Scelte di vita - Milena Jesenskà e Marianne Golz-Goldlust, accomunate dallo stesso destino di condannate a morte, dall’avere ricevuto, post mortem, la medaglia di “giusta fra le nazioni” e dall’abitudine di agire per amore e di resistere alla mor
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2009
Le protagoniste dell’ultimo lavoro teatrale della regista e attrice Maria Inversi, dal titolo “il grande giorno e il coraggio delle donne”, sono Milena Jesenskà (1896 – 1944) e Marianne Golz Goldlust (1895 – 1943), entrambe morte per mano nazista e passate alla storia come donne “giuste”.
La prima di loro, giornalista e scrittrice, è nota come la donna amata da Kafka e su di lei sono state scritte molte biografie. La seconda è invece meno conosciuta: ex cantante trasformatasi per amore in militante antinazista, Marianne, dopo aver salvato il marito e molte altre persone dai campi di concentramento, viene arrestata con l’accusa di aver “tratto vantaggi materiali aiutando gli ebrei”. Ma nella sentenza della condanna a morte il motivo del vantaggio materiale salta, non avendolo potuto dimostrare. Vi si legge invece: “L’imputata Goldz-Goldlust che, tra tutte le donne qui accusate, è senza dubbio alcuno la più intelligente, era consapevole del ruolo che rivestiva nei crimini a lei imputati, inoltre, è spiritualmente totalmente ebraicizzata”.
Dal punto di vista dei nazisti la consapevolezza e la spiritualizzazione erano colpe. Erano invece virtù, dal punto di vista di chi, nel 1988, ha piantato, in sua memoria, l’olivo n. 806 al Yad Vashem Memorial di Gerusalemme.
A me colpisce l’affinità tra lei e noi oggi. Tra la gratuità non compresa del suo dono d’amore e le tante persone sconosciute che oggi aiutano i molti disperati esuli da guerre, dittature, fame ingiustizie sparse nel nostro contemporaneo mondo. Gesti d’aiuto celati, confusi nello stesso calderone dei "Caronte di turno, traghettatori senza scrupoli”, accusati, come Marianne, di trarre vantaggi dalla disperazione altrui. Ma i Caronte sono anche traghettatori della speranza. E non c’è solo opportunismo in chi aiuta i disperati.
Poco può cambiare se non cambiano le abitudini di pensiero. Le cause di eventi terribili, o anche di “buone notizie” (come la storia di Marianne e Milena in fondo è), non sono nelle persone, ma nelle abitudini di pensiero. Poco può cambiare se si ritiene impossibile fare qualcosa di faticoso, impegnativo, o addirittura rischioso, non per trarne profitto, ma per amore. Non amore individualista, ma uno spontaneo sentimento di connessione con la sofferenza di tutti.
In una lettera Marianne scrive: “Ho già vissuto buona parte della vita e anche tutto ciò fa parte dell’esistenza; ho visto molte lacrime, faccende che non mi riguardavano personalmente. La sofferenza degli altri diventa subito la mia sofferenza...”. Nello stesso periodo Milena Jesenskà, anche lei attivamente impegnata contro il nazismo, scrive all’amico giornalista Willi Schlamm (1904 – 1978), fuggito in America perché perseguitato: “E quell’aereo caduto Willi? Poteva facilmente cadere anche tre settimane prima. E c’era gente come te. Uguale. Emigranti che partivano per l’America. Grande tristezza.”
Nei loro scritti Milena e Marianne nominano spesso la sofferenza: propria e altrui. Ma invece di riconoscersi nel ruolo di vittime o di scagliarsi contro un colpevole di turno, si interrogano su quale possa essere l’atteggiamento esistenziale migliore da tenere di fronte al dolore del mondo. Come Amleto, colgono il dilemma tra essere e non essere. Cos’è meglio? Opporsi o sopportare “le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell’oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell’amore non corrisposto, gli indugi della legge, l’insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni” (come è attuale Shakespeare!)? Sopportare, morendo interiormente, o scagliarsi contro “la fortuna” procurando la morte propria o altrui? Vivere, morendo a poco a poco, o uccidere, compiendo un unico gesto vitale, ma di morte?
Milena e Marianne sembrano trovare una terza via al dilemma shakespiriano: tra essere nella morte o non essere nella vita loro scelgono di essere vive nella non vita. In un contesto che parla solo di morte, entrambe si sforzano di salvare vite, rischiando personalmente. In attesa della propria esecuzione di morte, Marianne scrive appassionate lettere d’amore. In un contesto culturale arido e monolitico, Milena persiste a scrivere controcorrente.
