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Donne (occupate) in nero

Donne (occupate) in nero

Lavoro sommerso - Oltre un milione le donne che lavorano in nero, soprattutto al nord. Una ricerca dell’Isfol fotografa una realtà nascosta fatta di giovani che transitano nel sommerso e adulte che non hanno speranze

Castelli Alida Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008

In Italia le donne con un lavoro regolare sono 9.049.000 (dati Istat 2006), quelle con un lavoro irregolare, nero, sono 1.352.000. E’ il primo dato sul quale è interessante riflettere: ogni 9 donne che lavorano in un lavoro regolare ne troviamo quasi 2 nel lavoro sommerso. Se, ipoteticamente, la quota di lavoratrici in nero passasse ad un’occupazione regolare anche le italiane sarebbero più vicine alle medie europee all’obiettivo di Lisbona. Ma la strada per l’emersione non sembra facile per tanti fattori. Se ne è parlato nel convegno organizzato dall’Isfol su “Le donne nel lavoro sommerso, partecipazione femminile al lavoro nero e prospettive per l’emersione” che si è svolto a Roma lo scorso mese di dicembre, dove è stata presentata la prima indagine in Italia sul lavoro sommerso ed irregolare femminile. Le donne che sono coinvolte da questo fenomeno sono per la maggioranza al nord per il 64,2% seguite dal 49,9 al centro a per il 31,5 al sud, rispecchiando anche qui la situazione delle lavoratrici regolari, più occupate al nord rispetto al centro, e anche rispetto all’occupazione sommersa maschile le donne sono presenti in numero leggermente inferiore: il 47%. Per la maggioranza sono presenti nel settore dei servizi, e in minima parte anche nell’industria soprattutto al nord.
Di fatto quello che emerge da questa ricerca è il parallelismo con la condizione delle lavoratrici italiane, ufficiali, precarie ed in nero con poche differenze, se non quelle fondamentali di non aver un contratto di lavoro e la non applicazione delle norme contrattuali. Anche le donne del sommerso dichiarano di dover conciliare lavoro e famiglia, molto spesso anzi, accettano un lavoro nero perché più vicino a casa, o perché con un orario che le lascia più “disponibili” per la famiglia. Per alcune la difficoltà ad inserirsi in un lavoro ufficiale trova le radici nella scarsa qualificazione di cui dispongono, e su questo occorrerebbe riflettere molto in termini di politiche attive del lavoro, in primo luogo agli interventi programmati dalle regione in materia di formazione professionale. Fin troppe volte si sente parlare più della disoccupazione intellettuale che di quella con bassi titoli di studio dimenticandoci che anche rispetto al livelli d’istruzione l’Italia è ancora ben al di sotto delle medie europee, e ciò vale soprattutto per le donne. Tutte queste donne si sentono scoraggiate e difficilmente ritengono di poter aspirare a qualcosa di meglio del lavoro che si trovano a svolgere. Diverso è il segmento delle giovani che accettano un lavoro nero, spesso sono ragazze che coniugano in questo modo il rapporto studio- lavoro, e per loro c’è spesso la speranza di poter trovare di meglio una volta finiti gli studi.
Nello scenario delle proposte per far emergere il lavoro nero appaiono estremamente interessanti le uniche due proposte attualmente approvate a livello regionale, quella della Puglia e quella del Lazio, scaturite dagli strumenti appositamente predisposti dalle ultime leggi finanziarie. Va rilevato infatti che proprio su questi temi si è agito e si agisce in questo Governo e la ricerca presentata, come ha osservato la sottosegretaria Rosa Rinaldi offre uno strumento valido per ragionare su ulteriori strumenti di intervento. Due sono i campi aperti, da un lato il sostegno alle imprese per facilitare l’emersione del lavoro nero e dall’altro una seria attenzione, che ci chiama in causa come donne, rispetto alle politiche fiscali. Bisogna “scegliere” tra politiche fiscali per la famiglia, o per gli individui che la compongono. E’ chiaro che politiche fiscali incentrate sulla famiglia sono un elemento che favorisce il permanere delle donne nel lavoro sommerso e che le relega quindi ai margini del mercato e le penalizza in termini di autonomia, diverso è il discorso per interventi fiscali destinati agli individui, in cui anche le donne ne sono soggetto individuale, ma dobbiamo sapere che questa è una battaglia ancora in corso, il cui esito non è certo né scontato. Per le donne la battaglia contro il lavoro sommerso passa anche per una politica fiscale che pensi ai contribuenti come individui, dentro una famiglia magari, ma ognuno titolare del proprio reddito.

(29 gennaio 2008)

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