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Donne, strumenti di pace e democrazia

Donne, strumenti di pace e democrazia

Politica/ Contro la povertà e la violenza - Il discorso “Donne, sicurezza e pace” pronunciato di recente dal Sottosegretario agli Esteri di fronte all’assise del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

Margherita Boniver Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2005

Signor Presidente, è un grande onore per me trovarmi qui a discutere degli effetti dei conflitti sulle donne e sulle giovani e del ruolo chiave che esse possono avere nel processo di pace. Innanzitutto vorrei dire che l’Italia è pienamente allineata con la dichiarazione che il Regno Unito ha precedentemente rilasciato per conto della Ue. Le donne sono le vittime prescelte delle guerre moderne. La maggior parte dei conflitti sono prevalentemente intestini e portano caos politico, insicurezza per gli esseri umani e terribili sofferenze per l’intera popolazione. Gruppi incontrollati di criminali prosperano in tale realtà. Questi elementi nel loro insieme rendono le donne particolarmente vulnerabili. Oltretutto in un crescente numero di casi le atrocità contro le donne vengono utilizzate come tattica bellica. Questi, naturalmente, sono fatti ben conosciuti, e l’Onu ha fatto dei passi avanti nella lotta a queste situazioni. A partire dalla risoluzione 1325 del 312 ottobre 2000 come anche in base all’ultimo rapporto del Segretario generale, sulle donne, la sicurezza e la pace, pubblicato il 10 ottobre. Il piano di intervento del suddetto rapporto definisce dodici campi di intervento, che vengono illustrati negli ampi annessi allo stesso con riferimento alle strategie ai passi concreti da compiere, agli attori e alle tabelle di marcia da rispettare. Oltretutto, la Dichiarazione e il piano di azione dell’Unga su “ Women 2000: gender equality, developement and peace for the 21st century” riconosce che uomini e donne subiscono in modo differente i conflitti armati, rendendo fondamentale un approccio secondo il genere ogni qualvolta si intenda introdurre il diritto umanitario. Uno storico elemento di rottura è rappresentato dalla definizione che la Corte internazionale sui crimini dà della violenza sessuale contro le donne come strumento deliberato di guerra da trattare in particolari casi, come crimine contro l’umanità.

Signor Presidente, le donne devono giocare un ruolo maggiore nel processo di peace-keeping e peace-building. Di conseguenza nell’ambito di questi processi dovrebbe essere adottato un approccio meno discriminatorio. Le linee guida pratiche, basate sulle lezioni apprese, dovrebbero indicare come attuare il pieno coinvolgimento delle donne nella ricostruzione delle istituzioni e della società. Gli Stati dovrebbero urgentemente costituire dei team nazionali di candidate donne da collocare nelle aree preposte alla prevenzione dei conflitti e alla riabilitazione post conflittuale. Nella regione del Darfur, in Sudan, la violenza indirizzata alle donne, come stupro di massa e mutilazioni- è diventato un metodo usuale per sradicare le comunità rurali. Vicino al confine sudanese, le donne e le ragazze che fuggendo dal Darfur si rifugiano nel Chad, rischiano di essere assalite e stuprate dai civili o dai membri delle milizie mentre si recano a compiere le mansioni quotidiane come procurarsi l’acqua, o cibo per gli animali. Non ci possono essere dubbi: Questi atti sono crimini contro l’umanità e dovrebbero essere classificati come tali. Quindi noi ci appelliamo al Governo del Sudan affinché faccia tutto ciò che è in suo potere per risolvere la crisi umanitaria in Darfur.La fine della guerra non si traduce sempre nella fine della violenza. Le donne in situazioni post conflittuali hanno parlato di assalti sessuali e, naturalmente, traffici umani. Le superstiti spesso soffrono di traumi psicologici, lacerazioni fisiche permanenti, rischi a lungo termine per la salute, specialmente Hiv/Aids. Come abbiamo tristemente imparato “ Il volto dell’Hiv è il volto di una donna”. Centinaia di migliaia di donne, poi, si trovano ancora nei campi per i rifugiati, fronteggiano serie minacce alla loro sicurezza o sono forzatamente interdette alla partecipazione nell’attività politica. Adesso vorrei offrire un tributo ad Aung San Suu Kyi, leader del movimento per la democrazia birmano, oltre che Nobel per la pace. Questa settimana segna il decimo anniversario del suo quasi totale isolamento agli arresti domiciliari. Il suo solo crimine, dopo la vittoria delle elezioni nazionali del 1990, è rappresentato dall’aver lavorato all’introduzione della democrazia nel suo paese, delle libertà personali, e alla promozione dei diritti civili e politici. Il suo immediato rilascio è di estrema importanza al fine di ristabilire un clima positivo per la riconciliazione nazionale.

