismo femminile allora era appena tollerato - anche se negli anni ’50 era stato girato “Bellezze in bicicletta” - ed eravamo considerate atlete di serie B rispetto a quelle di altri sport. Inoltre, grazie alle mie medaglie la Federazione Ciclistica si pavoneggiava ma mentre per gli atleti uomini c’erano riconoscimenti tangibili io non ho mai visto una lira. La medaglia di bronzo del ’68 mi fruttò…una gonna scozzese con tanto di spillone. Per una femmina, pensavano, una gonna è un gran regalo..” Per i tuoi valori, lo sport ha avuto peso nel percorso di emancipazione? “Sicuramente, e tanto: attraverso i nostri risultati, frutto di dedizione e sacrifici, abbiamo dimostrato di quali valori e capacità eravamo portatrici. Per una donna fare sport comportava una difficoltà molto maggiore rispetto ai maschi. Io ho avuto il supporto della famiglia che ancora ringrazio, ma ricordo tante ragazze che venivano a gareggiare di nascosto o altre che dovevano fare gli straordinari al lavoro per potersi allenare o pagarsi il biglietto del treno per venire alle corse. Ovviamente si subivano anche ironie di bassa lega e concetti maschilisti che facevano male, poi l’agonismo e la concentrazione li facevano dimenticare, ma mai rimuovere. Chi vinceva poteva non farci caso ma penso a quelle ragazze che correvano per passione e non ottenevano risultati. Penso alla frustrazione nell’udire certi commenti o nel vivere certe situazioni. Alla fine però, ogni conquista sportiva era anche una conquista emancipativa e le donne dello sport hanno dimostrato di quali capacità, intelligenza, valori erano in possesso impegnandosi poi anche in altri campi come quello politico e sociale. Penso a Josefa Idem - che ancora si batte per partecipare alle Olimpiadi, che purtroppo ai miei tempi non prevedevano la mia disciplina - e ad altre sportive di valore. Sì, lo sport fatto per se stesse, per dimostrare di cosa siamo capaci, ha fatto compiere grandi passi, non ad una indistinta uguaglianza ma a dimostrare tutte le potenzialità della donna”.
Di Morena ho un ricordo particolare che conferma il suo carattere e la sua attenzione alla problematica femminile, non solo nello sport: negli anni’80 la Uisp nazionale organizzava la “Vuelta a Cuba” in bicicletta e Morena era in pratica una testimonial. Ancora ben allenata, gareggiò alle corse che vennero organizzate per i partecipanti, anche perché a Cuba il ciclismo femminile è ben rappresentato ed oggi alcune sue atlete - Lisandra Guerra, Yoanka Gonzalez - hanno vinto campionati mondiali su pista e piazzamenti alle Olimpiadi. Ebbene, pur potendo vincere, lasciò sempre il primo posto ad atlete cubane, consapevole che battendo la “subcampeona mundial” come veniva definita dallo speaker, le ragazze di casa avrebbero trovato motivazioni per continuare a correre e orgoglio e convinzione della loro condizione di atlete e donne.
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