Non ricordo quando è stato il mio primo incontro con Mariella Gramaglia. Abbiamo cominciato a frequentarci di più, quando nel 1984 diventò direttrice di Noi Donne su iniziativa di Pia Bruzzichelli, una donna di grande coraggio che impresse una svolta all’impresa editoriale anche con la decisione di impegnare in prima fila una donna che veniva da un mondo femminista diverso da quello più tradizionalmente vicino a Noi Donne e l’Unione Donne Italiane. Mariella aveva già una sua lunga storia di femminista e giornalista, con sguardi e interessi che andavano sempre oltre, sorretti da un impianto culturale e un rigore, molto torinese, che negli studi psicoanalitici che lei ha sempre coltivato, trovavano profondità e apertura insieme rispetto a schemi di ogni sorta. L’arrivo di Mariella Gramaglia a Noi Donne porta rigore professionale ma anche nuovo spirito di lettura al femminile della realtà. Un giornale attento molto alla cultura, ai fenomeni portati dal femminismo diffuso e praticato più che da quello teorizzato (anche se lei era molto brava e ferrata quando prendeva in mano teoricamente fenomeni e idee). Riporto una frase scritta da lei su quel periodo “con la nuova serie di Noi Donne volevamo stabilire un’amicizia dell’età forte, ci piaceva immaginare uno scambio di informazioni, dibattiti e idee che fosse maturo e laico, più ironico e libertario, compiaciute dei passi in avanti compiuti da tante, ma attente a denunciare battute di arresto e discriminazioni. A testa alta, senza lamenti, autorevolmente, certe che le donne ormai i loro occhi sul mondo li hanno appuntati da tempo e di cose ne hanno da dire..”. Un modo e un approccio che ha caratterizzato molte altre cose a cui ha partecipato successivamente. Mariella continuò il suo impegno nel 1989 come presidente della Cooperativa Libera Stampa, incontrando successi e difficoltà, interne ed esterne al mondo di riferimento del giornale, vivendo in prima persona le contraddizioni di una storia di un giornale che si è sempre misurato con due dimensioni, quella politica, della appartenenza, della partecipazione di tante donne (anche come diffonditrici) e quella della soggettività e autonomia professionale, rivendicata come cifra di un percorso di cambiamento. Mariella prima, e successivamente io che nel maggio 1992 l’ho sostituita alla presidenza della Cooperativa, abbiamo vissuto intensamente sul fronte esterno battaglie e ansie per quello che è stata certamente una delle condizioni della continuità editoriale di Noi Donne, l’accesso al finanziamento pubblico per l’editoria. Condizione indispensabile ma sempre tribolata, in presenza dei cali di legami storici e militanti con la testata garantita dal mondo dell’Udi. La sua successiva presenza in Parlamento, fu certo un aiuto importante a trovare vie per superare drammatiche difficoltà intervenute proprio sul terreno delle norme per l’accesso ai finanziamenti. Con Mariella mi sono ritrovata poi, dopo molto anni, a fare cose insieme nella veste di presidente della Casa Internazionale delle donne. Lei era stata chiamata da Veltroni ad aprire una politica nuova sui tempi della città, abbinando giustamente le politiche di pari opportunità a questa battaglia generale e di genere insieme. Mariella impresse alla città di Roma su questo un impulso enorme e innovativo, purtroppo disperso quando lei andò via. Ma con lei programmando e facemmo bellissime cose nella Casa Internazionale delle donne, trovando in lei una sponda per iniziative di grande qualità artistica e culturale. Mariella scelse poi di lasciare ruoli politici e di dedicarsi seriamente, come era fatta lei, a esperienze di spiritualità, sempre con attenzione alla dimensione della presenza delle donne nel mondo. La ricordo di ritorno dall’India a raccontare di lei, delle donne incontrate. Solare, intensa nello sguardo chiaro, con i capelli corti lasciati alla naturalità dell’età. Poi tante prove fisiche e di perdite dolorose, la forza sempre di ricominciare. Ma stavolta non ce l’hai fatta cara Mariella. Addio.
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