Signor Presidente, le donne non sono solo vittime dei conflitti armati. Sono anche combattenti, leader, negoziatrici, sostenitrici e promotrici della pace e, naturalmente, attiviste. Negare loro i diritti umani fondamentali è quindi di grande ostacolo anche ai processi di ricostruzione. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza già menzionata, riconosce alle donne un ruolo fondamentale nella prevenzione, nella gestione e nella risoluzione dei conflitti a livello regionale, nazionale ed internazionale. L’importanza del contributo che le donne possono dare ai processi di ricostruzione è evidente, ad esempio, in Iraq. Le donne si sono battute per decenni per conquistare diritti come quelli di votare, lavorare, vestire ed essere educate come vogliono. Quello che adesso chiedono è la sicurezza di non essere escluse dal processo di democratizzazione a cui hanno tanto da dare. Per questo motivo l’Italia ha appena iniziato un ambizioso programma di formazione per le lavoratrici irachene. L’esperienza dell’Unione Europea evidenzia l’importanza di coinvolgere le donne nell’intero processo di pace. Una rilevante presenza femminile fra i componenti civili, militari e di polizia impegnati nel processo di peace-keeping nella ex Yugoslavia e in Afganistan è servita ad esempio a migliorare notevolmente le relazioni con le comunità locali, è ha facilitato la comunicazione con i gruppi più vulnerabili: appunto le donne ed i bambini.

Signor Presidente, la mia esperienza personale mi suggerisce che affinché le donne possano svolgere un ruolo più attivo nelle situazioni di emergenza è necessario adottare un approccio più globale. Questo è quanto ho potuto vedere in Afganistan, dove l’Italia è nazione guida nella riforma del sistema giudiziario. E dove viene data grande importanza ai progetti ed alle attività che salvaguardano i diritti delle donne. Forse la sfida più importante è assicurare che tutti i maggiori programmi legali e giuridici promuovano un approccio non discriminatorio, implementando la linea che è emersa dalla conferenza dell’Unifem sulla non discriminazione nelle aree post conflittuali. Noi cerchiamo di raggiungere questo obbiettivo lavorando con il ministro per gli Affari delle donne, la commissione afgana indipendente sui diritti umani, l’associazione afgana delle donne lavoratrici. Stiamo inoltre definendo una strategia per creare dei centri legali di aiuto che permettano alle donne di esercitare i loro diritti fondamentali. Per assicurare il coinvolgimento afgano nel processo, è stato chiesto l’impegno del dipartimento legale del ministero per gli Affari delle donne, cui sono state conferite capacità di peace-building.

Signor Presidente, le donne devono partecipare pienamente alle votazioni post conflittuali, che sono parte fondamentale del processo di ricostruzione. Le donne devono essere autorizzate legalmente sia a votare, sia a candidarsi. Anche in questo frangente l’esperienza afgana è illuminante. Nel corso di due elezioni consecutive, le presidenziali del 2004 e le successive parlamentari, le donne afgane hanno manifestato la loro coscienza politica, presentandosi numerose alle urne ed esercitando un diritto che non avevano mai avuto prima. Per fare questo, hanno preso le distanze dagli usi tribali, che imponevano alle donne di restare a casa mentre solo i mariti potevano votare, ed hanno colto con decisione l’opportunità di essere direttamente coinvolte nel processo di costruzione dello stato democratico.

Signor Presidente, per finire, non posso che ritornare a enfatizzare lo stretto legame che esiste fra la possibilità di sviluppare un qualsiasi processo di pace e la necessità di garantire pieni diritti - civili, politici ed economici - alle donne. Il rapporto del Segretario generale è un esempio dei progressi che si stanno facendo in questo campo. L’Italia supporta pienamente questo progetto e continuerà a sostenere le attività dei rappresentanti nazionali, dei membri della società civile, e di tutti i componenti internazionali che lavorano nelle aree di crisi per migliorare la situazione delle donne.

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