Nonostante Milena Jesenskà asserisse di scrivere “articoli di tono medio, così come se ne leggono tanti nei giornali” e di desiderare soltanto “scrivere un libro, un unico libro, e sicuramente non sarebbe un cattivo libro”, i suoi scritti giornalistici ne rivelano una letterata profonda, attenta, appassionata (lei stessa li definisce lettere d’amore) e di ampia intelligenza creativa. In un elogio funebre a Kafka affermava: “La sua coscienza di uomo e artista era a tal punto affinata da consentirgli di penetrare anche là dove gli altri, sordi, ritenevano di essere al sicuro”.
Milena è stata anche una raffinata critica cinematografica. Negli anni Venti scriveva: “Il cinema è tutt’altro che mero passatempo: è qualcosa a cui noi vili ci abbandoniamo così volentieri per meglio reggere la vita, per sopportarne più facilmente le spiacevolezze, essendo noi impotenti di fronte a un modo deformato di vivere”. In una recensione a “La donna di Parigi” di Chaplin, scritta in tempi in cui il cinema, ancora agli inizi, non era considerato vera arte, emerge bene da quale tipo di abitudini di pensiero avrà origine la sua successiva scelta di resistenza esistenziale durante il nazismo: “I personaggi di questo film sono esseri umani autentici. Non sono né buoni né cattivi. Sono però così coerentemente completi da avere in sé mille contraddizioni. Soltanto i personaggi cartacei hanno un carattere lineare. Gli uomini reali si contraddicono cento volte al giorno, bilanciano la loro nobiltà d’animo con azioni cattive e la loro bellezza interiore compensa le loro bassezze”.
La scelta di coscienza e di vita, pur in presenza di follia, morte e molto dolore, che fanno Milena e Marianne, accogliendo i paradossi esistenziali, è radicata in questa persuasione di una umanità autentica e contraddittoria, né buona né cattiva, la cui bellezza interiore e nobiltà d’animo compensa bassezze e cattiverie: una umanità destinata ancora a durare e per il quale vale la pena continuare a resistere. Ad essere vita, vivendo e descrivendo emozioni forti come amore, speranza, paura, desiderio: pur in una condizione di non vita.
Tale è quella descritta nelle lettere di Marianne dalla prigione di Pancraz in attesa del “grande giorno”: “Ogni due settimane abbiamo diritto a una mez’ora di ‘libertà’, una passeggiata nel cortile della prigione. Ci precipitiamo disordinatamente in cortile gesticolando, tutte eccitate, febbrili, e ci scambiamo informazioni colme di pessimismo, ma anche di speranza.... abbiamo davanti a noi otto giorni di requie, prima della mannaia. Possiamo vivere ancora otto giorni, vedere ancora il sole, mangiare, piangere, ridere, cantare, scrivere dell’amore, della speranza.”
La resistenza esistenziale di persone dissidenti e creative come Milena e Marianne somiglia a quella delle tante donne (e uomini) che oggi si ribellano con creatività a certo fondamentalismo misogino (islamista o meno che sia) che le relega prigioniere di una cultura oppressiva e talvolta le condanna a morire, a subire violenza o a deformare i propri corpi. Le donne come Marianne e Milena invece di sopportare, morendo poco a poco, talvolta ammalandosi di gravi forme depressive, si ribellano, scegliendo di resistere esistenzialmente a tutto ciò che intorno e dentro di loro parla di morte.
Il loro coraggio di vivere è destinato ad intaccare ad un livello più profondo, anche se più lento, la cultura che sta all’origine della complessa rete d’ingiustizie presente oggi nel mondo, che si nutre della sofferenza di tutti noi, del nostro cinismo, della sfiducia e sospettosità nei gesti d’amore.
Fonti per questo articolo: Maria Inversi, “Il grande giorno e il coraggio delle donne”, spettacolo tenutosi a Teramo il 23/11/2008; Marianne Golz-Goldlust “Il grande giorno”, Città Aperta 2002; “Milena di Praga. Lettere di Milena Jesenskà 1912 - 1940”, Citta Aperta 1998; Alena Wagnerovà, “Milena Jesenskà”, Archinto 2004; il documentario “La vera storia di Marianne Golz” regia di Monica Repetto.
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