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Donne, la vostra padrona scenderà? Il racconto di Matilde Tortora

Donne, la vostra padrona scenderà? Il racconto di Matilde Tortora

Omaggio a Pia, a Marguerite e a Messer Dante

Giovedi, 04/11/2021 -

Donne, la vostra padrona scenderà? Il racconto di Matilde Tortora
Omaggio a Pia, a Marguerite e a Messer Dante

Limpida è la mattina, fa molto caldo. Non ricordavo fosse tanto lunga la strada, la stessa che imposi di fare a Lei a piedi scalzi sotto il Sole cocente. Avevo pensato che potesse in tal modo, già nel faticoso tragitto, cominciare a mondarsi della sua colpa, l’avere osato non contemplarmi pienamente, me solo nel suo sguardo.

E che, dunque, le pungessero i miasmi della palude le narici e che la toccassero i dardi infuocati che piovevano da quel cielo terso e gli sterpi che si aggrovigliavano sporgendosi dai lembi di quell’acqua bassa e putrida.

Ora che ne stavo percorrendo la stessa lunga faticosa via se pure provvisto dei miei robusti calzari e di un largo copricapo che mi faceva ombra al viso mi convincevo di avere agito per il meglio infliggendole quell’esilio, l’avevo condotta all’espiazione di ogni sua fuga, di ogni suo ardire, di ogni suo pensiero che non mi contemplava come il matrimonio aveva sancito per legge, per consuetudine, per dovere.

Sono passati così tanti anni, mi reco a farle visita nella torre dove l’ho confinata, voglio guardarla in viso, vedere quanto è mutata. E soprattutto incrociare il suo sguardo, vedere se le sue iridi pungenti si siano addomesticate, scorgere il riflesso di tutto quello che l’esilio le ha steso intorno come una veste purgatoriale.

Avrebbe dovuto tenere fede al suo nome, essere pietosa con me, abdicare a sé e farsi modellare secondo i dettami della tradizione da me che l’avevo presa in moglie.

Invece non fu così, non lo fu per tutti gli anni che stemmo insieme. Fu più pietosa con le rose di cui curava la fioritura, con le pietre del giardino, con chiunque altro incontrasse, ma non con me.

La stanchezza mi assale, l’acqua sporca si è infilata nei calzari, il mio servo dovrà ingegnarsi di sbiancarli, ripulirli, stanarvi le piccole serpi che vi hanno preso dimora.

Raccontarono chi allora l’accompagnò da secondino che le sue bianche caviglie scalze restarono bianche, che niente la infangò durante il lungo tragitto, che le serpi si fecero ancora più piccole e si acquattarono in piccoli circoli facendo corona ossequiosa ai suoi passi.

Io non prestai fede a questo racconto. E li feci allontanare dalla mia vista, li bandii.

Pia la sbandita sussuravano a Palazzo, erano tutti dalla sua parte anche se non lo davano a vedere. Ella, così brava a sedurre chicchessia, aveva sedotto perfino i chiavistelli delle porte, quando si recava in giardino.

Come si permetteva, chi le dava tanto ardire, tanto potere? Pensai allora di mettere fine al suo tradimento ancor prima che lo compisse, anzi ancor prima che esso potesse prendere dimora nella sua testa, intervenni per tempo, fui lungimirante, la sua stessa bellezza la tramutai in colpa, il suo passo giovane, allegro, andava fermato. Per il suo stesso bene, mi dissi. La esiliai.

Sono giunto ai piedi della Torre. Raccontano che Ella ne esce solo per portare cibo ai poveri, che consola gli infermi e si occupa di curare le rose. Che strano che in questa palude fioriscano le rose, che i rovi rispettino e riconoscano fratelli i gambi ricoperti di tutt’altre spine! Ne vedo tante non già di colore rosa le sue preferite, ma di un rosso cupo. A guardarle, sembra che piangano. Chi mai ha visto lacrimare una rosa? Mi dico che da lungo tempo l’artefice di tale inusuale accadimento sono stato io, vorrei non averle mai scorte queste lacrime.

I tocchi dell’orologio sono anch’essi aguzzi, mi straziano le orecchie. Che mostro è questo vecchio secolare che io sono! E pure lo rifarei mille e cento volte ancora lo rifarei.

Donne, la vostra padrona scenderà?

Divina Commedia, Purgatorio, Canto V, vv.130-136

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo, / e riposato de la lunga via? / seguitò 'l terzo spirito al secondo, / ricordati di me che son la Pia; / Siena mi fè, disfecemi Maremma; / salsi colui che 'nnanellata pria / risposando m'avea con la sua gemma"

Il riferimento è a Marguerite Yourcenar che scrisse di Pia de’ Tolomei in “Dialogo nella palude”, 1930.

L’immagine: Pia de’ Tolomei, dipinto di Dante Gabriel Rossetti, 1868 circa, Spencer Museum of Art, Lawrence, Kansas


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