Appena lunedì scorso ero a Marrakech. Al cafè Argana ci sono stata anche io, come quasi tutti gli stranieri che passano nella città marocchina, a riposarmi dalle fatiche della Medina e a godere il panorama di una delle piazze più pazze del mondo. Un caffè, o una coca, dato che la birra, ciò che ardentemente desideravo, non è permessa. La vendono alcuni locali sottobanco e ti ci portano, ovviamente dietro compenso di una mancia, accompagnatori compiacenti. Marrakech è così. Non puoi bere alcolici e non puoi entrare a visitare le moschee, ma la birra poi la trovi e riesci addirittura a fare un hammam tutti in gruppo, uomini e donne insieme. Deve essere questa estrema compiacenza verso il turista, leggasi occidentale, che ha provocato l'ira di chi ha fatto l'attentato. Un gesto orribile per le vite che ha trascinato via con sé. Eppure continuo a chiedermi se non rientri in un ordine di cose forse a noi stranieri incomprensibile. È una sensazione che, latente, mi ha accompagnato durante tutto il periodo in Marocco e, soprattutto al mio ritorno in Italia, mi sono più volte sorpresa a ripensare con sguardo critico alle relazioni intrecciate durante la mia permanenza. Relazioni che definerei 'asimmetriche'. Non per mia volontà e neanche per volontà dei miei interlocutori. Pesava su di noi un'eredità secolare di rapporti di dominazione, di incomprensione, di non riconoscimento e forse anche di disprezzo mascherato da rispetto. Una dolorosa mancanza di fiducia tra di noi che si traduceva in ostinato silenzio ogni qualvolta ho tentato di rendere più profonda la relazione, ogni volta che ho chiesto un'opinione, ogni volta che ho tentato di sconfinare ed uscire dal mio ruolo di turista. "L'odio per l'occidente", così chiama Jean Ziegler quel sentimento risorgente nel cosiddetto Sud del mondo che nasce dalla memoria delle umiliazioni e degli abusi subiti nel passato che continuano a vivere come una profonda negazione della propria identità. Ferite che l'occidente si ostina ad ignorare. Da qui nasce l'odio; un odio che ha due facce, sempre secondo Ziegler. Un odio ragionato, basato sulla rinascita di un´identità collettiva e sulla resistenza all'ordine capitalistico, che produce nazioni capaci di negoziare con l´Occidente e un odio patologico che si esprime con atti di terrorismo, come quello di Marrakech.
In questo ritorno amaro restano immagini scolpite di un paese bellissimo, vivo di un'energia giovane, brulicante di attività; un vigore spontaneo, una voglia di fare che difficilmente potremo fermare ancora a lungo con le nostre frontiere disegnate su una carta geografica. Donne che lavorano duramente (sono state tutte donne le persone che ho incontrato a gestire le attività turistiche); bambini come topolini che corrono a frotte nei misteriosi vicoli della Medina; venditori di qualsiasi cosa che operano tra di loro una forma di solidarietà impensabile per noi (se si desidera un oggetto che la bottega non ha, il proprietario ti accompagna dal suo vicino); mendicanti vestiti di tuniche tutte uguali; bar che al tramonto, nella città nuova, ospitano tavolini riempiti di soli uomini; mercati strapieni di spezie odorose; strade in cui lo sguardo si può perdere nella campagna popolata solo da capre; piccoli villaggi berberi che sembrano dei muretti nell'arida campagna ma che nascondono la vita quotidiana. Ma soprattutto, e questo è quello che colpisce di più, giovani uomini e giovani donne (quasi tutte velate) che si spostano indaffarati a tutte le ore del giorno e della notte; la mia immaginazione se li figura come studenti e giovani lavoratori compenetrati nel proprio ruolo, occupati e concentrati a rendere migliori le proprie vite. Ci ho rivisto gli sguardi dei coetanei che nei mesi scorsi hanno dato vita alle rivolte nei paesi vicini. Una determinazione e una dignità che pur nel marasma della piazza manteneva la pacatezza di chi sa che il corso della Storia non può più essere cambiato. Per questo l'attentato di Marrakech è ancora più doloroso. È 'l'odio patologico' che risucchia 'l'odio ragionato'. Non è solo la terribile perdita di vite umane ma il tentativo di sottrarre futuro ad una generazione che, attraverso la memoria e l'orgoglio per il proprio passato e la propria identità, sta cercando di costruirlo.
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