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Dove le aquile volano basse

Dove le aquile volano basse

Albania - Pochi i diritti delle donne, che hanno un ruolo di pacificatrici nell'area balcanica e in una società multi-culturale e multi-etnica

Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2007

L’Albania, “paese delle aquile”, conta una storia singolare. Le rotture politiche con i paesi “fratelli” (nell’ordine: Jugoslavia, Unione sovietica e Cina) nel corso del XX secolo furono continue, e dal 1978 questo paese entrò in una fase di totale isolamento con il resto del mondo, sino alla sconfitta del partito del lavoro d’Albania che sancì la fine del comunismo albanese. Questo piccolo Stato dei Balcani rientra, come tanti, nel turbinio della destabilizzazione del campo comunista: il vento che aveva fatto cadere barriere reali (muro di Berlino) e barriere ben più significative era soffiato anche qui nella terra più povera d’Europa.
La vittoria del partito democratico d’Albania (marzo 1992) apre la strada all’integrazione dell’Albania con il sistema capitalistico mondiale, determinando in questo paese, più o meno come in altri in transizione, forti impatti sulle dinamiche di genere ma con alcune peculiarità che hanno teso ad esacerbare queste stesse dinamiche. La guerra nei Balcani e i conflitti che questa ha acceso in tutta l’Europa sud-orientale tra le minoranze etniche, nazionali e linguistiche hanno fatto sì che la posizione delle donne nella società albanese fosse ancora più precaria. Oggi le albanesi scontano forme di discriminazione, pregiudizio e violenza in virtù di un meccanismo complesso ed intrecciato che tende ad emarginarle in quanto donne e in quanto minoranze.
Attualmente le minoranze riconosciute in Albania sono quelle greche, macedoni e montenegrine, le rom e le vlach-arumene. Queste minoranze godono della protezione accordata dalla ratifica da parte dell’Albania di due importanti convenzioni: la FCNM (Convention for the Protection of National Minorities) e la CEDAW (Convention on the Elimination of Discrimination Against Women). Nonostante ciò, le donne che appartengono alle minoranze subiscono una doppia discriminazione in relazione all’altro sesso: quella vissuta fuori e quella vissuta dentro le proprie comunità. Nel “Piano nazionale di strategia per le minoranze rom”, adottato dal governo sotto la pressione delle comunità presenti sul territorio e degli organismi internazionali, la questione dell’inclusione a pieno titolo delle donne rom nella società albanese è particolarmente enfatizzata, poiché nonostante i positivi processi in atto nel paese, compreso quello di Stabilizzazione e Associazione con l’UE, questi non pongono sufficiente attenzione ai diritti delle minoranze e alla parità di genere. Recentemente anche le comunità egiziane hanno chiesto di essere riconosciute dallo Stato albanese, per modificare comportamenti e politiche verso queste comunità e verso le donne egiziane che altrimenti rimarrebbero inalterati. Le donne rom e le egiziane sono le più discriminate sul mercato del lavoro e nel campo dell’istruzione (circa l’80% di loro non ha un’occupazione anche di tipo informale, e il 65% è analfabeta). In ogni piccola comunità rom solo 36 bambini su 150 frequentano la scuola primaria, poiché le madri sono totalmente prive di assistenza e servizi. I bambini egiziani non frequentano la scuola per via del diffuso pregiudizio e razzismo nei confronti delle loro comunità. Molte donne rom ed egiziane non sono registrate all’anagrafe, e perciò non possono accedere al mercato regolare del lavoro e non possono votare. Circa il 25% della popolazione albanese vive in assoluta povertà che, insieme con le scarse opportunità educative, costituisce la molla dell’alto traffico sessuale (che combina schiavitù, abusi e violenze sessuali) di giovani donne tra i 15-25 anni. Più della metà di queste giovani fanno parte delle varie minoranze sparse nel paese ed entrano nel giro della prostituzione molto presto, all’età di 10 anni. Il programma nazionale di riduzione della povertà ha tra i suoi scopi quello di aumentare le opportunità d’istruzione, formazione e occupazione delle donne albanesi proprio come leva per combattere il traffico e la prostituzione femminile. L’Organizzazione Internazionale sull’Emigrazione (IOM) ha riconosciuto l’impatto destabilizzante del traffico di donne e minori delle comunità rom e vlach-arumene sul paese e su tutta l’area balcanica, e ha costruito un network di supporto che prevede