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Due maternità a regola d'Arte

Due maternità a regola d'Arte

Racconto post-partum di una pittrice e della sua curatrice.

Mercoledi, 02/09/2015 - Sono stata parecchio indecisa se scrivere questo articolo, perché non posso farlo senza scrivere di me, senza espormi o svelare i miei sentimenti su temi molto delicati. Ma l’esigenza di raccontare questa storia è troppo forte, quindi prendo coraggio e comincio.



Ho quaranta anni, un marito che da quasi vent’anni trovo molto interessante, un figlio di tre anni decisamente simpatico, una madre che ha scritto più di qualche riga del femminismo sardo, un padre che a settanta anni lavora ancora quanto a trenta e un fratello, di cui non posso scrivere nulla, perché è avvocato e se non gradisce mi fa subito causa.

Ho vissuto gli ultimi otto anni a Londra, ma per ragioni di cuore e carriera lo scorso inverno mi sono ritrasferita in Italia. I primi mesi sono passati mentre mi adoperavo ad organizzare una vita che, a parte la casa in cui viviamo, non ha più nulla in comune con quella che svolgevo qui otto anni fa. Otto anni trascorsi a Londra modellano indelebilmente la tua mente e niente può essere più visto con lo sguardo del passato.



Mentre mi trovavo in questa fase di riorganizzazione, sono stata contattata, con la sua caratteristica insistenza, da una pittrice di cui avevo curato una mostra (faccio questo come lavoro) nel 2011 nella mia città natale, Cagliari. Lei chiedeva di essere rappresentata da me nel Regno Unito e in particolare presso le gallerie londinesi. Avevo fin dal principio una chiarissima idea della mole di lavoro che mi sarebbe toccata accettando l’incarico e sapevo che non sarebbe stato per niente semplice. Sinceramente, la prima risposta a cui avevo pensato non era stata un si.

Si trattava, però, di un’artista di cui riconoscevo e apprezzavo il talento pittorico e di una persona che stimavo per le doti caratteriali, soprattutto la capacità di mantenere uno sguardo spontaneo e personale sulla realtà, completamente libero da qualsiasi obbligo di compiacenza nei confronti del prossimo.



Così adottai questa strategia: al nostro primo contatto telefonico calcai moltissimo la mano sulle difficoltà a cui saremo andate incontro e all’investimento in termini di tempo e denaro (trasporto e assicurazione internazionale delle opere, per esempio) che la cosa avrebbe comportato.

Ma lavorare duramente al mio fianco per raggiungere il risultato non spaventava la pittrice e neanche il pensiero di dover trovare i soldi per coprire le spese.

La turbavano, però, altri pensieri…

“Dopo la nascita di mio figlio sono rimasta troppo tempo senza dipingere....” “Quando ci provo, mi sembra di non riuscirci più…” “Quello che prima facevo spontaneamente, con facilità, ora è difficile” “Ma come facevo ad accostare così bene i colori?!”

E, mentre, lei mi metteva al corrente delle sue paturnie io, mamma di un bimbo coetaneo al suo, sorridevo in silenzio. Come mi riconoscevo in quei pensieri! Quante volte mi ero sentita attraversare da quel sentimento di spaesamento che solo la maternità sa farti provare. Non ero più la persona di prima, nella mia mente, prima ancora che nella vita concreta, non c’era più lo spazio e il tempo di prima per il lavoro, per gli amici, per lo svago. Ogni esperienza era filtrata o dalla presenza materiale di mio figlio o dalla preoccupazione per la sua assenza. Come era possibile concentrarsi in quelle circostanze?! Come era possibile visitare Frieze London col tuo bimbo, la guida della fiera in una mano, foglio e matita per prendere appunti nell’altra e i gomiti usati per mandare avanti il passeggino?



I suoi pensieri mi erano molto più che familiari. Ma perché sorridevo? Lo facevo perché conoscevo lei e conoscevo me, che impavide davanti alle tele (lei) e ai fogli bianchi (io) ci eravamo comunque messe, insistendo e pestandoci fino a quando il risultato non ci fosse andato bene, interrotte e ispirate dai nostri bambini.



Accettai l’incarico e feci la cosa migliore.



Alla telefonata seguii un incontro in cui le chiesi di visionare tutte le opere a sua disposizione, in particolare quelle realizzate dopo il 2011, che non conoscevo. Il suo stile dopo la nascita di E. era cambiato considerevolmente. Nelle sue opere era maturata una sorta di emancipazione dal formalismo, che aveva giovato a segno e colore. Le opere erano più rifinite e permeate di una sottile eleganza che prima non c’era. Non erano più frutto di impeto ma di pazienza e insistenza. Non avevo dubbi sul fatto che le opere più recenti fossero migliori.



Iniziai con dedizione a curare la sua documentazione (CV, artist’s profile, statement, etc…) e con la collaborazione di un bravo fotografo realizzammo una gradevole vetrina virtuale dei suoi lavori. Poi iniziai le operazioni di promozione, scegliendo come canale principale quello dei concorsi indetti dalle gallerie. I risultati non tardarono ad arrivare. Con nostra grande soddisfazione, tra maggio e giugno 2015, due opere della pittrice, entrambe “post-partum”, sono state scelte dalla Saatchi Gallery London per far parte del loro Screen Project, dove sono tuttora esposte. Un riconoscimento ufficiale, da un’importante istituzione nel mondo dell’arte inglese e internazionale.

Altri riconoscimenti stanno arrivando all’artista dai collezionisti e dalle fondazioni che stanno inserendo nelle proprie raccolte i suoi lavori.



Mentre io, sua agente e curatrice, sono felicissima di apprendere di una sua seconda gravidanza e non vedo l’ora di apprezzarne l’influenza sull’opera pittorica. Tra l’altro, se la nascita di un bambino ha portato così tanto spessore alla sua pittura, vi immaginate che cosa di meraviglioso potrà portare una bambina? Dai, dai, “speriamo che sia femmina!”

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