Consultorio di Carpi - “Sia come ginecologa che come donna vedo un errore nel modello sanitario che ha appiattito sulla stessa proposta di assistenza sia le donne a basso rischio che quelle che hanno una condizione di salute già compromessa."
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2007
“Sia come ginecologa che come donna vedo un errore nel modello sanitario che ha appiattito sulla stessa proposta di assistenza sia le donne a basso rischio che quelle che hanno una condizione di salute già compromessa. Questa scelta, tra l’altro, ha impoverito la professionalità dei medici, che si dedicano relativamente meno alle gravidanze complesse e troppo a gravidanze che non richiedono il loro intervento”. Maria Dirce Mezzani, responsabile dei consultori del distretto di Carpi, racconta una esperienza consolidata negli anni.”Nel nostro consultorio esistono due percorsi paralleli. L’assistenza alle gravidanze fisiologiche è stata demandata prevalentemente all’ostetrica, mentre le gravidanze che presentano alcuni indicatori di rischio hanno come figura di riferimento prevalente il medico. Nel primo caso è l’ostetrica che compie i controlli e guida l’iter di assistenza alla donna”.
Cosa succede, quando una donna in attesa di un bambino viene nel vostro consultorio?
Il primo contatto è con l’ostetrica per un colloquio informativo durante il quale viene fatto il piano di assistenza e poi c’è la visita del ginecologo, che verifica l’individuazione del rischio. Nei controlli successivi la donna si riferisce all’ostetrica o al ginecologo. Se la gravidanza è fisiologica sono sufficienti due visite del ginecologo.
E’ corretto fare ecografie tutti i mesi ?
Nella gravidanza fisiologica è un eccesso. Con la medicalizzazione della gravidanza l’attenzione è puntata sul legame strumentale e non più sulla persona. In questo modo l’idea che passa è che se l’ecografia va bene anche la gravidanza va bene, e non è vero. Noi cerchiamo invece di spostare l’attenzione sulla valutazione di sé da parte della donna o nel colloquio, per valorizzare la capacità di ascoltare il proprio corpo.
Come hanno accolto questa impostazione le donne?
Il progetto di assistenza condivisa alla gravidanza è partito nel 2000 e all’inizio le donne hanno vissuto l’assistenza delle ostetriche come un abbassamento del livello. C’è stata una fase di passaggio in cui abbiamo presentato questo modello come un’opportunità e pian piano il messaggio è stato compreso. E’ stato vincente l’approccio della collaborazione e integrazione tra le competenze e professionalità della figura del/la ginecologo/a e del/l’ostetrico/a nel rispetto e integrazione dei ruoli. Se non c’è fiducia e armonia di equipe è difficile lavorare insieme, visto che storicamente le due professionalità si sono basate su un rapporto gerarchico. Parallelamente a quello che facevamo noi nell’assistenza alla gravidanza, un processo analogo è avvenuto nel nostro ospedale di riferimento per l’assistenza al parto. Le donne hanno visto una coerenza negli approcci e questo ci ha aiutato molto perché ha evitato che si sentissero usate.
Perché avete avviato il progetto “Mamme oltre il blu”?
E’ stato logico per noi concludere un percorso culturale sulla nascita cercando di essere vicine alle donne che dopo il parto vivono situazioni di disagio -nel rapporto di coppia o con il bambino- o situazioni di malessere fisico. Nel 2004, con il sostegno economico della Cassa di Risparmio di Carpi, abbiamo aperto un punto di ascolto in cui le donne che hanno partorito, senza appuntamenti e filtri di segreteria, trovano una psicologa e un’ostetrica che le accolgono e le ascoltano cercando di individuare quale può essere l’intervento più adatto per risolvere il loro problema.
Lascia un Commento