accoglienza (in case protette), assistenza legale e sanitaria (le minoranze sono escluse dal servizio sanitario nazionale e, considerato che le famiglie sono molto povere: guadagnano meno della metà del salario medio nazionale, e numerose: 6,4 membri su una media nazionale di 4,2 - ciò peggiora pesantemente la loro condizione). L’Albania è una società multi-culturale e multi-etnica. Il Patto di Stabilità per l’Europa sud-orientale oltre a contribuire a favorire la pace, la stabilità e la prosperità nei paesi compresi in quest’area e la cooperazione tra di loro, ha tra i suoi obiettivi anche il necessario progresso in materia di libertà democratiche e di rispetto dei diritti delle minoranze e delle donne. Ma la ricostruzione materiale e morale del Kosovo ne costituisce un presupposto fondamentale. L’Albania è stata coinvolta nella guerra dei Balcani, che ha sconvolto gli assetti geo-politici della regione, a causa del confinante Kosovo, provincia autonoma della Serbia a maggioranza etnica albanese (88%), attualmente sotto il protettorato delle Nazioni Unite. Nel corso dei massicci bombardamenti NATO contro l’esercito e le forze di polizia di Milosevic nell’enclave albanese, vi fu un imponente esodo di civili che, a migliaia, si riversarono alle frontiere cercando scampo in Albania e in Macedonia. Si trattava per lo più di donne e bambini, poiché gli uomini erano rimasti a combattere nelle file dell’Esercito di liberazione degli albanesi del Kosovo.
La salvaguardia e la promozione dei diritti delle donne in Albania non può prescindere da questo retroterra scardinato nelle sue fondamenta dalla transizione al mercato e dai venti di guerra nella ex-Jugoslavia. Non è un caso che l’OSCE ha riposto fiducia e speranza nelle donne del luogo, alcune impegnate in iniziative volte a sostenere la pace e la sicurezza attraverso il dialogo interetnico e il processo di reintegrazione delle minoranze, dei profughi e dei rifugiati. “Le donne, afferma Vjollca Krasniqi del Centro per le ricerche e le politiche di genere del Kosovo, sono più degli uomini portatrici di valori quali il rispetto della vita. Ecco perché il loro ruolo di pacificazione nell’area balcanica è decisivo. In un contesto disseminato da tensioni e conflitti inter-etnici e nazionali, la questione della tutela dei diritti delle donne e dei minori diventa ancora più urgente”. Da tempo le Donne in nero serbe e la Rete delle donne kosovare hanno dato avvio a campagne congiunte per discutere della situazione politica in Serbia, della sicurezza, della pace nella regione e del contributo delle donne in questo processo.
Arretratezza e povertà sono le caratteristiche dell’Albania, le cui spinte verso un liberismo incontrollato hanno portato il paese alla fine degli anni novanta nel baratro totale, consegnandolo nelle mani di clan e bande criminali e mafiose, e spingendo molte persone a trovare rifugio all’estero. Il difficile processo d’emancipazione femminile ha subito una battuta d’arresto. Il governo di Enver Hoxha aveva riscattato le donne da secoli di dominio turco, che aveva imposto in alcune zone l’uso del velo e disincentivato il loro accesso all’istruzione. Come in tutti i paesi dell’ex blocco comunista, i diritti delle donne si erano prevalentemente incentrati sull’educazione e il lavoro, escludendo altre forme di discriminazione e di asimmetrie di genere che pure avevano gravemente segnato la vita delle donne nel corso del tempo. Oggi le albanesi vivono in condizioni molto svantaggiate rispetto agli uomini, nonostante il loro livello d’istruzione sia più alto. Il Forum delle donne indipendenti d’Albania ha di recente denunciato l’alto tasso di disoccupazione femminile (19%) nettamente superiore alla media europea (6,2%), connesso alla privatizzazione del mercato del lavoro e agli elevati tassi migratori, e che la quota delle parlamentari nel paese è la più bassa in Europa (7,1%). Per i sociologi si ha a che fare indubbiamente con un “maschilismo balcanico”, ma anche con una serie di fattori nuovi che hanno mutato in peggio il volto della società albanese. Moikom Zeqo, antropologo albanese ha affermato: “E’ assurdo vedere una tale inferiorità delle donne, proprio nel paese dove avevano il diritto di parificarsi anche secondo il codice tradizionale delle montagne, persino nei tempi più oscuri, quando il patriarcato era l’unico a dettare legge”. Eppure egli è convinto che prima o poi nel suo paese “le aquile torneranno a volare”.
(12 giugno 2007)

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