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Dove va la rivoluzione

Dove va la rivoluzione

Tunisia - La transizione potrebbe portare all’Occidente o a qualcos’altro: un ibrido, sponsorizzato da Qatar con correttivi occidentali. Intervista a Maya Jeribi segretario del Pdp

Emanuela Irace Martedi, 18/10/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2011

La democrazia si nutre di simboli e visioni. Veste abiti occidentali e parla il linguaggio della politica. Maya Jeribi entra nel suo ufficio di Avenue Bourghiba con i giornali sotto il braccio. Capelli lunghi sciolti sulle spalle e tailleur grigio strizzato in vita. Cinquantanni, biologa, da trenta in politica, vanta un’ascesa senza scorciatoie. Dal sindacato degli studenti tunisini al Rassemblement socialiste progressiste. Non ha mai saltato un gradino fino a prendere il posto nel 2006 di Ahmed Chebbi, diventando la prima donna tunisina ai vertici del potere: segretario del Pdp, Partito democratico progressista, seconda forza politica del paese. Trent’anni in più e Maya non avrebbe vissuto gli avvenimenti che hanno sconvolto il mondo dando inizio alla prima rivoluzione post-islamica della storia. Uno tsunami politico istituzionale diventato corollario di un processo di de-colonizzazione mai compiuto. La realtà è che un pezzo di mondo arabo musulmano sta passando dall’Africa all’Occidente. Le elezioni per la Costituente del 23 ottobre rappresentano il primo step di un processo di transizione che potrebbe evolvere come gradito a Washinghton e Ue o diventare qualcos’altro: un ibrido, sponsorizzato da Qatar con correttivi occidentali. Intanto una gran fetta di paesi ex colonizzati ha iniziato a parlare la lingua dei neo-colonizzatori e sembra che tutti abbiano una gran fretta di entrare in quella sfera di influenza-dependance Usa, chiamata Ue. La sponda sud del Mediterraneo gioisce e patisce gli effetti predatori della globalizzazione post-bipolare. Basata sull’ennesima spoliazione dell’Africa, questa volta energetica, grazie a titoli finanziari coperti da gas e da petrolio. Un sillabario economico nascosto nel vocabolario del politically correct. Dei diritti umani e dell’ingerenza della Nato. Una fregatura per chi crede di affacciarsi sul mercato della democrazia. Intanto, modernizzazione, laicità, liberismo, rappresentanza, femminismo, ma anche islamismo, riformismo, redistribuzione della rendita agraria sono gli autout che si spartiscono un centinaio di partiti nati con la fine della dittatura di Ben Ali. Un vero e proprio caledeoscopio di vivacità. Per Maya Jeribi l’occasione di una vita: “La nostra è stata la rivoluzione di tutti. Un vero e proprio blocco sociale interclassista. Donne e uomini di tutte le età e di tutti i ceti sociali sono scesi per strada e hanno combattuto contro la dittatura, per rivendicare il diritto alla cittadinanza, scandendo slogan a favore della democrazia, del buon governo dell’uguaglianza, senza estremismi. Abbiamo iniziato un processo che deve continuare ed è importante che anche voi in Europa ci crediate.”

Che ruolo hanno avuto le donne?

La rivoluzione tunisina come quella egiziana e libica è stata una rivoluzione mista. Le donne hanno partecipato fin dall’inizio ma non hanno imbracciato i fucili. La degenerazione armata ha escluso le donne. Noi vogliamo essere rappresentate in politica e lottiamo per la parità. Ma ci rendiamo anche conto che il problema femminile è un problema mondiale, sta a noi in questo grande cambiamento rivoluzionario sfruttare al massimo le possibilità. Vorrei costruire una rete mondiale di donne e dire: “Yes, we can”.

L’esempio prima di tutto…

Si, io sono una militante e mi sento di dire alle altre donne che se oggi sono segretaria di partito possono diventarlo anche loro. Vogliamo un ruolo attivo, aggressivo e non vittimistico. Dobbiamo lavorare per far passare alla Costituente il principio della parità e far mettere le donne in cima alle liste per farle eleggere. Io sono femminista e mi batto per inserire nella Costituzione il codice di famiglia e lo statuto della donna, garanzie giuridiche che non si toccano.

Sembra lo specchio dell’Italia… e sulle quote?

Il dibattito sulle quote è ancora da fare. Io sono per discuterne. Adesso dobbiamo essere tutti legittimati dalle elezioni, le prime dopo cinquant’anni di dittature, vogliamo che le Moschee restino fuori dalla campagna elettorale. Vogliamo che lo Stato abbia la gestione della questione religiosa senza prenderne parte, per questo parliamo di Neutralità più che di laicità, concetto più adatto al contesto specifico tunisino.

Che posizione ha il suo partito in politica estera, rispetto a Libia e Medio Oriente?

Sulla Libia ho fatto una dichiarazione: sono contro l’intervento della Nato. Il popolo tunisino sta aiutando i fratelli libici dando ospitalità ai rifugiati. Intere famiglie hanno trovato accoglienza e il problema degli immigrati non si è mai posto qui da noi. Ben Ali ha sempre attuato una politica di normalizzazione non dichiarata con Israele. Noi siamo a favore del popolo palestinese. Se entreremo a far parte del nuovo Governo faremo pressioni sui paesi occidentali a sostegno del popolo palestinese.

Cosa si aspetta da queste elezioni e, oltre all’augurio di vincere, come pensa cambierà il suo paese?

Grazie per l’augurio, stiamo lavorando per cambiare l’ossatura del paese. E’ soprattutto sui valori che dobbiamo concentrarci. Egoismo, denaro facile, corruzione rappresentavano gli strumenti del potere di Ben Ali. In tutti i settori i della società i valori dominanti erano questi. Parlo della scuola, della pubblica amministrazione, esercito, polizia, sanità, ovunque l’aria che si respirava era avvelenata. Oggi sappiamo che si può cambiare e che il processo democratico è possibile.









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