A distanza di quasi dieci anni dalla tragedia conseguente all’incendio del materassificio Bimaltex di Montesano sulla Marcellana (Sa), è uscito nelle sale cinematografiche DUE EURO L'ORA di Andrea D’Ambrosio. Il film prende spunto da quella drammatica vicenda per accendere i riflettori sul lavoro nero, una piaga sociale connotante in maniera specifica molti territori del Sud d’Italia. Allora, il 5 luglio 2006, morirono nel rogo della fabbrica due donne, Annamaria Mercadante di 49 anni e Giovanna Curcio di 15 anni, operaie di un laboratorio sconosciuto alla legge, seppure fosse situato in un fabbricato adibito a civili abitazioni. Per il lavoro effettuato in quello scantinato le lavoratrici percepivano una misera paga, private finanche delle ordinarie norme poste a tutela della propria vita. Per la loro morte il titolare della fabbrica due anni fa è stato condannato in via definitiva ad otto anni di reclusione, con pena motivata «dalla grave noncuranza - scrivono i giudici - manifestata dall'imputato per la vita delle proprie dipendenti».
Il processo svoltosi nel corso di questi anni ha lasciato le famiglie delle due operaie sole nell’affrontare i vari gradi di giudizio, perché mancanti di quel sostegno ideale che solo una comunità partecipe del loro dramma personale avrebbe potuto offrire. Non è stato possibile neppure realizzare il film nel territorio interessato dalla tragedia così come avrebbe voluto il regista, che determinato nel narrare la vicenda ha finito per effettuarne le riprese a Montemarano (Av). “Il mio obiettivo –disse due anni fa D’Ambrosio- era quello di girare anche nei luoghi di Giovanna e Annamaria, per tenere comunque un legame con la realtà. Sono stato nel Vallo di Diano e in Cilento: ho incontrato il sindaco di Montesano sulla Marcellana e di altri centri della zona, ma ho ricevuto solo promesse”. Un’occasione persa per il Vallo di Diano, come ha rimarcato il regista in una recente intervista, che invece avrebbe in tal modo ben onorato la memoria di quelle due vittime della sua economia sommersa.
Sembrerebbe così che l’oblio più pesante sia calato sull’incendio del materassificio e su Annamaria e Giovanna, che certo non meritano di essere dimenticate. Non fosse altro che perché la loro morte è un fatto che deve costituire un pezzo importante della storia di questo territorio, connotato dall’affannosa ricerca di un lavoro stabile, certo e sicuro, soprattutto da parte delle donne. Assume quindi un rilievo particolare che un film diventi un importante strumento per riprendere il filo della storia dimenticata di queste donne, per rivisitarla narrandone i loro progetti, le loro speranze, i loro sogni. E così, anche se solo per il tramite di un racconto cinematografico, liberamente ispirato alle due operaie, Annamaria e Giovanna rivivranno in chi le ha conosciute e diventeranno storia comune di chi le conoscerà solo oggi grazie a DUE EURO L'ORA.
Quando Andrea D’Ambrosio, in occasione della presentazione pubblica del film a Sala Consilina, comune capofila del Vallo di Diano, ha avuto modo di spiegare le ragioni della sua opera, si è commosso nel sostenere lo sguardo dei familiari di Giovanna Curcio. L’emozione per il regista è stata così intensa che è riuscito a dire poco di quel tanto che avrebbe voluto spiegare, ma il suo “perché queste tragedie non accadano più” è risuonato forte e chiaro nella sala cinematografica. Quell’accorato invito non era rivolto solo ai presenti ma anche ai tanti convitati di pietra assenti, affinchè in virtù del loro ruolo si impegnino a tentare di arginare la piaga del lavoro nero. Nell’immediatezza della morte di Annamaria e Giovanna si tennero vari eventi, persino al di fuori del comprensorio territoriale interessato, a cui parteciparono rappresentanti istituzionali e dirigenti pubblici. In quelle occasioni si sentì dire da alcuni di loro che dovessero essere i cittadini a denunciare l’esistenza di quella fabbrica abusiva, allocata in un edificio privato al cui primo piano era presente una scuola primaria.
Come se fosse normale scaricare sui privati l’obbligo di un esposto alle autorità competenti per quella fabbrica abusiva; come se fosse un destino ineludibile morire in quel modo, visto che un ispettore del lavoro si lamentò di “intervenire purtroppo a tragedie già avvenute”. Soprattutto, come se fosse possibile che la denuncia potesse partire dalle stesse operaie, soggetti deboli di un rapporto di lavoro che era connotato da “o così o niente”. DUE EURO L'ORA ha bene tradotto in immagini questa realtà, allorquando le sue due protagoniste Gladys e Rosa, pur diverse nelle proprie storie di vita da Annamaria e Giovanna, dopo un primo tentativo di ribellione all’imprenditore, ritornano all’umiliazione di un lavoro senza dignità. Le storie di queste quattro donne hanno un filo comune, la fame di occupazione in un contesto che le vede marginalizzate ancora di più per la carenza di una idonea rete di protezione sociale e civile.
L’universalità del film di Andrea D’Ambrosio è proprio nel raccontare di una realtà ancora presente e delle sue protagoniste, alle prese con un pressante bisogno di essere tutelate. Da un padrone che le schiavizza, da una società d’appartenenza che le lascia sole a sé stesse e dalle istituzioni che le abbandonano proprio quando necessitano di un rilevante sostegno. Per rivendicare i loro diritti, per guadagnare un salario giusto, per vivere dignitosamente e per non morire di lavoro nero. Annamaria e Giovanna nella realtà non sono state risarcite da una comunità connotata da una vicinanza condivisa al loro tragico destino, ma nella finzione cinematografica quell’indennizzo l’hanno ricevuto. Ben magra consolazione potrebbe dirsi, se non fosse che è auspicabile che soprattutto le giovani generazioni alla visione di questo film avvertano un moto di consapevolezza nuova. Quella che dovrebbe spingerle un domani ad opporsi idealmente al lavoro nero, certo ognuno per le proprie responsabilità e competenze, ma tutti insieme a concorrere in questa direzione, che è solo e semplicemente di civiltà.
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