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Donne Saharawi

Donne Saharawi

Africa - “Davanti a un popolo povero ma non misero ho visto donne forti, ma non potenti”. In un ambiente inospitale e senza risorse l’incontro con le donne del deserto

Anna Salfi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008

Non volevo partire. L’idea di passare otto giorni nell’Hammada la parte più inospitale del deserto del Sahara non mi allettava. Dopo molti giorni di trattative, di manifestazioni, di scioperi, pure il deserto ! Per me era davvero troppo. Eppoi dove erano i campi profughi presso i quali sarei dovuta stare? Nemmeno la cartina geografica li segnalava.
Ma qualcosa nel profondo mi spingeva ad andare, a toccare con mano la vita del popolo Saharawi che da ben 35 anni lotta per la propria indipendenza e autodeterminazione.
Mi ero occupata di loro all’Università studiando questo come un prototipo di formazione di uno stato attraverso un processo di autodeterminazione. Ma possibile che dopo tanti anni le cose non fossero ancora cambiate?
E così tra domande e perplessità mi sono avviata verso l’aeroporto per cominciare un lungo viaggio senza neppure immaginare cosa avrei trovato.
I campi profughi del popolo Saharawi si trovano nel cuore dell’Algeria dopo la cittadina di Tindouf ultima roccaforte prima del confine con il Marocco. E’ un territorio che ha raccolto i Saharawi in fuga e dove questo popolo che rivendica la propria indipendenza ha caparbiamente costruito, in condizioni del tutto impossibili, un vero e proprio assetto di comunità statuale.
I Saharawi abitavano la terra del Sahara occidentale, colonia spagnola, da cui gli spagnoli si erano ritirati nel 1975. All’occupazione della loro terra da parte del Marocco e della Mauritania, avevano reagito con una guerra come solo i poveri sanno fare: poche e povere armi, ma con la forza della disperazione di chi si vede sottrarre la stessa propria esistenza.
Un accordo, poi, con la Mauritania ed il cessate il fuoco con il Marocco avevano definito la situazione che è giunta fino a noi e la mediazione delle Nazioni Unite aveva individuato in un referendum di autodeterminazione la formula di diritto internazionale per dare soluzione al conflitto.
Così non è stato perché il referendum non è stato realizzato nonostante le continue pressioni della popolazione Saharawi e così anno dopo anno, questa gente umile e dignitosa si è attrezzata per sopravvivere alle condizioni proibitive del deserto sempre in attesa di potere un giorno ritornare da dove era venuta e far vivere il proprio stato.
A chi affidare il compito di tenere insieme questa comunità di derivazione nomade mentre gli uomini erano al fronte? A chi consegnare il bisogno di mantenere le tradizioni, di educare il popolo del futuro, di gestire i bisogni più elementari di alimentazione, di cura?
Le donne Saharawi sono state e sono tutto questo.
Rappresentano l’ossatura di questa civiltà: sono dignitose, forti, allegre. La loro presenza nella società non è nascosta, ma evidente e forte.
Attendono alla cura della famiglia, ma molte lavorano nei poveri poliambulatori che grazie alla cooperazione internazionale hanno potuto mettere su. Insegnano nelle scuole che frotte di volontari e aiuti di solidarietà contribuiscono a mantenere in piedi nonostante le tempeste di sabbia o il ghibli, vero flagello nel deserto.
Sono vestite con i loro colori vivaci e, con qualche vezzosità, si coprono spesso le mani con i guanti affinché il forte sole del deserto non le renda troppo scure. I loro abiti, le melfe, altro non sono che un lungo drappo che sanno avvolgere intorno al corpo e che le rende femminili e flessuose.
E’ un drappo che non ha né tagli, né cuciture, perché nella dura vita nomade, doveva e deve ancora servire come lenzuolo o tovaglia o altro ancora per occupare il minor posto possibile in groppa al cammello.
Eppure, in questo mondo impossibile sorridono e, accanto alle attività più domestiche, molte di loro viaggiano per portare negli altri paesi la loro storia, per cercare solidarietà verso la loro causa.
Si sono date una organizzazione nazionale, l’Unione nazionale delle donne Saharawi e le ho viste mentre con l’aiuto di una cooperante proveniente dalla Spagna lavoravano sulla loro autostima e sull’organizzazione della loro presenza nelle diverse aree della regione, ma ho potuto anche vedere come organizzano attività di tessitura da offrire e vendere ai visitatori o come nel sindacato locale, l’UGTSARIO, rappresentano i bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici affinché anche in questa realtà tutti siano trattati allo stesso modo e con giustizia.
Ho chiesto, nell’incontro ufficiale con i loro vertici istituzionali, qual’era la loro presenza in quello che è il loro Parlamento: mi hanno detto 30%. Molto meglio di noi, ho pensato. E quante dirigono nelle istituzioni? Beh, sono davvero poche. Anche qui, il bel cielo pieno di stelle si intravede solo attraverso un soffitto di cristallo.
Questo mi ha subito riportato in Italia ed ho pensato: Berlusconi, la Gelmini, Brunetta, le misure sulla scuola, la nostra insicurezza, le nostre famiglie …. certo noi non siamo così poveri, ma in quanto alla miseria…

* Segreteria regionale Cgil Emilia Romagna - Responsabile rete delle Donne CGIL

(13 dicembre 2008)

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