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DRAMMATURGHE FRA ‘FEMMINILE’ E ‘FEMMINISTA’

DRAMMATURGHE FRA ‘FEMMINILE’ E ‘FEMMINISTA’

Teatro - Lo spazio pubblico e il raccontarsi al di fuori di ogni ideale maschile. Una conversazione con l’autrice e regista teatrale Maria Inversi

Colla Elisabetta Venerdi, 11/05/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2012

Ancora oggi, dopo secoli di attesa, le autrici di testi teatrali sono in coda agli uomini - quantitativamente parlando, s’intende - e faticano a mettere in scena le loro opere. Ma sono numerose e appassionate, ed usano linguaggi diversi. Parlano di famiglia, sesso, vita, morte e riscrivono i miti attraverso cui, a volte, raccontano l'attualità. Il loro è un sentire che pretende di essere ascoltato come soggetto pensante autonomo. Ma forse la riflessione sul femminile (differenza di genere, ‘sé’ soggettivo e sociale) e il pensare politico sul senso dell’essere donne consapevoli e capaci di guardare alla cultura patriarcale con consapevolezza, libertà e necessità di cambiamento, potrebbe oggi essere implementata e rimessa al centro delle esperienze narrative di tutte le autrici. Quel "Sé", a volte, anche oggi, offre ancoraggio alla cultura maschile con cui è difficile, comunque, fare i conti. ‘noidonne’ ha incontrato su questo tema l’autrice e regista teatrale Maria Inversi, vincitrice di numerosi riconoscimenti e sempre impegnata sui temi forti al femminile.



Cosa pensa della scrittura teatrale femminile, passata e presente?



La scrittura teatrale delle donne ha una storia relativamente giovane, nasce, per quel che ne sappiamo, nel novecento nei conventi e prosegue, in questi luoghi lontani dagli echi del mondo, nel medioevo e fino a tutto il settecento su temi mariani e cristologici. Fuori dai conventi, conosciamo pochi casi di scrittrici di teatro, testi costruiti in rima (come d'uso) da attrici che dalla fine del cinquecento in poi cominciano (dileggiate) a "calcare le scene" (premere, pestare). Dunque, a imporre un'esistenza e un corpo che, destinato alla procreazione, diviene corpo erotico e desiderabile per tutti. Lentamente, entrano in crisi certezze culturali antiche come il "genere" femminile pudico, timoroso ecc. Parlare in pubblico, darsi l'autorizzazione a dire, è atto fortemente politico. Per tale ragione, ritengo, il diritto di voto in Italia sancisce una forma di diritto al pensiero, all'istruzione, alla cultura anche per le donne meno abbienti e, la scrittura teatrale, costruisce spazi di desideri mentali tra le donne che frequentano i teatri, osservano. È il diritto di dire "no", "non tu", "non così", ma a modo mio. Sì, anche amante, ma per scelta. È una storia lunga e complessa quella della scrittura teatrale se si pensa che persino Gaspara Stampa (amata da Rilke e molte autrici) che nei salotti, suonando il liuto ri-citava i suoi canti, fu definita da Croce, per la sua libertà di amare: cortigiana. Ma non lo era. Nel periodo fascista, per esempio, ci fu un fiorire di autrici teatrali istruite e di regime. Appunto, una storia anche politica. Ma venendo ai giorni nostri le drammaturghe famose, non sono italiane, ma inglesi, tedesche, austriache e francesi perché pubblicano con case editrici che sanno di scommettere, ma non di rischiare. La scrittrice francese Leslie Kaplan, nel suo testo teatrale: “Toute ma vie j'ai été une femme”, affronta, con estrema leggerezza, la questione dell'essere femminile-femminista e s’interroga sulla cultura e sul significato dell’essere donna per un’intera vita e, per estensione, esserlo nella storia delle nostre madri e nonne. Il dialogo tra due donne mostra via via le diverse consapevolezze dell'essere con e nella propria pelle: il linguaggio gioca il femminile consapevole che si narra attraverso due corpi e due voci. Insomma, cosa nasconde e disvela l'appartenenza di genere? E cosa vuol dire essere regina per un giorno (ci dice Donna 2)? Quella che è stata più applaudita ha guadagnato...guadagnato delle cose...delle cose.../una casa..una cucina..un viaggio. (Donna uno) Toute ma vie j'ai été une femme/une femme/toute ma vie/est-ce que cette phrase me semble bizarre?/non/parfois/parfoi/elle me semble bizarre/toute ma vie/j'ai ètè/une femme...toute ma vie j'ai étè une femme/cette phrase est immense...cette phrase recèle/je dis bien:rècele/tellement d'autre phrases.



