Venerdi, 06/03/2015 - Eccoci di nuovo al fatidico appuntamento, arriva l'8 marzo, da celebrare come ogni anno. Poche coraggiose sono ancora in grado di mettere insieme energie, speranze e forze per organizzare qualcosa in questa bella giornata che ricorda però un brutto fatto accaduto molti anni fa. Questa è la storia! Oggi quasi ogni giorno siamo abituati a celebrare qualcosa, uno per uno tutti i giorni fan nessuno. Passato l'8 marzo non ci penseremo più e torneremo alle faccende quotidiane. Se per gli uomini la giornata è ancora una volta importante a sottolineare la differenza tra maschile e femminile (altrimenti la giornata non serviva), per le donne è un momento per pensare a se stesse in quanto esseri decisamente inferiori, altrimenti la giornata non servirebbe.
Scusate il mio sfogo, in questo momento sono molto scoraggiata, e spesso la rabbia non sappiamo come poterla indirizzare verso qualcosa di costruttivo, magari scrivendo questo articolo troverò la forza.
Il concetto sul quale mi preme riflettere, è quello di superiore/inferiore, senza il quale non si darebbe l'eterno scontro uomo/donna. Questo bipolarismo, questa dualità che si impone, questo sistema binario che attraversa tutta la storia del pensiero. E già perché se proprio volessimo rifletterci su dovremmo scandagliare bene la filosofia, per capire come si instaura e si inserisce nella nostra “mente” il fatto che la dualità invece di restare sul piano della differenza e della diversità, assuma connotati di positivo/negativo dove positivo sta per superiore e negativo sta per inferiore, in questo caso uomo=positivo, donna=negativo. Perché? Quando la differenza è diventata unità di misura?
Un po' di storia. Con la locuzione filosofia della differenza, o pensiero della differenza si usa definire una corrente filosofica del XX secolo strettamente connessa ad alcune posizioni teoriche femministe. Si è diffusa principalmente in Europa e negli Stati Uniti a partire soprattutto dalle elaborazioni critiche della psicoanalista Luce Irigaray. Centrale nella riflessione della Irigaray è il concetto di fallogocentrismo, che essa avvia nell'opera "Speculum" che contemporaneamente designa lo specchio come strumento di costruzione dell'identità, e lo speculum come oggetto di uso ginecologico, atto a permettere al medico la visione della cavità vaginale; parlando di fallogocentrismo, quindi, la Irigaray intende rilevare come la centralità del logos, della razionalità discorsiva nella tradizione culturale occidentale, è in realtà marcata e originata dal fallocentrismo originario della civiltà che questa cultura esprime. La Irigaray mostra quindi, attraverso una analisi decostruttiva della storia della filosofia e della psicologia, come in questa la differenza di genere sia stata ignorata e neutralizzata, interpretando la femminilità e la specificità che essa rappresenta come un'immagine riflessa - appunto, specchiata - nell'unica figura di identità concepita, che è basata appunto sul mondo maschile.
Lo stesso Jacques Derrida tornerà poi sul concetto di fallogocentrismo in alcune opere significative dove egli riconduce il tema della differenza sessuale al rapporto della filosofia con la verità; per Derrida è proprio l'ignoranza dell'alterità in quanto tale, di cui è espressione anche la differenza di genere e che è intrinseca alla razionalità fin dal suo stesso fondamento, ad aver precluso ai filosofi l'accesso alla verità, come una sorta di effetto di castrazione, a causa del quale proprio la pretesa di ridurre la verità a oggetto presente, la tentazione di esaurirla in una qualsivoglia definizione, spinge inesorabilmente la verità stessa a una sorta di rimozione e di castrazione. I concetti fondamentali dell'elaborazione della "filosofia della differenza" si possono riassumere nel mettere in luce come inconsistente e falsa la pretesa di neutralità e quindi di universalità del linguaggio e dal punto di vista propositivo nel farsi promotrice di un nuovo linguaggio più espressivo e che non rimuove la realtà incontrovertibile della differenza più radicale che è la differenza a livello sessuale.
Dunque una figura che costruisce la sua identità (femminile) a partire da quella di un altro (maschile) sarebbe una identità riflessa, e quindi di secondaria rilevanza. O meglio chi si specchia nell'altro azzera la differenza stessa, non esiste se non come alterità. Questo ci riporta anche a Simone de Beauvoir.
Oggi si dovrebbe ripensare alla filosofia che per lo meno si sforza di spiegarci l'origine della differenza e con essa il conseguente nesso di superiore/inferiore. Anche i linguisti avrebbero qualcosa da dire; quando la parola differenza è diventata disuguaglianza e di lì ineguaglianza? Lo stesso concetto uomo/donna può applicarsi ad altre realtà ariano/ebreo, eterosessuale/omosessuale, bianco/nero, ricco/povero, sano/malato. Non per caso ho volutamente messo al primo posto il positivo e dopo il negativo. Il minoritario è ciò che disturba i nostri sonni. Insomma sappiamo benissimo che attorno a questi due poli ruota tutto il mondo, l'universo intero. Ma perché tanto affanno, violenza, soprusi verso la parte “altra” di noi, verso la “verità” come la chiama la filosofia? Se i due generi facessero specchio l'uno all'altro, forse potrebbe affogarsi la differenze nella verità? Ce lo auguriamo! Intanto mi sembra che gli uomini facciano piuttosto violenza a sé stessi. Una società non declinata anche al femminile, che dimentica, punisce o reprime l'altro genere, lo reputa di minor peso, di minor conto, instaurerà una diseguaglianza tale che la violenza troverà sede nella società stessa intrinseca, questa diventerà presto una società violenta anche nei confronti degli uomini. Eh già, come quella attuale! E allora sarà troppo tardi!
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