Cosa significa oggi parlare di teatro al femminile, nelle autrici emergenti c’è una visione politica della vita?



Parlare oggi di drammaturgia delle donne significa libertà di raccontarsi al di fuori di ogni ideale maschile. Diceva, credo, Baudelaire che l'ideale non è reale. È una gabbia. Ofelia è in una gabbia, è dentro un punto di vista che la vuole bella, vergine e innocente e suicida. Davvero? Non regge. Se si parla di sé si esprime inevitabilmente un femminile, ma non ancora un femminile politico se manca la riflessione politica autonoma: al di fuori di… Se non si dice: io non solo sto da un'altra parte, ma ci voglio stare. Voglio (dico voglio) dire ciò che non si è ancora detto del mio genere e della mia cultura, se non si fa un salto "mortale" la drammaturgia italiana non potrà tenere il passo di quella straniera, non sarà confrontabile. Non basta sorriderci, non basta dirsi "guarda bene, io so che sono fatta così". Questo sentire cerca, giustamente, di affermarsi, fa un passo. Il femminista, invece, è politico e no, non c'è in Italia una risposta "forte". È faticoso, in un certo senso ti isola (esperienza), ma deve diventare necessario. Per tutte. Le giovani, per esempio, non se ne occupano. Il loro sguardo è molto influenzato dal sistema mediatico, dalla tecnologia: femminile? Sono una donna e esprimo il femminile; femminismo? che c'entra? Il loro atto è appropriazione di spazio pubblico che non sanno "giocare" che in superficie. Il femminile pare, a volte, immagine auto-riflettente. Non emergono che raramente temi poetico-politici. Non sanno cosa vuol dire cultura delle donne, appartenenza e perché sia necessario rifletterci. Perché l'emancipazione è una margherita di quella serra che si chiama libertà. È il piccolo fiore dell'essere consapevolmente liberate.



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Fra le tante autrici …

…che hanno gentilmente inviato a ‘noidonne’ i loro testi, con la supervisione artistica di Maria Inversi, citiamo il testo bello, intelligente e bilingue di Francesca Satta Flores: La donna che ha partorito nel cielo, ritornerà, un testo teatrale poetico e politico. Una riscrittura pensata e pensante di alcuni miti femminile che si ritrovano a rinascere tra guerra e ragioni di esistenze, primo tra tutti: Elena di Troia.

“Qualcuno mi dice/quando essere felice?/...quando mi posso sedere?/...se posso piangere e quando?/Posso distrarmi?/Avere paura?/Dolore?/...Posso andare a preparare il tè?/Posso piangere quando il bambino muore?/Posso/scusarmi/sparire/ascoltare/chiedere/pensare?”.

Citiamo anche il testo di Maria Sandias Dove vado?, un testo ben costruito sul conflitto madre-figlia, analizzato attraverso un iper-patriarcato, la mafia: "Madre mia, non mi devi proteggere./Mi devi liberare."

Ed ancora Simona Verrusio che, in Follitudine, testo teatrabile ci dice:“Come stai? Come una lucciola inseguita, e per vederla, uccisa/Come una cornacchia blu che implora attenzione.../come un iguana esposto, senza sole/...come una seppia/su un letto di ghiaccio spezzato/...come un topo di serra, indeciso...”.

Citiamo inoltre - per il loro linguaggio o per la qualità della lingua - anche: Chiara Boscaro, Sandra Tassi, Ester Tatangelo e Cinzia Villari. Ricordiamo anche il catalogo di editi ed inediti del Centro di drammaturgia delle donne di Firenze.













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